LGBTQI! Ma perché non sapete guardarci solo come persone?
Lettera aperta inviataci da Gloria
Contronatura. Disordine. Scandalo. Impurità. Tendenza. Prova. Croce. Peccato. Dio ci salvi dagli LGBT. Apocalisse. Esercito del male. Vittoria del maligno. Ideologia gender. Giù le mani dai bambini. Dottrina. Magistero. Incompatibilità. Immoralità. Dato biologico. Differenza sessuale. Dato di realtà che non può essere ignorato.
Tutto questo siamo noi, dite, e non entreremo nel Regno dei Cieli.
Mai nessuno che ci guardi come persone. Siamo – al massimo – un gruppo di freaks sotto l’etichetta “LGBT” usata in senso ideologico, strane creature da circo da preservare, da trattare coi guanti sia a destra che a sinistra, ma mai persone.
Difficilmente persone. Raramente persone.
“Ho molti amici omosessuali”. L’alibi è pronto, la spada della giustizia divina è sguainata. Ma difficilmente qualcuno ci chiede cosa ne pensiamo, e se lo chiedono si aspettano una posizione politica, quando invece noi vorremmo più spesso raccontare un’esperienza, dar voce a un grido che porta un bisogno vitale come l’aria: nessun complotto, nessuna lobby per conquistare il mondo. Vogliamo disperatamente essere guardati, amati.
Quel “noi”, quel gruppo di freaks indefiniti, spesso ci si dimentica che ha la faccia di persone come me, Alessia, ragazza qualunque che sente la vita come una serie di ferite che si imprimono nell’anima: una ragazza fragilissima, quasi un velo di carta, che compie scelte di cui si pente, che fa regali agli amici per Natale, che chiede scusa dopo aver litigato, che ride alle battute di suo padre, che canta in chiesa, che piange leggendo un testo letterario, che passa ore a disegnare un viso perché lo vorrebbe perfetto. Che alle volte si innamora di albe sul mare, di montagne imbiancate, e a volte di ragazze dai sorrisi indescrivibili. «È Dio stesso che mi sorride attraverso di loro».
Alessia che sogna una vita con qualcuna, un giorno, fatta di film visti rannicchiate sul divano, di fiori di carta regalati, patatine e birra condivise, di sostegno nella fatica e di preghiera insieme, in una comunione tale che le renda una persona sola anziché due. Vogliamo disperatamente essere amati.
Allo stesso modo il Pride è il grido di essere amati così come siamo, non uno spettacolo di fenomeni da baraccone. Quei canti, quei balli, quei sorrisi sguaiati: sono tutti il lamento di figli abbandonati. Nessuno se ne accorge? Nessuno sa guardare oltre i colori, e vedere le lacrime?
La sofferenza, l’emarginazione che ci ha portato a tanto, pur di essere visti per quel che siamo, fino al punto di sembrare, appunto, dei freaks? Non sentite il nostro pianto di dolore? Eppure Cristo stesso piangerebbe con noi!
Così, certe leggi non sono per il perpetrarsi della “teoria gender”, anticipatrice dell’Apocalisse, ma per persone qualunque come Alessia. Figli che hanno paura di definirsi tali, che hanno il terrore di essere dimenticati, come Alessia. Figli che soffrono ancora l‘esser sbagliati, che non sono ancora liberi dall’omofobia di se stessi, come Alessia.
Il problema è come si fa a vivere, non portare avanti un’ideologia; come si fa a vivere è il vero problema di tutti, qualsiasi orientamento sessuale o identità di genere abbiano.
Il ddl Zan non è la legge che ci avrebbe risolto il problema del vivere, perché quello lo può risolvere solo Cristo. Ma essere trattati come oggetti senz’anima nella discussione di tale legge, quello sì, non aiuta a vivere.
Aiutateci a non odiarci. Troppi di noi ancora rivolgono la lama contro se stessi, faticando a uscire dal buio e dalla vergogna. “Troppi”, anche se fosse solo una persona, anche se fosse solo una Alessia. Basta puntarci il dito contro. Vogliamo solo disperatamente essere amati.