Lo scandalo di un Dio al contrario (Gv 6,60-69)
Riflessioni bibliche di Fabio Trimigno del gruppo Zaccheo, cristiani Lgbt di Puglia
Molti dei suoi discepoli, dopo aver ascoltato, dissero: «Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?». Gesù, sapendo dentro di sé che i suoi discepoli mormoravano riguardo a questo, disse loro: «Questo vi scandalizza? E se vedeste il Figlio dell’uomo salire là dov’era prima? È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che io vi ho detto sono spirito e sono vita. (Giovanni 6,60-69)
Siamo giunti alla fine del capitolo VI del vangelo di Giovanni, e in questi ultimi passi ci viene posto tutto lo scandalo che Gesù causa non solo tra i giudei ma anche tra i suoi discepoli.
Essi ragionano secondo la carne, ossia secondo i pensieri umani, che non provengono dallo Spirito di Dio, pertanto cadono in crisi. Ma perché avviene questa crisi?
Le parole di Gesù a volte sono dure e urtano anche i discepoli che lo seguono: che Gesù sia “disceso dal cielo” e che nella carne di un corpo mortale racconti di un Dio vivente, proprio non lo accettano.
Nel vangelo di Giovanni, nel suo discorso Gesù dice: “Io sono il pane vivente disceso dal cielo” (Gv 6,51), ma proprio quelli che lo avevano acclamato come “il grande profeta che viene nel mondo” (Gv 6,14) e che avevano voluto farlo re (Gv 6,15), di fronte a queste parole si sentono scandalizzati nella loro fede.
Profeta sì, ma disceso dal cielo, corpo di un profeta da mangiare e sangue di un re da bere, questo proprio no! Andropofagia pura!
Gesù conosce bene le mormorazioni dei discepoli, ma non ha paura di dire tutta la verità, e a costo di causare una divisione tra i suoi, attacca i mormoratori dicendo: “Questo vi scandalizza? E quando vedrete il Figlio dell’uomo salire là dov’era prima?”
E cioè dice: “E quando sarete messi di fronte alla realtà della resurrezione, allora lo scandalo sarà più grande?”
Ma tra voi vi sono alcuni che non credono». Gesù infatti sapeva fin da principio chi erano quelli che non credevano e chi era colui che lo avrebbe tradito. E diceva: «Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre». Giovanni 6,64-65
Gesù non può fare altro che constatare che nessuno può venire a lui se il Padre non lo attira, cioè se il Padre non glielo concede: occorre questo dono che non è dato in maniera arbitraria da Dio ma va cercato, va desiderato, va accolto come dono che non richiede alcun merito da parte di chi lo riceve.
Questo scandalizza le persone religiose e i devoti che pretendono sempre che Dio faccia doni secondo quanto hanno meritato.
Ma ciò che di Gesù scandalizza ancora di più è il suo consegnarsi in un corpo mortale a carni fragili, cioè il consegnarsi agli esseri umani. Com’è possibile che Dio si consegni in un uomo che può essere tradito e dato in mano ai carnefici?
Qui la fede inciampa nel dover accogliere l’immagine di un Dio al contrario, di un Messia al contrario, di un Re al contrario, di un Dio che è fragile, di un Dio povero e debole, di un Dio degli emarginati e degli esclusi, di un Dio delle vedove e degli orfani, di un Dio del quale gli uomini possono fare tutto ciò che vogliono.
Lo scandalo di questo Dio sta proprio nella sua condizione che a me piace definirla come natura divina e umanizzante e presenza umana e divinizzante.
Da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui. 67Disse allora Gesù ai Dodici: «Forse anche voi volete andarvene?». Gli rispose Simon Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna 69e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio». Giovanni 6,66-68
Gesù si rivolge a quei pochi che sono rimasti dicendo «Volete andarvene anche voi?».
Lui non teme, anche se soffre all’idea di restare solo. Lui non teme perché ha fede nella parola che il Padre gli ha rivolto, ha fede nella promessa di Dio che non verrà meno. Possono venire meno gli altri, gli amici, i parenti, le persone amate, ma Dio resta fedele.
Oggi la Chiesa non ha più il coraggio di far risuonare queste parole di Gesù, perché ha paura di perdere il successo, teme che si abbassi il numero dei credenti, spinge i sacerdoti ad essere più animatori di comunità che guide pastorali, costringe i vescovi ad essere burocrati e amministratori più che arrampicatori di anime, mira alla grandezza della comunità cristiana legandola a processioni e devozioni più che alla qualità della fede e ai percorsi pastorali, copre gli errori più che chiedere perdono, obbliga i fedeli ad abiurare un loro pensiero pur di non ammettere che la dottrina deve servire l’uomo e non governarlo, cerca di cancellare la parola “scandalo” dal suo dizionario, dimenticando che Gesù è stato il primo a scandalizzare con la sua parola.
Secondo la professione di fede che fa Pietro, Gesù è colui che pronunzia “parole di vita eterna” e lo riconosce come “Santo di Dio”. Il Santo di Dio non è un uomo che ha raggiunto particolari vette di santità per effetto della grazia, ma è Dio stesso nella pienezza e totalità della santità, è Dio stesso che si è fatto uomo, riversando sulla nostra natura tutta la bellezza, la verità e il bene che sono nella santità di Dio: in Gesù c’è la presenza di Dio (Shekina).
Pietro può arrivare a questa professione di fede non perché qualcuno gliel’abbia insegnata, ma grazie alla sua conoscenza intima e profonda di Gesù, grazie alla sua testimonianza di vita maturata nella convivenza con lui. Egli è il rappresentante di coloro che hanno “conosciuto” Gesù, perché sono stati con lui e hanno condiviso la sua vita di uomo vero, libero e itinerante.
Ma noi che non abbiamo conosciuto Gesù ci riteniamo uomini e donne di fede?