Legge contro l’Omofobia, il dibattito in corso nella chiesa cattolica visto da Avvenire
Articolo di Valerio Gigante pubblicato sul settimanale Adista Notizie n.25 del 27 giugno 2020, pp.9-11
Ha suscitato un certo dissenso, e una certa irritazione nel mondo cattolico progressista – ma non tra i credenti Lgbt –, il modo con cui il quotidiano della presidenza dei vescovi italiani Avvenire ha affrontato il tema delle proposte di legge sull’omofobia e la transfobia attualmente in discussione alla Commissione Giustizia della Camera (v. Adista Notizie n. 24/2020).
Tutto è iniziato l’11 giugno scorso, con questo titolo di apertura in prima pagina: “Contro l’omofobia le norme già ci sono” e due pagine interne, la 4 e la 5 , esclusivamente dedicate al tema. Con un articolo di Alessia Guerrieri che “raccontava” la nota della Cei (peraltro riprodotta integralmente a partire dalla “spalla” di pagina 1) e un commento di Luciano Moia che supportava la posizione della Cei, senza citare posizioni diverse, anche in ambito cattolico. E chiedendosi preoccupato: «Sostenere, per esempio, che le unioni omosessuali sono scelta ontologicamente e biologicamente diversa rispetto al matrimonio fondato sul matrimonio tra uomo e donna, potrebbe diventare opinione sanzionabile? E sottolineare che la tesi della “nessuna differenza” tra gli esiti psicologici-esistenziali mostrati dai figli che vivono all’interno di famiglie gay rispetto a quelli che vivono e crescono con i propri genitori biologici, eterosessuali, potrà diventare atto d’accusa?».
Chiudeva l’ampia sezione dedicata al tema la posizione di Agapo, una associazione di genitori e amici di persone omosessuali che si dichiarava contraria a una nuova legge; e un articolo, corredato da intervista a un magistrato di Cassazione, che titolava a proposito delle proposte di legge all’esame della Camera “Formule vaghe nelle 5 proposte”.
È vero che lo stesso Moia, nell’edizione del 12 giugno (anche in seguito alle probabili reazioni giunte in redazione l’11), intervistava Alessandro Zan, deputato del Pd, incaricato di stendere una sintesi che tenti di unificare in una sola proposta i cinque progetti di legge sull’omofobia. Ma l’intervista serviva soprattutto a tranquillizzare una parte del pubblico di Avvenire preoccupata dai possibili effetti della legge; e a tranquillizzare la gerarchia cattolica sul fatto che non è intenzione della legge perseguire le opinioni. Domandava Moia: «Facciamo un esempio concreto per fugare ogni dubbio. Affermare la verità del matrimonio fondato sull’amore tra uomo e donna, senza attribuire identica valenza alle unioni omosessuali, diventerà un reato?». «Ma certamente no», era la risposta di Zan. E spiegava: «Io, da omosessuale, non sarò d’accordo con lei. Magari, esercitando la mia libertà d’opinione, la inviterò a ragionare sull’opportunità di parlare di famiglie al plurale, ma questo rientra appunto nella garanzia costituzionale. Si tratta di esercizio della libertà d’espressione che, ripeto, nessuno vuole intaccare. Non vogliamo leggi liberticide».
Il giorno successivo, il 13 giugno, compariva invece un intervista al senatore ciellino Maurizio Lupi. Titolo: “Lupi: omofobia, il dibattito sia sereno. Ma il pericolo di una censura esiste”. Sullo stesso numero, anche una intervista a Cristina Simonelli, presidente del Coordinamento delle teologhe italiane che esprimeva perplessità sulla formula “identità di genere” usata nella proposta di legge, un’espressione che «sostituisce l’identità basata sul sesso con un’identità basata sul genere dichiarato». Perplessità condivisa anche da 12 donne che si riconoscono nell’associazione femminista “Se non ora quando-Libere”, firmatarie di una lettera ai deputati chiamati a discutere del progetto, di cui Avvenire dava conto sulla spalla di p. 4.
Si arrivava al 14, quando – finalmente – il quotidiano della presidenza della Cei decideva di pubblicare una parte delle tante lettere giunte in redazione sul tema di una eventuale legge che punisca omofobia e transfobia. E dava la parola a due parlamentari cattolici, Paola Binetti e Stefano Ceccanti, che finalmente presentavano due visioni diverse sulla opportunità della legge. Delle lettere al direttore, solo una si esprimeva a favore di una legge, senza peraltro criticare Avvenire per il modo con cui aveva informato i propri lettori nei giorni precedenti.
Nell’edizione di Avvenire datata 16 giugno, sempre nella rubrica delle lettere al direttore, a p. 2, venivano pubblicate altre lettere in maggioranza con posizioni diverse da quella della Cei. Anche quella di una insegnante di religione cattolica, Carla Mantello, che – dopo aver fatto i complimenti al direttore di Avvenire Marco Tarquinio «per lo spazio che sul suo (e nostro!) giornale trovano posizioni anche diversissime» (sic!) – presentava un punto di vista coraggioso, visto il suo ruolo di docente di Irc: «Vorrei chiarire che ho sempre pensato che di famiglie ne esistono di molti tipi e si tratta di famiglie vere anche se non sono basate sul matrimonio tra uomo e donna. Una mamma, abbandonata dal padre dei suoi figli, che vive con questi figli e li ama e se ne prende cura, due giovani che decidono di convivere perché si amano e hanno un progetto di vita insieme ma non intendono sposarsi, due sorelle che vivono insieme e magari non sono mai state sposate o forse sì, due persone dello stesso sesso che si amano, si scelgono e decidono di condividere tutto della loro vita… in tutte queste situazioni per me c’è una famiglia».
Le altre lettere ad Avvenire
Ci sono state però diverse altre lettere inviate ad Avvenire di credenti che hanno espresso rammarico per la posizione “a senso unico” del quotidiano della Cei. E che non sono state pubblicate. Qualcuna è stata inviata, per conoscenza, anche alla redazione di Adista.
Elena ed Enrico Carretti, «sposati da trentatré anni e genitori di tre figli», ad esempio. «Da sempre attivi nella nostra parrocchia [la Regina Pacis, ndr] e nella diocesi di Reggio Emilia nella pastorale famigliare e alcuni anni fa» hanno dato vita «assieme al parroco a un gruppo di preghiera per persone lgbt e genitori con figli lgbt aperto a tutti i parrocchiani inserito nella pastorale ordinaria dell’unità pastorale di cui facciamo parte». Si dicono «disorientati e delusi» dal comunicato della Cei e dalla posizione assunta da Avvenire, «da sempre da noi ritenuto un giornale di riferimento. Disorientati perchè quanto detto contraddice completamente il messaggio di accoglienza finora espresso da voi verso le persone lgbt e i loro famigliari e delusi perchè quello che dice non rispecchia il messaggio cristiano, non difende i più fragili, quelli come gli omosessuali, i transessuali, bisessuali, intersessuali che spesso vivono ai margini e nel nascondimento per paura perchè vittime di tanti soprusi e violenze verbali e fisiche. Se non è la Chiesa cattolica che li accoglie e li difende proprio in attuazione del messaggio del Vangelo chi deve farlo? Qualsiasi disposizione che possa aumentare la loro protezione e difesa deve essere accolta e sostenuta e invece qui accade il contrario».
Corrado e Michela Contini, di Parma scrivono al direttore Tarquinio «fortemente amareggiati » dall’ampio risalto dato da Avvenire «ai commenti tutti monodirezionali riguardanti il comunicato della Presidenza della CEI in cui si afferma che “non serve una nuova legge contro i reati di omotransfobia”».
«Amareggiati perché si paventa la minaccia di “derive liberticide” quando ancora la legge è in bozza di discussione mentre, per contro, si prevede espressamente che l’estensione della legge Mancino è solo relativa all’incitamento all’odio e alla violenza agita, non alla espressione di idee», ma anche «perché abbiamo visto in questo comunicato una intrusione ”a gamba tesa” nei tempi e nei modi, in quello che è per la nostra Costituzione e il nostro sentire di laici, il luogo deputato alla formazione delle leggi che regolano la civile convivenza e cioè il dibattito parlamentare».
Scrive invece Claudio Corvaglia di Mestre: «Qualche risposta a me genitore dovete pur darla se ai nostri figli continuate a chiudere porte e cuori, senza accennare alle umiliazioni che negli anni la Chiesa attraverso alcuni suoi pastori ha continuato a seminare. Tutto ha un limite di tolleranza e come genitore voglio sia dato spazio e accoglienza per questi nostri figli nella nostra Chiesa perché la mia fede non prevede violenze di nessun tipo e purtroppo sin qui ne hanno subite troppe dentro e fuori la Chiesa. Seminiamo speranza e non intolleranza, amore, come Chiesa siamo sempre di esempio del rispetto dei diritti mantenendo il ruolo che ci spetta. Certamente quanto scritto rallenta, come è tipico per la Chiesa, questo fecondo tempo di nuovi entusiasmi».
«Come cittadina italiana e credente – è invece la critica di Cinzia Bellani, di Milano – sono molto stupita dal Vostro articolo odierno dal titolo “Vescovi contro ogni discriminazione. Omofobia non serve una nuova legge”, che non mi pare vada nella direzione di una corretta informazione. Innanzitutto perché presenta solo la voce dei vescovi senza dare spazio a una replica dei relatori dei vari ddl allo studio, poi perché non dà voce anche ai laici che sono sempre parte della Chiesa italiana e vivono più direttamente la realtà della società».
Il 17 giugno Avvenire torna sulla questione, con un editoriale a firma di Francesco d’Agostino, che insiste: «Una volta approvata una nuova normativa sulla omotransfobia, senza radicali emendamenti ai testi sinora noti, potrebbe essere perseguito penalmente chi difendesse la famiglia eterosessuale e criticasse l’omogenitorialità: un timore tutt’altro che peregrino, anche a causa dell’interpretazione estensiva che alcuni magistrati potrebbero dare della nuova legge, ancorché misurata nelle sue espressioni ». Seguono a p. 2, altre lettere, tra cui una soltanto nettamente favorevole alla legge.
La questione, però, non è tanto di “par condicio”, che Avvenire ha – seppur tardivamente – in parte garantito. Ogni giornale ha un editore ed esprime una sua linea. E anche i giornali – come Adista – che editori non ne hanno (perché sono una cooperativa di giornalisti) hanno ugualmente una linea, spesso ben riconoscibile.
Avere una linea non significa però – è questa è la critica che da decenni viene mossa ad Avvenire – pensare che il mondo cattolico si riconosca in maniera unitaria e unanime in essa. Né pensare di non dover dar conto, sulle proprie pagine, anche di opinioni diverse e difformi da quelle dei vescovi. Tanto più se esse sono, ancora una volta, quelle minoritarie e non maggioritarie all’interno della Chiesa.