Essere sieropositivo non è un castigo divino, da li sto costruendo un nuovo futuro
Riflessioni di Yowee pubblicate sul sito Christian Gays (Canada) nel 2007, liberamente tradotte da Giacomo Tessaro
Esattamente cinque anni fa la mia vita cambiò per sempre. Mercoledì 24 aprile 2002 alle 7.30 del mattino il mio medico mi chiamò per dirmi che aveva i risultati del mio esame del sangue e che doveva parlarmi. Gli dissi “È positivo, vero? Altrimenti non mi avrebbe chiamato”; rispose “Sì, ma non posso dirglielo al telefono”.
Arrivai da lui alle 11.30 e mi disse che ero HIV positivo (sieropositivo). Mi diede il numero di telefono dell’Unità Medica per l’AIDS, dicendomi di chiamarli una volta a casa. Prima, però, volle che facessi un nuovo esame del sangue e tornai a casa dopo le 12. L’Unità Medica per l’AIDS il mercoledì chiude alle 12 e il giorno dopo sarebbe stata chiusa per via della Festa dell’ANZAC [festività civile degli Stati del Pacifico, come Australia e Nuova Zelanda, che commemora la battaglia di Gallipoli nella Prima Guerra Mondiale n.d.t.].
Tutto il mio mondo stava crollando. Come l’avrei detto a mia madre? Avevo peccato, mi ero comportato da omosessuale, e ora Dio mi stava giudicando. Quel giorno morirono tutte le mie speranze e i miei sogni di liberarmi dall’omosessualità e sposarmi. Ero molto depresso, pensavo sempre al suicidio. Non avevo idea a chi rivolgermi. Non potevo dirlo a mia madre: l’altra opzione era di parlare con Mary, la moglie del mio pastore, cosa che feci il giorno dopo.
Il giorno dopo era il ventunesimo compleanno di Vagi e in chiesa si teneva una cena internazionale. Partecipai anch’io e, nonostante nel mio intimo mi trovassi nel caos più assoluto, nessuno se ne accorse perché mi comportai come se niente fosse. Venerdì 26 aprile cominciai a lavorare in negozio alle 7.30. Durante la pausa mattutina mi recai alla mia macchina: l’Unità Medica per l’AIDS aveva finalmente chiamato. Lo dissi al supervisore Tracey, l’unica collega di cui mi potevo fidare: mi disse che potevo andare. Lasciai il negozio e chiamai l’Unità, dove mi dissero di recarmi da loro. Arrivai lì che ero un rottame.
Il lunedì seguente io e mia madre facemmo una passeggiata lungo il fiume Brisbane. Mi disse che una sua amica le aveva prestato un libro di Dan Wooding, He Intends Victory (Con l’intenzione di vincere), che parlava dei cristiani affetti da HIV. Sapevo che Dio la stava preparando per la notizia e mi mostrò la Sua misericordia quando mia madre disse che mercoledì e giovedì non avrebbe lavorato e non riusciva a capire perché Dio le avesse concesso quei giorni liberi. Ma io sapevo il perché.
Il mio cuore batteva a mille mentre parlavamo ma non potevo dirglielo in quel momento. Dovevo aspettare mercoledì. Dissi all’Unità che glielo avrei detto, e il mercoledì glielo dissi. Volle avere dei consigli, così la aiutai quando fu pronta. Le dissi che mi dispiaceva, le chiesi il suo perdono, mi misi in ginocchio per chiedere perdono anche a Dio. Quella sera vennero a trovarci i miei pastori e mia madre scoppiò a piangere. Poco tempo dopo andammo insieme all’Unità; chiese se io dovessi avere tutto separato, coltello, forchetta, cucchiaio, tazza etc.: le dissero di no, ma aveva paura perché non sapevamo nulla sull’HIV.
Cinque anni dopo… l’HIV ha cambiato per sempre la mia vita. Mi ha donato uno scopo per cui vivere, una visione, un sogno: il mio futuro mi esalta. Dio si è servito di me per fondare il ministero HIV nel Network per i Cristiani Gay, dove ho aiutato molte persone nella chat room dedicata all’HIV. Dopo aver lasciato quel ministero ho fondato il mio gruppo Yahoo, chiamato Hope Is Vital (“La speranza è vitale”; il gruppo non è più attivo n.d.r.), sono tornato all’università e mi sto preparando a diventare assistente sociale.
Sto per iniziare il mio lavoro il prossimo 30 aprile al Consiglio per le Minoranze Etniche del Queensland, nel campo dell’educazione e della prevenzione all’HIV. Mi hanno chiesto di dare avvio a un gruppo di sostegno per i sieropositivi appartenenti alle minoranze etniche. I miei sogni e i miei obiettivi stanno diventando realtà. Mi sento sempre più a mio agio con la mia sieropositività e non ho più pensieri suicidi. Certo, in questo giorno sono triste perché una parte di me è morta, ma sono felice per la nascita del nuovo io. Sì, sono sieropositivo ora. Devo essere positivo, devo mostrarmi per come sono… una persona positiva!
L’HIV non era un giudizio divino: era il risultato del sesso non protetto fatto con la speranza che Dio mi proteggesse, invece di fare tutto il possibile per proteggermi io stesso con i profilattici. Devo agire nel miglior modo possibile e lasciare che Dio faccia il resto, non essere sciocco e aspettare che mi protegga Lui. Wow, certo che sono cambiato. Guardate cosa il mio Dio ha compiuto in me.
Attraverso questa prova mi ha reso più forte. Sono migliorato come il vino, invece di diventare aceto. Sono vivo, ho una passione e uno scopo, una visione e dei sogni, con la missione di diffondere la Buona Novella del Dio che trasforma le ferite in felicità.
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Testo originale: HIV and Me – A Story of HOPE