Le tentazioni, il potere e il privilegio (Luca 4,1-13)
Riflessioni bibliche di Greg Carey e Kharma Amos, tratte dal sito Out in Scripture (Stati Uniti), del gennaio 2013, liberamente tradotte da Giacomo Tessaro
Ah, la tentazione. Cosa sarebbe la Quaresima senza la tentazione? Questa parola nella nostra cultura fa venire in mente alcune particolari immagini. C’è Gatto Silvestro con un angelo su una spalla e un diavoletto sull’altra. C’è Homer Simpson che cerca di ignorare la ciambelleria vicino a casa.
Le immagini popolari della tentazione hanno una cosa in comune: pongono l’accento sulla scelta individuale in un singolo momento.
Il racconto delle tentazioni di Luca 4,1-13 ci descrive una scelta individuale da parte di Gesù, ma la sua scelta è di non dare nemmeno un piccolo morso. La tentazione di Gesù implica un grande discernimento. Ecco la domanda “Chi sarà Gesù?”. A questo ci mette davanti la Quaresima, proponendo la vocazione come questione vitale e pressante.
La tentazione di Gesù, come viene presentata dal vangelo di Luca, pone il problema di cosa la sua identità messianica avrà a che fare con il privilegio e il potere. Gesù organizzerà forse delle dimostrazioni di potenza messianica? Cercherà gloria e autorità fini a se stesse? Si aspetterà che Dio certifichi la sua identità in maniera clamorosa? Per farla breve, trasformerà la sua vocazione messianica in vanagloria?
Il privilegio e il potere possono essere tentatori. Pongono grosse sfide per le comunità di fede degli Stati Uniti e del Canada. Delle voci all’interno delle Chiese cercano di farsi sentire per acquisire influenza politica, vista come un segno dello status della Chiesa. Spesso determinano le priorità della Chiesa con la sua lotta per avere influenza. Ma prestate attenzione al messaggio di Gesù che segue immediatamente le tentazioni.
Nella sinagoga di Nazareth legge la proclamazione di Isaia. Isaia proclama la buona novella a coloro che sono poveri, la liberazione a chi è prigioniero, il recupero della vista a chi è cieco, la libertà a chi è oppresso. Gesù ha accolto la visione del profeta come sua propria vocazione.
In lui la visione si è realizzata (Luca 4,16-20). La chiarezza sulla vocazione di Gesù lo ha fortificato di fronte alle tentazioni nel deserto e gli ha anche dato forza per la predicazione e le sfide che sono seguiti.
Qual è il vantaggio, di fronte alle tentazioni quotidiane, di avere un po’ di chiarezza sull’amore di Dio per voi e sulla chiamata che vi rivolge? Qual è il vantaggio della chiarezza sulla missione di Dio in una congregazione, soprattutto su come essa vive la sua missione nonostante tutto?
Anche l’apostolo Paolo esplora i legami tra vocazione e privilegio in Romani 10,8-13. Molte congregazioni sperimentano la tensione tra le nuove leve e la vecchia guardia. Nella denominazione di Greg Carey, la United Church of Christ, le comunità locali talvolta sperimentano questa tentazione quando discutono della prospettiva di diventare “Aperti e accoglienti” verso tutte le persone, a prescindere dall’orientamento sessuale e dall’identità di genere. Qualcuno chiede, anche ad alta voce, “Diventeremo una chiesa gay?”.
La lettera di Paolo ai Romani apparentemente parla di come alcuni credenti Gentili, le nuove leve, sono arrivati a guardare dall’alto in basso il gruppo, meno numeroso, di cristiani Ebrei che è tra loro.
Nella Chiesa quale opinione decide? Chi è chiamato da Dio? Chi sale al cielo e chi scende nell’abisso (versetti 6-7). Paolo insiste che “non c’è distinzione”. “Tutti quelli che invocano” Cristo conosceranno la generosità di Cristo; “tutti quelli che l’invocano” arriveranno alla salvezza (versetto 12). La Chiesa che segue Cristo non può usare la sua vocazione come arma di privilegio.
Il passo ci invita anche a riflettere sull’intreccio tra la vocazione della Chiesa e la vocazione degli individui chiamati da Dio. Che sfortuna che alcune Chiese usino potere e privilegi per negare la vocazione pastorale di così tante persone LGBT.
Meno male che Gesù non si è fatto dissuadere dalla sua vocazione dalle poche citazioni delle Scritture fatte dal diavolo (Luca 4,9-12). Aspettiamo con ansia il giorno in cui la Chiesa non farà più (letteralmente!) l’avvocato del diavolo utilizzando alcuni passi fuori contesto per perpetuare l’idea folle che le persone LGBT ricche di doni e di vocazione sono inadatte al ministero.
Come può il popolo di Dio rigettare il privilegio e celebrare la vocazione e il talento che vengono dati in dono da Dio? Deuteronomio 26,1-11 suggerisce un solo modo: ricordare chi siamo e da dove veniamo. Il nostro passato ci indicherà con umiltà la nostra vocazione.
Il Deuteronomio ci ricorda che siamo i discendenti di una minoranza, di un popolo straniero: “Mio padre era un Arameo errante” (Deuteronomio 26,5-9). Varie componenti etniche e culturali hanno contribuito a formare l’antico Israele. Alcune celebravano la liberazione dei loro avi dalla schiavitù in Egitto.
Quell’atto di liberazione insegnava qualcosa sulla vocazione. Il popolo di Dio doveva festeggiare, anche con chi era straniero, i doni della bontà di Dio (versetto 11). I quaranta giorni passati da Gesù nel deserto (Luca 4,1-13) evocano la peregrinazione di Israele nel deserto e sono una preparazione alla vocazione messianica di Gesù. Un modo per tenere il nostro potere e i nostri privilegi sotto controllo consiste nel tenere a mente con umiltà la liberazione dal deserto che Dio ci offre, come da tutte le forme di oppressione.
Per alcuni di noi, tuttavia, il passato è devastante e traumatico, per nulla liberante. Ripercorrere il nostro passato, tutto, è una grande sfida che dobbiamo affrontare con saggezza pastorale, talvolta con riserbo. Eppure porta in sé anche la promessa che possiamo festeggiare la nostra liberazione senza accampare privilegi.
Ogni volta che siamo tentati di escludere gli altri, ricordiamo che molti tra noi erano un tempo esclusi, ai margini della società. Il Salmo 90 (91), 1-2,9-16 testimonia che la fiducia in Dio, come le nostre vocazioni, deriva dalla sua fedeltà nel liberarci dall’oppressione.
Dio dichiara “Mi invocherà e gli darò risposta; presso di lui sarò nella sventura, lo salverò e lo renderò glorioso” (versetto 15). Con la fiducia posta in un simile Dio, che tipo di persone siamo? Come affrontiamo le prove della fede? Come viviamo?
Cosa nel vostro passato vi aiuta a scoprire ciò che Dio potrebbe volere da voi oggi? Cosa nel vostro passato sembra strapparvi dalla speranza che Dio ripone in voi?
La nostra preghiera
Santo Compagno delle nostre peregrinazioni nel deserto
avvicinati a noi e donaci forza.
Ricordaci le maniere in cui sei sempre stato
un Dio di liberazione per chi è alienato e perso.
Portaci ad abbracciare la nostra vocazione
per servirti e servirci l’un l’altro in maniera autentica
andando oltre noi stessi per donare potenza a chi non ne ha.
Amen
Testo originale (PDF): Ash Wednesday, Lent and Easter through Pentecost Sunday