Le unioni gay fanno tappa a Citta’ del Messico
Articolo di Fabrizio Mejìa Madrid tratto da Internazionale del 27 Luglio 2007, pp.46-47
Il 9 novembre 2006 , dopo una lunga discussione e nonostante l’opposizione della chiesa cattolica, Città del Messico ha legalizzato le unioni gay. Questa è la cronaca delle giornate che hanno cambiato la metropoli messicana e la vita di tanti uomni e donne omosessuali.
Quando Alejandra mi ha confessato di essere omosessuale, sono rimasto senza parole: è stata come una doccia fredda. Non sapeva come dirlo al marito, con cui stava da undici anni. Dirlo a sua madre, però, era ancora più difficile. Per fortuna la signora Tere, una casalinga che aveva iscritto i figli alla scuola bilingue “per dargli più opportunità nella vita”, l’ha anticipata e l’ha abbracciata.
Un anno dopo Alejandra, insieme alla compagna, ha partecipato a una manifestazione per l’orgoglio gay nel Df (il distretto della capitale, che i messicani chiamano Df). I gay pride, che si svolgono da almeno dieci anni, sono vissuti dagli abitanti di Città del Messico come il carnevale che fu proibito nel settecento, quando i pazzi erano liberi di vagare per strada e gli uomini e le donne si scambiavano i vestiti.
Il 19 novembre 2006, il giorno in cui il Df ha approvato la “Ley de sociedades de convivencia” (una norma che riconosce legalmente l’unione delle coppie omosessuali), ho incontrato Alejandra e la compagna davanti al parlamento.
Alle due del pomeriggio era già successo di tutto: un gruppo di evangelici aveva accusato i parlamentari di Città del Messico di promuovere la distruzione della famiglia e il presidente dell’associazione degli avvocati cattolici, Alfonso Farrera, aveva dichiarato: “Fornicazione e omosessualità sono vietate dalla Bibbia. Legalizzarle significa schierarsi contro il testo sacro”.
C’erano anche stati degli scontri con i gruppi per la difesa dei diritti civili, ma senza feriti. Un’ora dopo, con 43 voti a favore, 17 contrari (quelli del Partito d’azione nazionale, conservatore) e cinque astensioni, è stata approvata la nuova legge.
Il dibattito è durato sette anni, perché l’ex sindaco della capitale, Andrés Manuel Lòpez Obrador (del Partito della rivoluzione democratica, progressista), si è sempre rifiutato di prendere una posizione. Considerata la sua vicinanza alla chiesa, non gli conveniva affrontare il dibattito sull’aborto. Obrador ha preferito convocare un referendum e guadagnare tempo.
Una storia antica
Ma la storia della legge è molto più antica. Comincia nel 1971, quando il gestore di un negozio di Città del Messico, Sears, licenziò un dipendente perché era “effeminato”. L’attrice Nancy C°rdenas, che organizzava riunioni di lesbiche come quelle del Gay liberation front di Londra, convocò una manifestazione di protesta contro quella discriminazione. La polizia disperse i manifestanti ma pochi giorni dopo, il 15agosto, nacque il Fronte di liberazione omosessuale del Messico (Flhm).
Da lì sorse una rete di gruppi, laboratori e mostre che si fecero conoscere una decina di anni più tardi, quando cominciò a diffondersi l’aids. Fu proprio la malattia a dare visibilità agli omosessuali: si fecero promotori delle campagne per l’uso del preservativo, l’assistenza ai malati e la solidarietà reciproca. Negli anni ottanta gli eterosessuali e gli omosessuali di Città del Messico avevano qualcosa in comune: tutti cercavano di proteggersi dall’aids. Ci furono cambiamenti importanti: il termine “preservativo” smise di essere una parola proibita e lentamente la parola puto – che in messicano associa la vigliaccheria all’orientamento omosessuale — lasciò spazio a “gay”.
E la vita notturna favorì la convivenza tra eterosessuali e gay (ricordo ancora con emozione il Bar 9 di Henri Donadieu): a tutti piaceva il nuovo rock spagnolo e il cabaret postmoderno. La vicinanza fisica e gli applausi condivisi liberarono il paese della preghiera dalle tare e dai pregiudizi che lo infestavano. Negli anni novanta la visibilità delle minoranze si “è normalizzata” al punto che è nato un personaggio come il subcomandante Marcos, per cui l’etnia è una preferenza: si dichiara indio anche se non lo sembra.
L’identità individuale si concretizza comunicandola agli altri: è una scelta innanzitutto linguistica e poi operativa. L’aspetto di una persona solleva sempre meno pregiudizi. Così la marcia per l’orgoglio gay nel paseo de la Reforma, che era considerata una specie di carnevale in cui “andare a vedere come sono i travestiti”, diventa un evento normale, che non suscita critiche né atteggiamenti morbosi.
Sulla scalinata del parlamento di Città del Messico le persone che manifestavano per i diritti civili si abbracciavano e festeggiavano. A loro favore ha giocato la posizione ufficiale della chiesa, che non ha sfidato apertamente la legge. Hugo Valdemar, portavoce del cardinale Norberto Rivera, ha detto: “In Messico la famiglia è abbastanza tradizionale. Certe scelte non sono accettate dalla società e suscitano critiche e comportamenti omofobi”.
I mezzi d’informazione hanno presentato la proposta come un’iniziativa a favore delle anziane che vivono con le badanti. La tv e la radio hanno dato spazio a pareri favorevoli e contrari, minimizzando alcuni effetti della legge per non perdere audience. Il Partito d’azione nazionale al governo ha parlato di “difetti di procedura” nella elaborazione della norma, ma non ha mai ammesso in pubblico i suoi pregiudizi religiosi. Così la legge che autorizza le unioni omosessuali è stata approvata.
I chilangos (abitanti di Città del Messico) sono diventati tolleranti più per necessità che per convinzione. Per sopravvivere alla folla della metropolitana la tolleranza è obbligatoria: non sarebbe ragionevole pensare che gli altri non hanno diritto al loro spazio. Se cantano, ridono a crepapelle, si baciano o si toccano nessuno può riprenderli senza passare per pazzo.
Dal caos di una città con più di diciotto milioni di abitanti nasce la complicità: o rimaniamo tutti a galla o affondiamo. Questa convinzione porta a comportamenti stravaganti: chi si diverte perché il giorno del derby messicano i sindacati bloccano i due viali principali della città per protestare contro le pensioni è un vero chilango. Gli abitanti della capitale vivono le cose come se fossero in un film, prendendo le distanze e vedendo il lato ridicolo in tutto. E per questo che, a differenza di altre metropoli latinoamericane, il Df non si considera tragico, ma farsesco. […]