Le vite dentro la parola trans. Il cammino di Gabriele per essere se stesso
Testimonianza di Gabriele*
Mi chiamo Gabriele, ma questo è ufficialmente il mio nome da solo 3 anni, per 48 anni ho portato un nome femminile. Sono un uomo transessuale, un FtM, cioè uno che biologicamente è nato femmina, ma che non si è mai sentito tale.
I primi ricordi di disagio che ho, risalgono agli anni delle elementari, non mi riconoscevo in nessuno dei 2 sessi: sentivo di non appartenere completamente né al maschile, né al femminile. Le cose da femmina non mi piacevano, giocavo di più con i maschi, con i lego, le macchinine, il trenino, la bici, ma non a pallone e mai giochi violenti. Mi sentivo più affine ai maschi, ma il mio corpo era diverso. Mio padre, cercava di accontentarmi, quando chiedevo giochi che non erano propriamente da bambina, mentre mia madre cercava in tutti i modi di farmi diventare la figlia che avrebbe voluto, instillando in me un senso di inadeguatezza, misto a sensi di colpa, che mi porto dietro ancora oggi.
Durante l’adolescenza ho avuto un periodo di confusione, il primo di una serie, perché provavo attrazione sia per i maschi che per le femmine, e la mia identità di genere veniva messa in discussione. Con il tempo, e confrontandomi con altre persone nella mia situazione, ho capito che l’identità di genere e l’orientamento sessuale, non sono collegate tra loro.
A 18 anni ho conosciuto il ragazzo che ho sposato a 23. Non è stato un matrimonio felice, anche se devo dire che i ruoli in casa erano invertiti, ma troppe cose non funzionavano, dai caratteri troppo diversi al sesso. Nonostante tutto siamo rimasti sposati 18 anni, un periodo molto infelice per me, in cui mi sembra di aver perso del tempo prezioso.
Dopo la chiusura del rapporto, ho conosciuto una persona transgender non medicalizzata, una MtF, cioè il mio contrario, e con lei sono riuscito a vivere un’intimità serena ed appagante, e a smettere di colpevolizzarmi, pensando di non essere normale, mentre invece serviva solo la persona giusta.
Dopo questa persona, che ho frequentato a fasi alterne per alcuni anni, ho instaurato amicizie con donne lesbiche, perché ero convinto di essere lesbica, e come tale ho avuto delle relazioni, sempre brevi (pare che abbia un brutto carattere). Il mio disagio non era sparito, ed è capitato di conoscere un’attivista trans MtF, con cui è nata una bella amicizia, e che mi consigliò di rivolgermi ad un gruppo di auto mutuo aiuto sull’identità di genere, gestito da un circolo culturale di Milano. Quella fu la svolta, perché ebbi modo di parlare del mio disagio con altre persone come me, e quello che ero mi arrivò dritto in faccia, come un treno lanciato a folle velocità.
Parlai della cosa con i genitori, iniziò un periodo di allontanamento da parte mia, visto l’atteggiamento ostile di mia madre. Mi chiesero di fare delle sedute da una psicologa, ci andai, anche se lei mi disse subito che ero il suo primo caso di disforia di genere. Io sapevo bene di voler iniziare il percorso di transizione, e per fortuna tramite le associazioni e i vari partecipanti ai gruppi, ci si passa le informazioni.
Decisi di appoggiarmi all’ospedale Niguarda, dove feci due colloqui con la psichiatra e alcuni esami fisici, e qui arrivò una doccia fredda, di quelle che ti possono stroncare: scoprirono che avevo un tumore al pancreas, con metastasi al fegato.
La transizione fu messa da parte, e ci concentrammo sul tumore, che era il primo problema da risolvere. Cambiai ospedale e decisi di farmi seguire a Rozzano all’Humanitas. 5 anni fa venni operato, passai 11 ore in sala operatoria e mi tennero fino al giorno dopo in terapia intensiva.
Ci misi alcuni mesi a riprendermi dall’intervento, che ha avuto successo, riuscendo a rimuovere il tumore primitivo e diverse metastasi, lasciandone 5 che tengo sotto controllo ogni 6 mesi, e facendo un’iniezione 1 volta al mese. Sono diventato diabetico insulino dipendente, ma ho una vita piuttosto normale.
Dopo 7 mesi dall’intervento e alcuni colloqui con la psichiatra, ho potuto iniziare la terapia ormonale, che dovrò assumere a vita. Visto che volevo essere Gabriele a tutti gli effetti, ho presentato istanza al tribunale, per gli interventi e il cambio dei documenti, allegando una perizia psichiatrica, redatta dalla dottoressa che mi aveva in cura.
Nell’estate del 2017 ho avuto l’autorizzazione e mi sono sottoposto all’intervento di mastectomia nel gennaio 2018 a Ragusa. È stato un bel traguardo, riuscire finalmente a riconoscermi nello specchio.
I rapporti con i genitori sono migliorati tantissimo, mia madre ha avuto modo di sentire le esperienze di altri genitori e ha lasciato i pregiudizi dietro le spalle.
Le ho fatto conoscere miei amici trans, e si è resa conto che dietro quella parola ci sono individui come lei, che provano sentimenti come tutti e sono unici e forti e determinati.
* Un grazie di cuore a Gabriele per aver voluto donare una sua riflessione al progetto TRANSizioni de La tenda di Gionata, composto da persone transessuali e non e dai loro genitori, che vuole contribuire a combattere i pregiudizi che le persone transessuali e i loro genitori vivono ogni giorno, nella società e nelle chiese, attraverso la conoscenza e la testimonianza consci che “si teme ciò che non si conosce, e non si conosce ciò che si teme“. Se vuoi contattarci scrivi a tendadigionata@gmail.com
> Scopri le storie di chi non ha voce, scopri il Progetto TRANSizioni