L’Italia si desti. La democrazia lgbt
Riflessioni di Mattia Morretta*
Non si può negare che il populismo avanzi in Italia, se la mediocrità vince pure nella diversità. Infatti, il movimento arcobaleno e lgbt, i personaggi visibili nei media, le case chiuse e le chat del sesso gay, sono a misura del popolino omosessuale, non possono rappresentare la componente innovativa, culturale e artistica, dell’omosessualità. Sono indici democratici pure i gravi casi di cronaca giudiziaria in versione gay, delitti efferati compiuti da compagni di devianza che non vogliono esser da meno dei cugini etero.
A ben guardare nella legislazione sulle unioni civili tra persone dello stesso sesso il contenuto sostanziale è l’uguaglianza, un assioma che sconfina nel dogma, mentre gli omosessuali sono lo specchietto per le allodole, un fermo immagine per la stampa o protagonisti per un quarto d’ora in programmi televisivi sull’amore qualunque che osa dire il suo nome. Altro aspetto più implicito è l’individualismo quale valore, che porta a considerare la coppia una associazione tra individui, mentre i singoli omosessuali continuano a valere poco o niente per carenza di identità; non sono più accettati, soltanto un po’ più tollerati per via del credo egalitario.
Più si parla di lgbt e gender più spariscono nella società reale gli omosessuali e si emargina la parola stessa omosessualità, ribadendo la tradizione di atti compiuti nelle aree riservate e di vite trascorse nell’indifferenza, con l’aggiunta dell’opzione amministrativa grazie al registro di stato civile. Sì, i telegiornali danno regolarmente la notizia del Pride (per antonomasia, tanto che si può tralasciare Gay), con riprese filmate e due frasi di commento: “un corteo colorato e ricco di musica, come sempre”. Tuttavia è la presenza di esponenti politici o istituzionali il motivo dello spazio concesso, la rubricazione nel capitolo dei diritti fa illuminare per un attimo la scena delle periferie del sesso.
Quanto ai diretti interessati, se i maturi tacciono in quanto sorpassati, i più giovani non si pongono domande e non contestano niente, prendono per buono quel che trovano venendo meno al compito primario della gioventù, che è quello di ri-mettere in discussione e rinnovare il mondo.
Il disagio degli adolescenti in un contesto pieno di contraddizioni plateali sulla questione omosessualità, inclusi la sottocultura e i copioni gender, non è preso in considerazione dagli esponenti gay, dai genitori, dagli insegnanti, dagli operatori sociosanitari. Viene negato o rimosso perché si impone a tutti di serrare le fila di una presunta comunità e marciare incolonnati eseguendo i compiti di categoria: scendere in piazza nelle feste comandate, sventolare la griffe gaia acquistando servizi dedicati, esibirsi sui social, denunciare casi di omofobia, fidanzarsi e farlo sapere, aspirare al matrimonio in pompa magna (con pubblicazioni e album fotografico), ipotizzare, perché no, l’adozione di bambini (meglio affittando la gestazione). Chi ambisce alla libertà di espressione nella sfera amorosa, auspicando che si faccia differenza, viene forzato ad adeguarsi al collettivismo di minoranza.
Rileggere la storia a partire dall’oggi fa giudicare il presente un progresso indubitabile per gay e lesbiche, in base al fatto che ci si può dichiarare, “sposare” per Legge e andare ai cocktail o in crociera col compagno. Ma i nuovi modelli comunicativi e il design di moda non possono modificare la sostanza della condizione omosessuale, il software non è in grado di cambiare l’hardware. Le nuove generazioni crescono con opportunità, applicazioni, prodigi tecnologici che fanno sentire “potenti” e “normali”, però nel profondo non c’è conquista di identità solida e di capacità relazionali.
Per questo è indispensabile dipanare la matassa aggrovigliata della “democrazia lgbt” con pazienza e attenzione, distinguendo e separando le componenti, non mescolandole alla rinfusa. Avere il coraggio di tagliare con la spada dell’onestà intellettuale il nodo gordiano che immobilizza il carro degli omosessuali italiani, se si vuol restituire loro dignità e identità.
* Mattia Morretta è psichiatra e sessuologo, impegnato sin dalla fine degli anni Settanta nell’analisi della condizione omosessuale, ha collaborato con la rivista Babilonia ed è stato cofondatore della prima associazione italiana di volontariato sulla problematica Aids (ASA di Milano). Nel 2013 ha pubblicato con l’editore Viator “Che colpa abbiamo noi – Limiti della sottocultura omosessuale” e nel 2016 “Tracce vive – Restauri di vite diverse”. Una sua ampia raccolta di articoli e saggi è disponibile sul sito web http://www.mattiamorretta.it/