LGBTQIA+. Perchè queste sette lettere sono sbarcate sulla Treccani?
Dialogo di Katya Parente con il professor Lorenzo Bernini (Università di Verona)
L’Enciclopedia Treccani si aggiorna. Le sue pagine ospitano, era ora, l’acronimo LGBTQIA+. Il compilatore della voce, Lorenzo Bernini, docente di filosofia politica presso l’Università di Verona ci parla del suo interesse per il mondo queer, al quale ha già dedicato parecchie pubblicazioni.
La collaborazione con l’Enciclopedia Treccani è solo l’ultimo dei tuoi progetti riguardanti il mondo queer. Quali sono, in breve, gli altri e perché in tuo interesse per questo argomento?
Svolgo ricerca in quest’ambito da decenni. Dopo aver scritto un libro su Michel Foucault, che è considerato il nume tutelare filosofico delle teorie queer, ho pubblicato anche un’introduzione alle teorie queer, una monografia sulle cosiddette teorie queer antisociali e un libro dedicato a indagare il rapporto tra sessuale e politico in cui utilizzo assieme strumenti interpretativi tratti dalle teorie queer, dalla filosofia politica e dalla psicoanalisi.
A livello personale, l’interesse per queste ricerche deriva dal mio attivismo politico nei movimenti LGBTQIA+, iniziato quando ero studente all’Università degli Studi di Milano. A livello filosofico-politico, dal fatto che questi movimenti nel giro di mezzo secolo hanno compiuto una rivoluzione politica e culturale, modificando il nostro universo simbolico. Come dimostra anche il dibattito rovente attorno al dl Zan, la questione sessuale è oggi – come sempre – al centro della politica.
Sei un docente universitario. Negli ultimi anni gli studi gay/lesbici si sono guadagnati dignità nell’ambito universitario. Come mai, secondo te?
Sono appunto docente di Filosofia politica presso l’Università di Verona, dove ho fondato il centro di ricerca PoliTeSse – Politiche e Teorie della Sessualità (www.politesse.it). Sono anche tra i fondatori di GIFTS, la Rete degli Studi di Genere, Intersex, Femministi, Transfemministi e sulla Sessualità, che riunisce singoli ricercatori e ricercatrici, centri di ricerca universitari e non universitari che si occupano di questi temi. Siamo moltissime e moltissimi oramai in Italia.
E la ragione è quella che già ho menzionato: le donne e le persone LGBTQIA+ hanno preso la parola da tempo, sfidando l’oppressione millenaria che hanno subito, e hanno riportato ormai decisive vittorie – di cui tento di dare conto nella voce che ho scritto per l’Enciclopedia Treccani.
Questa rivoluzione politica e culturale non può che coinvolgere anche la sfera del sapere universitario, che è a sua volta un campo politico. In accademia la resistenza e la reazione contro la diffusione di saperi critici sulle sessualità è ancora forte, ma ormai sono molti gli spazi di libertà che abbiamo guadagnato.
Questo progredire a livello accademico ha delle ripercussioni a livello culturale, o forse è il contrario? Si può parlare di un “circolo virtuoso”?
Sicuramente sì. Nei miei studi insisto sempre sul rapporto circolare che le teorie queer intrattengono con i movimenti LGBTQIA+. Non ci sarebbero le une senza gli altri, e i concetti e i dibattiti circolano dalla sfera pubblica a quella accademica e viceversa. Si pensi al ruolo che il pensiero di Judith Butler sul genere ha avuto nei movimenti lesbici, femministi, transfemministi e queer. O a concetti come ‘intersezionalità’, di cui è difficile reperire l’origine: provengono dall’attivismo o dalla ricerca universitaria? Lo stesso vale per lo stesso concetto ‘queer’.
I rapporti tra attivismo e accademia non sono però sempre facili, come non sono facili i rapporti all’interno dei movimenti. A mio avviso la ricerca accademica su questi temi, se praticata in modo critico, è una forma di attivismo. Ma c’è chi, dal mondo dell’attivismo, contesta l’appropriazione di temi e concetti provenienti dai movimenti da parte del mondo universitario. Come cerco di spiegare anche nella voce Treccani, conflitti come questi non ci devono spaventare né scoraggiare. Ci sono sempre stati, e hanno sempre contribuito al progresso del pensiero e alle conquiste giuridiche e politiche.
Filosofia, politica e teoria queer: in che modo, e perché, sono connessi?
Le teorie queer sono un vasto campo del sapere, in cui studi culturali, letterari, cinematografici intersecano la riflessione teorica. Nella mia interpretazione, si tratta però anche e soprattutto di filosofie politiche critiche, che emergono dalla presa di parola di soggetti oppressi in ragione delle loro sessualità. Quindi dalla contingenza di lotte e rivendicazioni che mettono in crisi il funzionamento del potere sulle soggettività sessuate, rendendo necessaria l’invenzione di concetti politici nuovi.
Foucault – che ho già nominato come il nume tutelare filosofico delle teorie queer – definiva la critica come ‘l’arte della disobbedienza volontaria, dell’indocilità ragionata’, come ‘l’arte di non essere governati, o meglio, di non essere governati in questo modo e a questo prezzo’.
Ecco, le teorie queer sono una forma d’arte di questo tipo: sono filosofie critiche elaborate assumendo il punto di vista delle persone LGBTQIA+, che sono state e ancora sono governate in modo oppressivo da forme di potere come il patriarcato, il binarismo sessuale, l’eterosessualità obbligatoria, nelle loro intersezioni con il capitalismo, il razzismo, l’abilismo…
L’accoglimento da parte di un’istituzione come l’Enciclopedia Treccani del nuovo acronimo ha un’importanza che va al di là dell’arricchimento della lingua italiana, come Lorenzo ci ha spiegato. È un allargamento del lessico che riflette un allargamento di idee, una rivoluzione nel modo di pensare. Sta a ognuno di noi, nel nostro piccolo, fare in modo che questa rivoluzione pacifica continui.