Lettera a Gesù bambino vent’anni dopo
Lettera di Gianni Geraci, portavoce de Il Guado, gruppo di cristiani omosessuali di Milano
Andando a frugare nel mio PC ho trovato questo testo che avevo scritto esattamente vent’anni fa. Colpito dal fatto che, vent’anni dopo mi ritrovo con le stesse paure e le stesse speranze di allora, ho deciso di proporla in questo Natale in cui, come allora, sono rimasto solo con la mia fragile speranza.
Caro Gesù Bambino! Così, da piccolo, iniziavano le letterine con cui chiedevo i miei regali di Natale. Una magia strana, quella che mi veniva proposta con quelle lettere, una magia che ancora mi spinge a scriverti una lettera molto diversa da quelle che ti scrivevo allora, quando non avevo dubbi sul fatto che tu leggessi quello che ti scrivevo per soddisfare poi le mie richieste.
Adesso, pur dichiarandomi credente ho molti più dubbi sul fatto che tu possa leggere quello che scrivo: non ho più le certezze ingenue di un tempo e, se continuo ad aggrapparmi alla Fede in cui sono cresciuto, non lo faccio tanto per convinzione, quanto perché sento il bisogno di conservare in me la Speranza e di aiutare quelli che incontro a mantenere viva quella stessa Speranza.
Eppure, mai come in questo momento, vivo in maniera lancinante il dubbio che quella Speranza non abbia senso e che la nostra vita sia veramente soltanto, per usare le parole di Petrolini «un pacco postale che l’ostetrico spedisce al becchino».
Ho appena ricevuto un’email in cui uno sconosciuto ha scritto: «Glielo chiedo ufficialmente! Dove posso trovare la pace vera?» e io, che avrei dovuto senza esitazioni pensare a te, ricordandogli che gli angeli, nell’annunciare la tua nascita, parlano anche di «pace in terra agli uomini» (Lc 2,14), sono entrato in crisi e mi sono chiesto: «Ma stiamo andando verso qualche cosa, oppure vaghiamo nel buio in attesa del momento in cui ci accasceremo sfiniti?»
Caro Gesù Bambino, lo vedi in che “casino” ci siamo cacciati quando abbiamo voluto aprire gli occhi e vedere le cose per quello che sono e non per quello che gli altri ci hanno raccontato! Scusami se te lo dico, ma la colpa è anche tua, perché alla fine sei stato tu che ci hai insegnato a usare il dono della nostra intelligenza perdendo quell’ingenuità che ci portava a credere tutto quello che ci veniva raccontato.
Hai presente quel brano di Isaia che si legge proprio a Natale? Quello in cui il profeta dice: «Un popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce!» (Is 9,1). Non posso non considerare il fatto che questa grande luce io, attualmente, non riesco a vederla e ho la netta la sensazione di camminare nelle tenebre più fitte di una vita in cui diventa difficile distinguere ciò che è giusto da ciò che non lo è; in cui la menzogna è più ascoltata della verità; in cui le nostre contraddizioni fanno il paio con le contraddizioni di una civiltà in cui si parla di diritti dell’uomo e si costruiscono questi stessi diritti sulla miseria di tanti uomini che non hanno più diritti.
Caro Gesù, abbiamo bisogno di luce! Di luce autentica, una luce capace di farci finalmente riposare come la luce dell’Oreb, quando Pietro dice al Signore: «Signore, è bello per noi restare qui; se vuoi, farò qui tre tende» (Mt 17,4). La luce che ha spinto i discepoli di Emmaus a esclamare: «Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi?».
Una luce intima e splendente nello stesso tempo, capace di dare un senso alle contraddizioni in cui viviamo, accettandole con la tranquillità che si incontra leggendo il Salmo 130 che ci fa dire: «Non vado in cerca di cose grandi, superiori alle mie forze!».
Abbiamo bisogno di luce e, più ci agitiamo per cercarla, più intorpidiamo le acque in cui siamo immersi e ci allontaniamo da essa. Abbiamo bisogno di luce, ma anche in questo nostro disperato bisogno di luce, siamo contraddittori e incostanti: l’immagine del Buddha, l’Illuminato, che sta fermo anni e anni sotto un albero in attesa di una risposta, ci fa capire quanto profondo è l’abisso che c’è tra il nostro desiderio di pienezza e di autenticità e la nostra capacità di vivere inseguendo questo desiderio. A ogni angolo spuntano decine di ‘idoli’ che ci portano a dimenticare il nostro bisogno autentico di luce e che, alla fine, ci permettono, per un po’ di tirare avanti.
Il mondo ha bisogno di luce, la stessa grande luce profetizzata da Isaia; la stessa luce che, come dice Giovanni, è venuta nel mondo, ma non è stata accolta dalle tenebre (Gc 1,5); quella stessa luce che cerchiamo disperatamente, nella speranza di trovare finalmente un po’ di calore e un po’ di pace.
Il mondo ha bisogno di luce. E nel Vangelo ci dici che quella luce siamo proprio noi. «Voi siete la luce del mondo» ricordi alle folle dopo esserti seduto sulla montagna (Mt 5,14). In sostanza ci inviti a non avere paura, a scommettere sulla tua amicizia e sulla tua vicinanza, quando ci accorgiamo che siamo noi a dover dare una risposta al mondo che cerca la luce.
Il mondo ha bisogno di luce, ma questa luce manca, perché noi l’abbiamo soffocata con le nostre ipocrisie, con i continui compromessi, con le mille luci artificiali che ci ipnotizzano e che ci rendono schiavi che dimenticano di essere stati creati per vivere nella libertà.
E qui è il punto, carissimo Gesù: noi cristiani non siamo più capaci di portare la luce, perché professiamo una Fede in cui non crediamo davvero, perché indichiamo una Speranza su cui non siamo disposti a scommettere, perché chiamiamo con il nome di carità la realizzazione dei nostri progetti, la soddisfazione dei nostri desideri e il superamento dei nostri sensi di colpa.
Qui sta il problema! Abbiamo trasformato il Natale in una festa dei buoni sentimenti, una festa in cui ci si chiude al caldo per stare, bene mentre tu sei uscito da casa tua, ti sei avventurato al freddo e hai cercato di guardare negli occhi la nostra infelicità per farla definitivamente tua. Ci abbuffiamo fino alla nausea, ci strofiniamo gli uni con gli altri fino allo sfinimento, ci riversiamo addosso barili di melassa pur di dimenticare le sofferenze di chi è escluso dalle nostre feste.Un omosessuale queste cose dovrebbe conoscerle bene, perché spesso gli è capitato di passare il Natale da solo, escluso dai rapporti a cui tiene veramente e immerso in un’atmosfera che non riesce a far sua.
Magari è anche seduto insieme a tanti altri commensali intorno a una tavola imbandita, ma il suo cuore è immerso nella tristezza ed è magari lontano migliaia di chilometri. Sorride mentre nell’intimo soffre la solitudine di chi non ha ancora il coraggio di parlare tranquillamente delle cose che gli stanno veramente a cuore. Brinda e scambia messaggi d’auguri, ma dentro si chiede se quei messaggi arriverebbero se gli altri sapessero davvero che lui è omosessuale. In sostanza vive la propria solitudine in compagnia degli altri e si rende conto che quella stessa solitudine non è meno crudele di quella di chi è veramente solo in una stanza vuota.
Un omosessuale queste cose le conosce meglio e quindi, per questo motivo, è chiamato a fare il salto di qualità e a diventare in prima persona un “portatore di luce”, di quella luce che tu hai affidato ai tuoi discepoli quando hai detto: «Voi siete la luce del mondo!», di quella luce di cui parla Isaia nella sua profezia. Dovremmo finalmente guardarci intorno, mettere da parte i nostri problemi e fare nostri i problemi delle persone che incontriamo.
Dovremmo diventare capaci di gesti di solidarietà che dimostrino come anche noi omosessuali siamo capaci di amare in modo autentico. Dovremmo riempire con la nostra solitudine, la solitudine di chi è più solo di noi. Dovremmo soccorrere, con la nostra povertà, la povertà di chi è più povero di noi. Dovremmo portare la nostra solidarietà di persone che troppo spesso vengono indicate come portatrici di disvalori e mostrare così che anche noi abbiamo dei valori. Il mondo ha bisogno di luce! Proprio perché la grande luce annunciata da Isaia ancora non si vede.
Il mondo ha bisogno di luce! E noi siamo chiamati a portare la tua luce a tutti, dimostrando che i pregiudizi di chi crede di poter decidere chi può e chi non può testimoniare il tuo Vangelo, non hanno fondamento. Il mondo ha bisogno di luce! Ma quando vediamo le persone rifiutarci per la nostra omosessualità e dire che la nostra stessa esistenza è un attentato al benessere dell’umanità, ci sentiamo così soli che rischiamo di abbandonare il compito che tu ci hai affidato di essere portatori di luce.
Il mondo ha bisogno di luce! E noi siamo quella luce: una luce che magari è debole, ma che nelle tenebre si vede anche da lontano e che, quando si incontrata con la luce portata da tante altre persone come noi, diventa davvero quella «grande luce» di cui parla Isaia.
Noi omosessuali, siamo dunque chiamati a portare questa luce al mondo proprio perché ci riconosciamo bisognosi di un amore che troppo spesso cerchiamo e non troviamo. Le parole di San Giovanni della Croce, in questo senso, ci possono essere di incoraggiamento: «Se non c’è amore, metti amore, troverai amore».