Lesbicità e ebraicità secondo lei
Articolo di Alberto Leiss pubblicato su Il manifesto del 13 novembre 2018, pag.15
«Ho avuto un pariodo kamikaze: “Piacere, Anna Segre, ebrea, lesbica”. Tu, che mi tendevi ignaro la mano, eri la cintura di esplosivo e la vittima al contempo. Ti testavo. Mi testavo. Si vede proprio che sono figlia di mio padre, l’ingegnere nucleare, io, con i miei esperimenti davanti alle Isole Bikini». Questo è il “punto” Temeraria nucleare, 84 di 100, nel librino (ma il diminutivo riguarda il formato) di Anna Segre 100 punti di lesbicità (secondo me) pubblicato da elliot (83 pagine, 9,50 euro). Se pensate di leggerlo, comprate anche il gemello 100 punti di ebraicità (secondo me) (stesso prezzo, solo quattro pagine in meno).
L’autrice è una donna minuta, gli occhialini tondi, che spesso sorride in modo diverso con lo sguardo e con le labbra, sprizzando una energia appuntita e contagiosa. A base di battute folgoranti. Perché due piccoli densissimi libri paralleli per parlare delle identità difficili di una stessa persona, identità che spesso nei testi si inseguono e si incrociano? Pare, in parte, per ragioni «editoriali»: sono tematiche «imbarazzanti», e così si può scegliere.
Si indovina la maliziosa curiosità dell’autrice: chi vincerà la gara dell’interesse e delle vendite (e per converso, del In una parola Lesbicità e ebraicità (secondo lei) rifiuto, se non del fastidio)? C’è poi quel duplicato secondo lei. Anche qui ci sarebbe lo zampino dell’editore. Sia chiaro: sono tutte idee e provocazioni sue…
Il che fa pensare che ancora oggi, anno di grazia 2018, la condizione dell’ebrea % della lesbica sia guardata come ostile, pericolosa, perturbante. E del resto — racconta Anna — alla parola «lesbica» è stata preferita quella più astratta,«lesbicità», un neologismo.
Che le cose siano ancora molto lontane dal superamento dei pregiudizi lo suive e lo testimonia l’autrice: «Per molto tempo, ho considerato la parola “lesbica” cacofonica, limitante, stigmatizzante, insultante». Anzi, è forse solo dalla scrittura e pubblicazione di questi due libri che lei ha preso a usarla con minore disagio, quando non con atomica baldanza (difensiva).
Ma anche qui — siamo alla breve introduzione dei 100 punti di lesbicità — segue immediatamente una considerazione sulla oppressione delle donne, sulle ideologie e sulle religioni che la praticano o la sottintendono, compresa la religione ebraica, che condanna come «abominio» l’omosessualità maschile, la masturbazione e il tradimento coniugale, ma d donne non parla se non come la proprietà altrui che è peccato desiderare. Una «sfocatezza» sulla omosessualità femminile, e sulla sessualità femminile, che in fondo si è conservata fino a oggi.
L’ebraicità di Anna, d’altra parte, non ha nulla di ortodosso, mi pare. Queste condizioni di vita, queste culture, linguaggi, sentimenti, ereditate dalla famiglia o trovate e inventate chissà come mai, diventano «identità» difficili perché vengono attaccate, perseguitate. «E la discriminazione a generare identità. Io vivrei di mille identità diverse… ma queste due sono assediate dall’esterno». Un confronto col mondo che costruisce «grattacieli di difficoltà», sin da quando una madre ingiunge: «…almeno diventa una persona speciale!…». C’è qualcosa da farsi perdonare, ed è il senso di colpa condiviso che cementa identità e comunità. (Dove non manca la battuta della scrittrice di mestiere psicoterapeuta: lo so bene io che sui sensi di colpa ci campo!).
Su questo ci sarebbe da discutere. Anche le identità larghe, maggioritarie e apparentemente bene accette anziché acquietarsi, sentono il bisogno di accanirsi contro altri, tanto meglio se minoranze più facili da sottomettere. Quali demoni le tormentano?