L’ebraismo LGBT fra tradizione e nuove esigenze
Testo tratto dal libretto “Coming Home to Judaism and to Self” pubblicato dall’associazione Human Rights Campaign (Stati Uniti), liberamente tradotto da Silvia Lanzi
In una cultura in rapido cambiamento, a volte è difficile mantenere le tradizioni religiose che modellano la nostra comprensione del mondo e che sentiamo essenziali per la nostra identità. Questo può essere particolarmente difficile per le persone LGBTQ, che potrebbero sentirsi rifiutate dalla loro comunità di fede o sentire che la loro identità spirituale scollegata dalla vita quotidiana.
Un innato impegno nella giustizia sociale ha portato gli ebrei in prima linea per ciò che riguarda l’uguaglianza delle persone LGBTQ. Rachel Laser, vice-direttrice del Centro d’Azione Religiosa del Giudaismo Riformato, dice: “Tikkun olam, l’idea di risanare il mondo, è una parte importante dell’identità ebraica. È nella nostra tradizione orale e culturale. È nella Torah. Noi tutti siamo creati ad immagine di Dio. Il continuo viaggiare (la diaspora), che costituisce la nostra essenza di popolo perseguitato, significa anche che ci identifichiamo con le persone vulnerabili. È la nostra esperienza. È la nostra tradizione vivente”.
Un viaggio personale
Il viaggio personale del rabbino Victor Appell riflette il cambiamento di atteggiamento dell’ebraismo rispetto alle tematiche LGBTQ negli ultimi decenni. Mentre era al college, negli anni ’80, gli fu offerta una posizione di spicco in un’organizzazione giovanile ebraica, ma egli rifiutò ancor prima di iniziare: “Avevano sentito voci che ero gay. Tutti i miei amici lo sapevano, ma in sinagoga nessuno aveva il coraggio di dirmi che non avrei avuto il posto”.
Desideroso di diventare rabbino, Appell scelse di non andare allo Hebrew Union College (il seminario del Movimento Riformato) perché la sua domanda d’iscrizione, a quell’epoca, prevedeva delle domande sulla sua sessualità: “Non avevo intenzione di fingere di non essere gay”. Invece entrò nel mercato dell’abbigliamento di New York: “Nella mia famiglia, se non sapevi cosa fare, ti lanciavi nel mercato degli abiti di seconda mano” dice ridendo. A New York iniziò a frequentare una sinagoga LGBTQ: “La congregazione non aveva un rabbino, così diventai parte del gruppo organizzativo laico e spesso guidavo i servizi religiosi. Questo fu uno sbocco per la carriera rabbinica che non avevo potuto avere”.
La sinagoga incontra anche quelli che Appell definisce i “bisogni ebraici”, che includono un luogo per il culto, per le cene dello Shabbat, per la famiglia e la comunità: “La maggior parte degli uomini con cui sono uscito in questi anni sono uomini che ho incontrato in sinagoga” aggiunge.
Testo originale (PDF): Coming Home to Judaism and to Self