Libera di volare. Il diario di una donna credente alla scoperta della sua omosessualità
Recensione di Marco Viviani tratta da Cremaonline
«Come può una donna amare un’altra donna? Eppure è così: io amo Agata. L’amo perché lei è quella che io vorrei essere; l’amo perché mi sembra di conoscerla da sempre, e da sempre è una parte di me che dovevo ancora scoprire».
Così scrive Silvia Lanzi nella prima pagina del suo libro, Libera di volare, diario profondo e delicato di una scoperta: la propria omosessualità.
Prima di trovare occupazione come impiegata in una azienda, ha collaborato col settimanale diocesano cremasco «Il nuovo Torrazzo» occupandosi di cultura e spettacoli. È credente cattolica («per farmi perdere la messa ci vorrebbe la febbre a quaranta»). Ed è lesbica.
«Due dimensioni della mia persona ugualmente importanti» racconta davanti a un caffè al bar, il suo libro sul tavolino e una invidiabile spontaneità. «Due parti che non sono disposta a eludere».
Lo scorso autunno, dopo molti tentativi, Silvia è riuscita a trovare la casa editrice giusta per pubblicare il suo libro, nel quale racconta il biennio ’98-’99 che sconvolse la sua vita.
«Ero uscita prosciugata, distrutta dalla laurea ed ero infelice, soffrivo di una terribile depressione che la mia psicologa non riusciva altro che a peggiorare».
Poi, un viaggio in Egitto e l’incontro con una animatrice. «Quanto tornai a casa» racconta, «mi sorpresi a pensarla di continuo. Credevo fosse nostalgia della vacanza, invece avevo nostalgia di lei».
È uno shock. La sua educazione, le sue credenze, la sua vita, le imporrebbero di chiudere la porta a questa emozione, ma non le è possibile. E soprattutto, per quale ragione avrebbe dovuto farlo?
«Col senno di poi riconosco in quella depressione che mi teneva chiusa in casa il tentativo del mio subconscio di non farmi incontrare la mia vera me stessa.
Devo ringraziare quella donna e tante altre persone amiche di avermi sbloccata: oggi mi sento libera, rinata, più vicina nche a Dio». La fede. Secondo la chiesa, inconciliabile con la pratica omosessuale.
Silvia, invece, dichiara nel suo libro di essere diventata una credente migliore soltanto dopo essersi innamorata per la prima volta: «Pubblicare un libro sulla mia storia è un coming out perfetto e irreversibile. Dipende dalla storia personale di ciascuno, ma c’è stato un momento nel quale ho deciso che se poteva servire ad altri che fossero nella mia condizione di prima valeva la pena raccontarlo».
I primi passi della nuova Silvia furono incerti: «Mi buttai sulle letture: Wilde, Virginia Woolf, David Leavitt, che amo moltissimo. Alla redazione del Torrazzo trovai per caso un volume, “Le porte di Sion: voci di omosessuali credenti”, e chiesi se potevo prenderlo.
Mi risposero che tanto non l’avrebbero mai recensito. In quel libro cominciai a scoprire un mondo, una possibile strada per il cammino. Poi venne “la Fonte”» (ndr gruppo di cristiani omosessuali di Milano).
Don Domenico Pezzini. Questo nome dirà poco o nulla alla maggior parte dei lettori. Per gli omosessuali credenti è invece un eroe. Negli anni Ottanta, questo sacerdote milanese, saggista e docente universitario, ha creato due associazioni, Il Guado e La Fonte, che si propongono di rispondere alla persone emarginate dall’ambiente ecclesiale, familiare, lavorativo a causa della loro omosessualità e che mantengono comunque la loro fede.
Da più di vent’anni, due volte al mese, in uno stanzone in via Pasteur (ma ora si sono trasferiti) molti gay e lesbiche si ritrovano per raccontare la loro esperienza, leggere e commentare il vangelo e altri testi, assistere alla messa.
«Alla Fonte ho trovato delle persone meravigliose che mi hanno aiutato a separare il magistero della Chiesa dalla definizione di omosessualità, tutta storica e sociale e dunque passibile di mutamento, data dalla Congregazione per la Dottrina della Fede dell’allora cardinal Ratzinger».
La storia di Silvia insegna che la chiesa ha tante anime: è incredibile il numero di associazioni religiose di omosessuali, dei sacerdoti e delle suore che accolgono a braccia aperte queste persone senza giudicarli né tanto meno condannarli.
E soprattutto, sia detto con franchezza, noncuranti delle imposizioni dottrinali dei vertici della chiesa. L’episodio centrale, in questo senso, è quello della confessione della ragazza.
«Mia zia mi suggerì di confessarmi, perché comunque la mia omosessualità era un peccato. Aveva ragione, ma sarebbe stato troppo facile andare da don Pezzini o altri di cui conoscevo già l’opinione».
Silvia decide allora di confessarsi più semplicemente dal prete della sua parrocchia. L’esordio, in confessionale, è memorabile: «Mi sedetti e citando Ratzinger dissi: “Sono qui perché sono intrinsecamente disordinata”».
Il prete capì subito e rispose: «Alt! Silvia, tu non hai niente che non va, mettitelo subito in testa. E ora raccontami, dall’inizio».
La confessione fu in pratica la storia della sua vita. Alla fine, emozionato, il prete ringraziò Silvia per avergli aperto il suo cuore e l’assolse. «Quella assoluzione» ricorda Silvia, «mi fece sentire di nuovo nelle braccia della chiesa».
Silvia lavora in una cittadina di provincia, è single, vive coi genitori, ha un buon lavoro. Il suo libro sta andando bene. Si ritiene una buona cattolica. La sua omosessualità non ha mai costituito un problema per la sua vita.
Sembra piuttosto lo sia per la politica e la Cei. Il recente Disegno di Legge Bindi-Pollastrini sul riconoscimento dei diritti delle coppie di fatto, detto DICO, ha il suo favore.
«Dovessi incontrare una donna con la quale fosse immaginabile costruire una vita assieme, con una certa progettualità, lo farei immediatamente. Certo, è un piccolo passo in avanti, ma è meglio di niente. I DiCo non distruggono la famiglia tradizionalmente intesa, che non sta messa bene di suo e per problemi suoi».
«Io rivendico il mio diritto ad innamorarmi, sognare di vivere con una persona e condividere con lei la mia vita, i miei beni, il mio futuro. Non c’è ragione perché tutto questo mi sia negato. Mi hanno insegnato che Dio è Amore, del sesso sembra importare più a certi prelati che non a lui».
Appassionata di letteratura com’è, nel salutarci chiede del reading di Memorie di Adriano in biblioteca. «Ci voglio venire, come sta andando?». È un grande successo, Rivolta è bravissimo e il testo è meraviglioso.
Racconta, tra le tante cose, dell’amore fra l’Imperatore e il suo Antinoo.
Un assaggio da… Libera di volare, pp. 9-10
Sono cresciuta tanto in questi ultimi tempi. Non si può spiegare. Ma sono grata a Dio per quello che mi ha dato. Mi sento diversa. Ma sono ben radicata nel mio passato. Sono serena. C’è una stagione per ogni cosa: per me è tempo di essere felice.
Se n’è accorta anche la psicologa, che mi ha chiesto come mai mi fossi rivolta ancora a lei. E io gliel’ho detto: le ho raccontato di Agata, di come per me non è stato un dramma sentirmi attratta da lei, perché io so che è amore. Ed è inutile proteggersi dall’amore.
E stata la cosa più naturale del mondo accettare ciò che provo per lei, perché, dopo quello che ho capito, non mi stupisco più di niente e accolgo tutto come un dono. E stavolta il dono ha il volto di una donna. E se sono lesbica non è peccato.
L’amore non è peccato. Io sono sempre io. Mi piace sempre la stessa musica, mi piace leggere. Sono pronta ad accogliere ogni
cosa, e a mettermi nelle mani di Dio: so che è fiducia ben riposta.
La psicologa mi ha chiesto come andava, e io l’ho stupita, dicendole che andava tutto a meraviglia. Le ho parlato di Alberto, dei miei progetti e della vacanza in Egitto. Di Agata e della mia attrazione per lei.
È rimasta piacevolmente colpita che io l’abbia presa così bene, che non ci siano stati terremoti. Perché mi sono accorta che se la normalità è la regola, in tutti i campi — ed è buona — spesso anche l’anormalità è altrettanto buona. Ho imparato ad accettarmi e a non violentarmi solo per essere come gli altri. E non è una perdita per me, ma un guadagno, perché io sto bene e gli altri Io sanno.
La psicologa mi ha consigliato di andarla a trovare, dopo le vacanze di Pasqua. Per chiarirmi le idee. Da sola. La cosa mi spaventa un p però è molto allettante; e visto che comunque dovrò riferire, sarò costretta a farlo. E questa costrizione non mi disturba, tutt’altro. E una scusa per vincere la mia timidezza. Non so perché, ma ho la profonda convinzione che, qualunque cosa accada, andrà a finire tutto bene. In fondo non sono sola.
Una volta mi rodevo, perché non piacevo ai ragazzi. Non sapevo che erano loro a non piacere a me. Adesso so anche questo. E mi sento molto meglio. Mi rendo conto che tutti i ragazzi che mi piacevano, a parte Alessandro, risvegliavano più che altro il mio istinto materno.
E quella simpatia, che provavo per certe ragazze, che forse era anche un po’ cameratismo e orgoglio, cm qualcosa di più, qualcosa di cui Agata mi ha reso consapevole.
Come abbia fatto a scoprirlo così tardi è presto detto. Sono cresciuta in un ambiente etero, ma questo succede praticamente a tutti.
Quello che mi ha fregato è stato Alessandro. Dai tredici ai vent’anni, credevo di essere innamorata di lui. E poi, c’è stato il periodo in cui ho dovuto ricostruirmi, quindi la tesi. E la mia vita così ritirata, e la mia timidezza.
C’è voluto l’Egitto per rendermene conto. E se non ci fosse stata lei, non so se l’avrei scoperto così presto. E capitata al momento giusto, al posto giusto.
E come in un paesaggio con la nebbia, ma tu puoi vedere, o meglio ti sembra di vedere delle sagome, ma confondi magari una cosa per un’altra. Così è capitato a me. Ma ora la nebbia si è dissipata.
E non mi sento meno completa, perché non ho mai baciato un ragazzo. Anche perché non ne bacerò mai uno. La sagoma — l’amore — c’era con la nebbia e c’è anche dopo. Ma se prima avevo creduto che fosse una ciminiera, ora so che è un campanile. Tutto qui.
Sivia Lanzi, Libera di volare, ed. Kimerik edizioni, 2006, 275 pagine
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