Lettera aperta a un omosessuale che vuole guarire dalla sua omosessualità
Carissimo, ho saputo che la prossima settimana inizierai un ciclo di 19 incontri che, con un eufemismo usato dagli organizzatori «si propone di guarire le ferite e gli abusi che ti fanno vivere in maniera conflittuale la tua affettività», ma che in realtà ha come scopo quello di guarire la tua omosessualità. L’ho saputo dagli amici del circolo Arcigay Orlando di Brescia che, proprio in concomitanza con l’inizio di questo ciclo di incontri, hanno deciso di organizzare una manifestazione con uno slogan molto forte: «Non guarirete mai!».
Tra l’altro gli psicologi, gli psichiatri e gli psicoterapeuti che sostengono l’inutilità (i più benevoli) o la pericolosità di certi percorsi di guarigione dall’omosessualità sono la stragrande maggioranza, tra loro ci sono autorevoli esponenti del mondo cattolico che non possono certo essere accusati di indifferenza nei confronti del messaggio morale della Chiesa.
Qualche giorno fa anche il quotidiano dei vescovi italiani ha riportato un lungo articolo di Vittorino Andreoli in cui si dice chiaramente che l’omosessualità non può certo essere considerata una malattia da guarire.
I soliti due o tre nomi che vengono citati dai sostenitori delle terapie riparative sono personaggi assolutamente marginali da un punto di vista scientifico: nessuna rivista seria di psicologia seria ospiterebbe mai un loro articolo, perché quello che scrivono non è il prodotto di una ricerca scientifica, ma é l’espressione delle loro personalissime opinioni. Il fatto é che, per un autore che dice una parola in favore delle terapie riparative dell’orientamento sessuale ce ne sono centinaia che le definiscono inutili o dannose.
Debbo poi dirti che, in quasi vent’anni di volontariato con gli omosessuali credenti, pur avendo conosciuto diverse persone che hanno tentato di guarire dal loro orientamento omosessuale, non ne ho conosciuta nessuna che è poi guarita. La maggior parte, delusa, ha abbandonato la pratica religiosa. A
ltri continuano a sostenere la parte dell’omosessuale guarito, ma quando si arriva al dunque dimostrano di non essere guariti affatto e hanno comportamenti ipocriti e pieni di ambiguità (una volta una di queste persone ci ha addirittura provato con me e ti garantisco di non essere affatto un bell’uomo). Alcuni, addirittura, hanno avuto dei gravi problemi psicologici e uno di loro che si chiamava Luca, si é addirittura suicidato.
Stai quindi molto attento. Se vedi che le cose che ti vengono proposte ti fanno star male abbandona il corso senza farti problemi. Tieni conto che il Signore vuole che tu diventi una persona equilibrata e serena e che sono questi i parametri che ti permetteranno di valutare la bontà delle esperienze che fai.
Siccome so che alla base della scelta che hai fatto c’è anche una motivazione legata alla tua esperienza di Fede, mi permetto di raccontarti la mia storia e di darti qualche consiglio per evitare che l’esperienza che stai iniziando (e che, lo ripeto, mi auguro di cuore possa avere successo), non abbia le conseguenze negative che, tanti anni fa, un’esperienza analoga ha avuto nella mia vita.
Devi sapere infatti, caro Davide, che nel 1984, consigliato da un sacerdote di Milano, io stesso sono andato da uno psicologo chiedendogli di farmi guarire dall’omosessualità. Lui mi ha detto che la cosa era possibile mi ha proposto una terapia che aveva come obiettivo quello di farmi diventare eterosessuale.
Per pagarlo ho abbandonato l’università, dove facevo il ricercatore (il mio sogno, infatti, era quello di insegnare qualche disciplina collegata alla Statistica) e ho iniziato a lavorare per una multinazionale di informatica.
La terapia è andata avanti per più di un anno ed è terminata quando il dottor Toller (così si chiamava lo psicoterapeuta a cui mi ero rivolto) mi ha detto che io non guarivo dalla mia omosessualità perché, in realtà, non volevo guarire.
La psicoterapia non è comunque stata l’unica strada che ho tentato per guarire dalla mia omosessualità: quando ho incontrato un gruppo carismatico che praticava la preghiera di guarigione ho chiesto espressamente a un sacerdote di aiutarmi a guarire dalle mie pulsioni omosessuali. Ho digiunato a pane ed acqua due volte alla settimana per più di un anno (grasso com’ero la cosa non mi poteva che fare bene).
Ho dormito per terra per vincere le tentazioni che mi venivano durante la notte (e qui ho qualche dubbio in più sulla effettiva bontà di questa pratica), sono andato più volte a Medjugorie, ho partecipato ad alcune messe di guarigione fino a quando, durante una messa celebrata da padre Emiliano Tardif, ho davvero pensato di essere improvvisamente guarito (ricordo ancora che eravamo al palazzetto dello sport di Sesto San Giovanni e che eravamo davvero tantissimi).
Purtroppo non c’è voluto molto tempo per capire che, in realtà, le pulsioni omosessuali non erano affatto terminate: la delusione è stata grande e si è trasformata in una vera e propria ribellione nei confronti di Dio che guariva tante persone durante le preghiere a cui partecipavo e che non guariva uno come me che gli chiedeva soltanto di poter vivere finalmente alla luce delle raccomandazioni del Magistero della Chiesa.
Il risultato è stato paradossale: ho perso la Fede e ho deciso di abbandonare qualunque forma di pratica religiosa. Non ti racconto quello che è successo nei mesi successivi.
Ti dico solo che continuavo a tormentarmi con questa domanda: «Perché ho perso la Fede, visto che non ho fatto altro che seguire sempre e comunque le indicazioni che mi venivano dai miei confessori e dalle persone devote a cui avevo confidato la mia omosessualità? In cosa ho sbagliato? – mi chiedevo – E come posso fare per ritrovare quella fiducia nel Signore che ho ormai perso?».
Per fortuna i libri sono sempre stati degli amici importanti per me. Ed è stato in due libri che ho trovato la risposta alle domande che ho appena scritto: il primo si intitola Scommettere su Dio ed è stato scritto da John Mc Neill, un teologo americano che si è occupato molto di omosessualità; il secondo si intitola Il grande divorzio ed è stato scritto da Clive Staples Lewis, uno dei maggiori apologeti cristiani del XX secolo.
Pur partendo da premesse molto diverse questi due autori mi hanno fatto capire che quella che mi aveva guidato, nelle continue battaglie che avevo condotto contro la mia omosessualità, non era l’aspirazione sincera di fare sempre e comunque la volontà di Dio, ma una forma subdola di idolatria che metteva al posto di Dio il mio desiderio di essere una persona ‘a posto’, capace di condurre una vita esemplare, rispettosa delle indicazioni che mi venivano da coloro che io ritenevo autorevoli. In sostanza avevo sostituito l’idolo della mia ‘perfezione eterosessuale’ a Dio stesso e, quando questo idolo è crollato, ho perso la Fede.
Da allora ho imparato a prendere dalla vita quello che mi da. Con un cammino che è stato lungo, ma che alla fine ha dato dei risultati molto belli, ho imparato a guardare alla mia omosessualità non più come a un ostacolo per la mia vita spirituale, ma come a un kayros, ovvero come a un’opportunità che mi veniva data per amare Dio in un modo diverso.
Ho cercato nei meandri della storia della Chiesa e ho trovato alcune figure che potevano rappresentare un esempio di santità per me che ero omosessuale (tra tutte, credo che vada ricordata la figura di sant’Aelredo, che nei suoi scritti non esita a raccontare gli amori dissoluti della sua gioventù e non prova nessun imbarazzo nel narrare l’amore profondo che lo legava a un altro monaco di Rievaulx).
Ho studiato teologia e ho capito che una Fede che non si può comunicare a tutti gli uomini non è una Fede realmente cattolica e che quindi, anche le persone omosessuali sono chiamate alla santità (se hai dei dubbi su questa idea di consiglio di leggere il Decreto sulla Giustificazione approvato dal Concilio di Trento il 13 gennaio del 1547).
Ho infine scoperto che la mia omosessualità era qualche cosa di molto più vasto del mio desiderio di intimità con le persone del mio stesso sesso: era una condizione che mi permetteva di vivere in maniera più tranquilla l’accoglienza e la solidarietà nei confronti delle persone che incontravo; era una palestra che mi permetteva di cogliere con maggiore intelligenza le sfumature che regolano i rapporti tra le persone; era l’occasione per condividere le difficoltà di tante conoscenti che fanno fatica a trovare una loro serenità affettiva persone (non solo omosessuali, ma anche eterosessuali); era un mezzo formidabile per vivere dei rapporti di amicizia disinteressati e solidi che mi hanno permesso finalmente di uscire dal cerchio di solitudine in cui mi ero chiuso.
Per farla breve posso dirti che al termine di questo cammino sono arrivato finalmente a recitare, nella mia preghiera del mattino e della sera, una frase che ripeto ancora oggi, tutti i giorni: «Ti ringrazio, Signore, per il dono che mi ha fatto con la mia omosessualità».
Come vedi, caro Davide, l’omosessualità non è affatto incompatibile con il cristianesimo. Anzi, può addirittura diventare uno dei tanti sentieri che portano verso la santità. Si tratta di prenderla sul serio e di metterla in comunicazione con gli altri ambiti della nostra vita.
Lo dice anche il Catechismo della Chiesa cattolica che, dopo aver osservato che «un numero non trascurabili di uomini e di donne presentano tendenze omosessuali profondamente radicate», ricorda che «tali persone sono chiamate a realizzare la volontà di Dio nella loro vita» (cfr. CCC 2358) e, per non restare sul vago, propone, nel punto 2359, un vero e proprio programma di vita: «Attraverso le virtù della padronanza di se, educatrici della libertà interiore, mediante il sostegno, talvolta, di un’amicizia disinteressata con la preghiera e la grazia sacramentale, possono e debbono, gradatamente e risolutamente, avvicinarsi alla perfezione cristiana».
Come vedi anche alle persone omosessuali che restano tali la Chiesa fa una proposta concreta che, essendo piuttosto impegnativa, non può prescindere da quella sana autostima che, in una persona omosessuale, presuppone un’accettazione piena della propria omosessualità. Gli omosessuali che si considerano dei poveri sfigati corrono il rischio di crogiolarsi in un’autocommiserazione distruttiva in cui ci si giustifica per tutto e, magari inneggiando a una continenza che in realtà non si cerca affatto, ci si lascia andare a una promiscuità che a parole si condanna senza appello.
Si tratta, in sostanza, di seguire fino in fondo quello che dice Gesù che nei Vangeli, notalo bene, non parla mai di omosessualità, mentre parla molte volte, condannandola, dell’ipocrisia di chi finge di essere quel che non é.
Una persona omosessuale che vuole realmente seguire le parole di Gesù non può dimenticarsi di queste condanna e deve quindi fare di tutto per abbandonare i tanti modi ipocriti in cui la società contemporanea (ma anche la Chiese, e molte altre istituzioni) lo spingono a vivere il proprio orientamento sessuale.
Da questo punto di vista ti raccomando, nel caso in cui il programma che hai iniziato ti spingesse a sposare una donna, di non prenderla mai in giro e di non usarla in vista di una guarigione che potrebbe rivelarsi un fallimento: non sai quante sono le persone la cui vita è stata distrutta dalla disinvoltura con cui i loro compagni hanno pensato di risolvere il problema della loro omosessualità con un matrimonio riparatore.
Se ti sposassi senza amare la persona che sposi, se la sposassi pensando che magari qualche scappatella potrai anche permettertela, se la sposassi tenendola all’oscuro di un aspetto così importante della tua vita, non solo creeresti le condizioni per contrarre un matrimonio nullo dal punto di vista del diritto canonico, ma tradiresti Gesù che ti chiede di abbandonare qualunque forma di ipocrisia e questo, te lo garantisco, sarebbe molto più grave.
Forse, come il solito, ti ho scritto troppe cose e alla fine andrà a finire che non le leggerai.
Una cosa però vorrei raccomandartela con tutto il cuore. Indipendentemente da come andrà a finire il percorso che stai iniziando ricordati che Dio ti ama così come sei: con la tua attuale omosessualità e con la tua desiderata eterosessualità; nella relazione di coppia fondata su un amore davvero responsabile che potrai magari costruire con una persona del tuo stesso sesso, così come nel matrimonio che forse riuscirai a celebrare con la donna di cui ti innamorerai; nella solitudine di una vita che non è riuscita a riposarsi in una relazione di coppia stabile e duratura, così come nella scelta di una particolare consacrazione religiosa in cui rinunci alla relazione di coppia.
Ricordalo sempre: l’amore di Dio viene prima della nostra capacità di comprenderlo e di scorgerlo nella nostra vita piena di contraddizioni; l’amore di Dio è sconfinato; l’amore di Dio non passa mai.
Non so se questa idea ti è mai passata per la testa. Ti chiedo solo di ricordarla se mai dovessi scontrarti, dopo il corso che stai intraprendendo, con l’esperienza del fallimento. Il fatto che tu non possa eventualmente diventare eterosessuale non ti esclude in nessun modo dalla vocazione alla santità, anzi, ti permette di viverla in un modo senz’altro più vicino alle tue vere aspirazioni.
E adesso vai pure, mio caro Davide. Sono comunque fiducioso perché so che il Signore ti aiuterà a trovare senz’altro la tua strada. Non avere paura della tua omosessualità e affronta la vita consapevole che ti muovi sotto il sorriso di Dio.
Sappi che ti ricorderò nelle mie preghiere e che spero un giorno di poterti incontrare in paradiso dove il Signore ci ha preparato un posto in cui vivere in pienezza la nostra affettività al di là delle sofferenze e delle contraddizioni con cui l’abbiamo vissuta quaggiù.