Le tante storie custodite da GenderLens, il collettivo di genitori di bambinɜ gender variant
Dialogo di Katya Parente con Cecilia, rappresentante dell’associazione GenderLens
Identità di genere, transgender, non-binary, gender fluid, queer… sono alcuni dei termini che appaiono non appena ci si avvicina a una realtà che sembra essere improvvisamente esplosa.
Il dibattito sul DDL Zan ha portato alla luce molti argomenti tabù della nostra società, li ha scossi ed estrapolati, a volte falsati e manipolati, e uno di questi è l’identità di genere, che porta con sé una quantità enorme di termini che ribaltano alcune delle categorie che la nostra cultura considerava (e in alcuni casi combatte con le unghie e con i denti per categorizzare) come qualcosa di indiscutibile, naturale e assoluto. Oggi, più che mai, i media parlano di giovani e bambinɜ che non si riconoscono con il genere assegnato loro alla nascita… e noi, persone adulte, siamo testimoni stupiti di questa rivoluzione, non capiamo bene cosa stia succedendo.
Di fronte a questa confusione, oggi abbiamo parlato con Cecilia, rappresentante dell’associazione GenderLens, collettivo di genitori di bambinɜ gender creative, giovani persone trans e loro alleatɜ per chiedere di aiutarci a capire un po’ di più su questa enorme esplosione.
Siamo di fronte a una moda? Le ɡiovani persone sono impazzite?
Certo che no. Le giovani generazioni non sono impazzite, ma avendo accesso ad Internet, e spesso facendo rete per scambiarsi idee, sono meglio informate rispetto alle precedenti. Molte persone trans sono state in grado di dare nome a ciò che avevano vissuto per tutta la vita solo in età adulta. Qualche anno fa, qualche decennio fa, non sapevano nemmeno che una persona potesse essere un uomo trans, per esempio. E, in molti casi, questo comportava un’enorme incertezza, insicurezza, vergogna, e di conseguenza, silenzio e mancanza di visibilità.
Oggi, qualsiasi dodicenne sa come cercare informazioni su un’identità di genere che non corrisponde a quella assegnata alla nascita. Finalmente tante giovani persone cominciano a dare un nome a ciò che sono, ad avere riferimenti più o meno famosi, sanno che non sono le uniche a vivere quest’esperienza, ne parlano tra loro, non vogliono più nascondersi e rivendicano uno spazio sociale che spetta loro di diritto.
Allo stesso tempo, come famiglie non siamo più disposte a mettere la paura al di sopra dell’amore, e sappiamo che nascondere la nostra realtà diventa il primo grave problema – ciò che non si nomina non esiste -, e noi vogliamo visibilità e diritti. E la società sta cominciando ad aprire gli occhi e a rendersi conto che il mondo è più vario di quello che sembrava.
Le persone trans sono sempre esistite, e tutte hanno vissuto un’infanzia, ma mentre prima erano costrette a nascondersi, o non sapevano nemmeno come darsi un nome, ora cercano un loro spazio, ed è importante possano contare sulle loro famiglie per ritrovare il loro posto nel mondo. Basta nascondersi!
Allora, riprendiamo dall’inizio: quando e perché è nata l’associazione GenderLens?
GenderLens è nata dal bisogno di alcune famiglie di non essere più sole, di fare rete e riunirsi per far conoscere la realtà dell’infanzia/adolescenza gender creative e per scrollarsi di dosso lo stigma che la società ha posto sulla parola “trans” dalla vita dɜ loro figlɜ.
In Italia manca, da parte delle istituzioni (sanità, scuola e in ogni ambito della società), conoscenza e formazione rispetto alle persone, anche piccole, che non si riconoscono nel genere assegnato alla nascita rispetto al sesso biologico, e tutto è trattato solo in un ambito medico/patologico.
Un genitore che ha un figlio o figlia che si comporta in un modo considerato “inopportuno” per il genere assegnato alla nascita, o che si identifica con un genere diverso, non ha alcun riferimento sul come agire rispetto ad una situazione sconosciuta. La scuola è all’oscuro di questa realtà, pediatrɜ minimizzano l’importanza della questione e spesso suggeriscono di mandare questɜ bambinɜ da psicologɜ – tengo a precisare che alcunɜ professionistɜ della salute applicano ancora le “cure riparative” dichiarate fuori legge in tanti Paesi, ma non in Italia, causando così danni tremendi a questa infanzia e alla comunità tutta.
La varianza di genere infatti non è una malattia da curare, ma una sana espressione delle tante possibilità del genere umano.
L’associazione GenderLens è stata fondata all’inizio dell’anno, ma il lavoro era già iniziato nel 2017, partendo proprio dalla collaborazione di alcune famiglie e dallo studio di diverse persone professioniste, che hanno capito quanto l’importanza della diffusione di un’informazione scientifica recente e corretta su bambinɜ e adolescenti gender creative o trans (praticamente inesistente in lingua italiana fino a poco tempo fa) sia fondamentale per iniziare a cambiare la situazione. La nostra antropologa, Michela Mariotto, una delle fondatrici dell’associazione, sta appunto terminando un dottorato su questo argomento all’Università di Barcellona. È a lei che dobbiamo la conoscenza che ha posto le basi del nostro modo di agire.
Molte famiglie avevano intuito che il modo giusto per accompagnare le proprie creature non era insegnare loro a nascondersi e aspettare l’adolescenza, sperando che il comportamento di genere “inaspettato” fosse una fase e sparisse crescendo, ma supportarle in modo affermativo, giorno per giorno, vivendo il presente.
Questo non è un punto di vista personale. La ricerca scientifica internazionale più recente, proveniente da saperi diversi, che vanno dalla psicologia alla sociologia, dalla filosofia alla medicina, dimostra che è il modo migliore per accompagnare la giovane persona trans, garantendone il benessere.
Voi parlate di approccio transpositivo: come avviene questo tipo di accompagnamento di bambinɜ o adolescenti da parte dei genitori?
L’approccio transpositivo è proprio questo: è un modo di accompagnare le creature permettendo loro di esplorare, di crescere e di scoprirsi nel totale rispetto da parte delle famiglie, indipendentemente dal genere espresso. Il fatto che una persona, anche piccola, abbia un atteggiamento di genere non normativo non significa che necessariamente sarà trans da adulta, ma il supporto incondizionato da parte dei genitori è un elemento fondamentale per garantire che possa crescere serenamente, trovando il proprio posto nella comunità scolastica, nel mondo del lavoro e nei suoi rapporti interpersonali.
Approccio transpositivo significa ascoltare le vere necessità di quell’infanzia/adolescenza, al di là dei pregiudizi sociali, degli stereotipi e dello stigma sociale che ancora accompagnano il termine “trans”; significa lasciare da parte tutte le paure e le connotazioni negative per mettere al centro la giovane persona, le sue preferenze, le sue necessità, in modo che possa crescere felice. Bisogna quindi non solo ascoltare e rispettare, ma anche smontare una serie di concezioni e stereotipi asfissianti sul come si devono comportare le persone a seconda del proprio genere: femmine e maschi sono in realtà categorie artificiali, legate ad una tradizione patriarcale, che non dà spazio a tutta la ricchezza della diversità umana.
In Italia, quali sono le barriere sociali e politiche da affrontare per questa infanzia e per i loro genitori?
Dal punto di vista sociale, gli stereotipi di genere dominanti nella nostra società risultano opprimenti sia per le nostre creature che per noi famiglie: un semplice costume di carnevale può rappresentare un problema enorme, a seconda dell’ambiente che si frequenta. In Italia, inoltre, il giudizio severo rispetto al comportamento di una giovane persona di genere creativo, o di fronte al supporto dato dalla sua famiglia, è discriminante, e spesso non dipende dalla classe sociale, dalla posizione economica, dalla nazionalità o dall’etnia… È estremamente facile trovare chi si comporta come “un poliziotto del genere”, che giudica e persino condanna qualsiasi gesto che rappresenti un’eccezione alla regola.
La disinformazione in questo Paese è tale che anche un atteggiamento di supporto da parte della famiglia viene condannato, come se i genitori volessero indurre le figlie o i figli a diventare trans… I media spesso trattano questa realtà in modo sensazionalistico, mai scientifico, strumentalizzandola politicamente per soddisfare le ansie ideologiche di certi gruppi senza scrupoli. Questo risulta estremamente dannoso, perché impedisce di fare chiarezza su una questione che può essere compresa solo accogliendone la complessità.
Molte delle persone che si confrontano professionalmente con l’infanzia e l’adolescenza trans non conoscono (e a volte non vogliono conoscere) queste esperienze, mettendo fortemente in difficoltà giovani vite che sfuggono alle norme di genere assegnate.
Giusto per nominare una delle barriere che ci troviamo ad affrontare: nelle scuole italiane parlare di sessualità e identità di genere rappresenta un tabù, mentre farlo sarebbe davvero importante per educare tutta la comunità scolastica e insegnante al rispetto e alla conoscenza di tutte le differenze. Solo facendo conoscere alcuni argomenti, che in realtà riguardano le vite di tante persone, è possibile educare eliminando pregiudizi e paure.
Tra le buone prassi da applicare nelle scuole c’è la “carriera alias”, da attivare su richiesta di studentɜ trans (cambio del nome anagrafico con quello di elezione sul registro elettronico), ma, dal momento che in Italia mancando protocolli ministeriali uniformati per tutte le scuole, questa possibilità viene accordata solo se ci trova di fronte una dirigenza scolastica “sensibile” ad accogliere queste istanze. La “carriera alias” diventa così una concessione, e non un diritto, come invece dovrebbe essere.
In molti Paesi europei invece, per esempio in Spagna, la “carriera alias” è prevista da linee guida specifiche in tutte le scuole di ogni ordine e grado, e oltre ad essere accompagnata da una formazione costante del personale e di tutta la comunità scolastica, mette al centro il benessere psicofisico della persona trans, che vede rispettato il diritto fondamentale ad essere se stessa.
In Italia, dal punto di vista politico, l’infanzia e l’adolescenza trans o gender creative, al momento, non esiste. Nessun supporto, nessun diritto in materia di tutela della privacy, né della dignità… Il fatto che una giovane persona gender variant cresca nel rispetto di chi la circonda dipende semplicemente dalla fortuna: fortuna di avere genitori capaci e sensibili, fortuna di capitare nella scuola giusta, di avere i vicini giusti… La negligenza politica nei confronti delle persone minorenni trans e delle loro famiglie, in questo Paese, è totale. Siamo cittadinɜ ignoratɜ. Come restano ignorate le nostre istanze, le nostre vulnerabilità, i nostri diritti.
Si parla sempre di persone, anche piccole, nate nel corpo sbagliato, che affrontano un percorso doloroso prima di poter affermare il proprio sé, ma rispetto alla vostra esperienza di genitori e attivistɜ, è davvero così?
Nessun corpo è sbagliato. Sono sbagliati gli stereotipi che la società ha su come devono essere i corpi, e come si devono comportare le persone a seconda dei genitali con cui sono nate.
Nella nostra esperienza, la persona che fin da piccolɜ è statɜ ascoltatɜ, rispettatɜ e accompagnatɜ in modo affermativo in famiglia, nella scuola e da chi le sta vicino, non ha un problema intrinseco con il proprio corpo. La necessità di modificarlo può sorgere dalla necessità di essere lettɜ e rinosciutɜ dalle altre persone secondo il genere con cui ci si identifica. Ma non per tuttɜ è così. Alcune persone trans non sentono questa esigenza, e scelgono di non intervenire medicalmente, e questo non le rende certamente meno “vere”. È una scelta personale, e sicuramente non rappresenta un percorso obbligato.
Uno degli stereotipi di cui parlavo prima ha a che vedere con la sofferenza delle persone trans. I media parlano spesso, facendo riferimento a giovani persone gender creative o trans, di “disforia di genere”, ovvero un disagio, una sofferenza dovuta al fatto di non identificarsi con il genere assegnato alla nascita. Ma è dimostrato che la persona, nell’infanzia e nell’adolescenza, cresce serena e senza sofferenza quando è amata, ascoltata e rispettata.
Quali potrebbero essere in Italia buone prassi da adottare per esempio nella scuola, dove non esistono linee guida specifiche per l’accoglienza dell’infanzia/adolescenza gender creative?
Buone prassi sarebbero tutte quelle che permettono ad ogni studente gender creative che arriva alla scuola di sentire accoglienza e non giudizio, favorendo la convivenza nel rispetto della diversità umana. Pensando alle questioni di genere, poi, sarebbe positivo eliminare tutte le barriere che rappresentano un divario tra generi. Non ci sono sport, attività o giochi “da maschio” e “da femmina,” così com’è assurda l’attribuzione dei colori “blu “e “rosa” rispetto al genere: sono imposizioni negative per tutta l’infanzia, perché la rinchiude nel recinto del binarismo di genere di cui il patriarcato è custode.
È ora di ridiscutere queste regole stereotipate, e la scuola può e deve essere uno spazio per la crescita personale e collettiva, che metta in crisi questa visione arcaica della società, offrendo e stimolando le persone fin da piccole ad avere le stesse opportunità.
Inoltre, la scuola dovrebbe ascoltare le necessità delle giovani persone gender creative o trans di esprimersi serenamente per quello che sono, di essere chiamate con il nome e i pronomi desiderati, di utilizzare gli spazi (bagni, spogliatoi…) senza che questo debba essere considerato un problema che richieda l’intervento di psicologɜ. Basterebbe infatti attivare la “carriera alias”, di cui ho parlato prima, una procedura amministrativa di semplicissima applicazione che permette di tutelare la sicurezza e rispettare la privacy di studenti trans.
GenderLens ha diffuso la possibilità di attivare questa buona prassi in diverse scuole italiane, aiutando giovani persone a vivere serenamente e in sicurezza uno spazio dove trascorrono molto del loro tempo, e parallelamente offrendo al personale insegnante e non della scuola, comprese le dirigenze, di usare un eccellente strumento che possa permettere una serena convivenza delle differenze.
Un’ultima domanda: che consiglio avete da dare alle famiglie di quelle giovani persone che si esprimono o si identificano con un genere diverso da quello assegnato alla nascita?
Alle famiglie raccomandiamo soprattutto due cose: la prima è non costruire scenari terribili partendo dal fatto di avere figlɜ con comportamenti di genere non conformi, o che chiedano di essere riconosciutɜ con un genere diverso da quello assegnato alla nascita.
È importante ribadire che tutte le esperienze sono valide, e quindi indipendentemente da ciò che affermerà di voler essere da grande nostrɜ figliɜ, la sua vita sarà degna di essere vissuta con gioia e amore. La seconda è quella di condividere la propria esperienza con persone che l’hanno già vissuta e che possono capire fino in fondo le difficoltà, i dubbi e le emozioni che si stanno provando.
Consiglierei loro di contattare GenderLens, la nostra associazione. Vivendo questa esperienza assieme ad altri genitori, ci sono tante cose che si possono imparare quando un figlio o una figlia ribaltano il senso che avevamo dato alle categorie del genere e del sesso.
Il valore della differenza, della libertà, dell’autenticità sono cose che ti entrano dentro, in profondità, e che, se tu lo permetti, ti trasformano in una persona migliore.
Che dire: “Meno male che c’è GenderLens!”. Ringraziamo Cecilia per il suo intervento: è grazie ad associazioni come la sua che si potranno dare risposte alle istanze dei nostri giovani per poter donare loro un futuro migliore.