Lettera ad un’amica che medita sul dolore e il suicidio
Riflessione di Rosa Salamone del gruppo Refo-Varco di Milano
“Oggi, amica mia, voglio scriverti parole di orgoglio. Non l’orgoglio degli umani, ma delle cose sante che ci fanno santi. … Noi siamo come i custodi di una torre costruita su di un’isola, dove sono state riunite tutte le opere d’arte della terra, mentre uomini e donne corrono a comprare oggetti fasulli.
Non sappiamo che ci ha dato questo incarico. E a volte tutto sembra senza alcun senso in tanta solitudine. Scrutiamo l’orizzonte per scorgere qualche nave, in attesa che qualcuno venga a sostituirci nel nostro mestiere o a condividerlo con noi, ma le navi affondano spesso proprio quando sono giunte sulla riva”. Eppure davanti a noi c’è una risposta, proviamo a cercarla insieme!
Chi teme il Signore è costante nella sua amicizia, perché come uno è, così sarà il suo amico”.
Siracide 6,16-17
Noi siamo come generali, che per lungo tempo hanno visto il nemico avanzare lungo le loro terre. Come generali che hanno dato ordine ai loro soldati di ripiegare, di bruciare i villaggi perché il nemico non trovasse nulla da conquistare e uccidere. Generali che ai loro soldati hanno comandato tempo e pazienza, e nel tempo della pazienza non sono stati compresi dalle proprie truppe che volevano subito la vittoria.
Noi siamo come massaie, che preparano il lievito buono per la festa. Come massaie che conoscono il tempo del pane, della spiga e del frumento, e che sentono il lievito crescere di notte senza alcun rumore. E questo silenzio, solo noi capiamo che non è silenzio. Gli altri non odono nulla, mentre noi sentiamo il pane che monta come se crescesse tra le nostre mani.
E a volte tutto sembra senza alcun senso in tanta solitudine. Scrutiamo l’orizzonte per scorgere qualche nave, in attesa che qualcuno venga a sostituirci nel nostro mestiere o a condividerlo con noi, ma le navi affondano spesso proprio quando sono giunte sulla riva.
E il mercante, il generale, la massaia, il custode tutti domandano chi li abbia chiamati a un simile mestiere. E il mercante non sa che è stata la stoffa preziosa ad averlo messo in viaggio. Il generale spesso ignora che è la vita dei suoi uomini che gli comanda il tempo e la pazienza. La massaia a volte non ricorda che è il lievito che ordina le sue mani e il custode non capisce che la bellezza dei suoi quadri morirebbe se abbandonasse l’isola.
Sono le cose sante della terra che ci comandano di essere pesanti dove gli altri sono leggeri. E’ la rosa, il grano, il filo d’erba che ci rendono lenti mentre gli altri corrono veloci. E’ la rosa che ci rende custodi della rosa, è il grano che ci chiama perché senza di noi non esisterebbe.
La terra pretende dei testimoni, ogni filo d’erba arde nel desiderio che qualcuno lo guardi e dia prova della sua esistenza in questo mondo. Eppure noi siamo come quelli che domandano perché la stoffa preziosa abbia scelto proprio noi, perché la guerra ci abbia reso generali, perché il pane massaie, perché la torre custodi.
Se solo il mercante sapesse quanti viaggi gli ha insegnato la stoffa preziosa. Se il generale capisse quanto lo ha reso vigile la guerra. Se la massaia intendesse che sogni le ha regalato il pane, se il custode capisse che gusto e gentilezza gli impartì la torre.
Se solo capissimo che è la stoffa, la guerra, il pane e la torre a renderci preziosa e luminosa veglia in questo mondo, se pure comprendessimo che il mercante è la sua stoffa, il generale la sua guerra, la massaia il suo pane, il custode la sua torre.
Se solo afferrassimo questo profondo segreto e lo tenessimo dentro di noi con perfetta certezza: noi e la terra siamo il medesimo destino e questa terra ci rende continuamente grazie per il fatto di esistere, perché la facciamo esistere insieme a noi. Muore la rosa, se muore chi la guarda: questo ti ricordo oggi.