Lo spirito dello Shabbat per i cristiani del XXI secolo
Riflessioni di Marta S. pubblicate sul blog della comunità MCC-Il Cerchio il 25 agosto 2017
Il riposo del sabato
Nella religione ebraica, uno dei cardini della legge divina e dell’alleanza tra Dio e uomini è il riposo del sabato. Dal tramonto del venerdì sera (inizio della giornata secondo la legge ebraica) a quello del sabato sera sono tassativamente vietate tutte le attività di tipo creativo e produttivo. Il Talmud indica ben 39 attività che un buon ebreo non dovrebbe compiere nell’arco di tale giornata, dal lavorare al cucinare, dal fare il bucato all’andare a caccia. È proibito anche viaggiare a rilevanti distanze dalla propria abitazione e persino scrivere e disegnare.
La menzione dello Shabbat è molto frequente nell’Antico Testamento. Nella Torah ne parlano ambedue le versioni del Decalogo, nell’Esodo e nel Deuteronomio, e lo cita anche il Levitico. Il tema è trattato anche da alcuni profeti maggiori, come Isaia. Il giorno di riposo è prescritto per onorare Dio che, secondo la narrativa biblica, “ha fatto il cielo e la terra e il mare e quanto è in essi, ma si è riposato il giorno settimo. Perciò il Signore ha benedetto il giorno di sabato e lo ha dichiarato sacro.” (Esodo 20,11). Tale prescrizione era talmente importante che all’epoca, per quanti la trasgredissero, era addirittura prevista la morte. Nel I secolo, le prime comunità giudaico-cristiane hanno gradualmente sostituito al sabato la domenica, in memoria della resurrezione di Gesù. Tornando allo Shabbat e all’elenco delle attività vietate, di fronte alla sua ampiezza e al suo rigore si è assaliti da un vero sgomento, e ci si chiede: ma allora un ebreo osservante come dovrebbe trascorrere tali 24 ore?
Rientrare in possesso dei propri spazi di libertà
È proprio cercando di rispondere a questa domanda che il riposo del sabato inizia ad apparirci in un’ottica molto diversa. La principale delle attività a cui ci si dovrebbe dedicare è ovviamente il raccoglimento spirituale, lo studio delle sacre scritture, la preghiera domestica e la partecipazione ai riti in sinagoga, che rivestono un carattere molto più importante di quelli celebrati negli altri giorni. Quest’ultimo aspetto è stato pienamente recepito dal cristianesimo che attribuisce un peso particolare alla messa domenicale. Accanto a ciò ci sono però molte altre attività dal carattere ben più materiale e voluttuario. In tale arco di tempo è prevista la consumazione di tre pasti (preparati in anticipo) particolarmente ricchi, in cui, secondo molte tradizioni, non dovrebbero mancare né il vino né la carne.
Gli ebrei sono esortati a sfruttare tale giornata di pausa per rinsaldare i rapporti familiari, andando a trovare dei parenti (che non vivano lontani e siano raggiungibili a piedi), condividendo con loro i pasti e, se possibile, fermandosi anche a dormire nella loro casa. È consentito svolgere attività ricreative, come alcuni tipi di gioco di gruppo o lunghe passeggiate rilassanti. Secondo alcune tradizioni, come quella cabalistica, la corrente mistica dell’ebraismo, è anche consentito avere rapporti sessuali tra marito e moglie. Di particolare interesse, ai fini del nostro discorso, sono anche alcune osservazioni che l’Antico Testamento fa in merito a tale tema. In un periodo in cui la condizione degli schiavi e degli stranieri era particolarmente drammatica, l’Esodo prescrive che “tu non farai alcun lavoro, né tu, né tuo figlio, né tua figlia, né il tuo schiavo, né la tua schiava, né il tuo bestiame, né il forestiero che dimora presso di te”. Il riposo sabbatico appare dunque come una forma di rispetto verso il lavoro di categorie oppresse e come un vero e proprio diritto che a queste ultime è riconosciuto. Il Deuteronomio è ancora più esplicito: “il tuo schiavo e la tua schiava si riposino come te. Ricordati che sei stato schiavo nel paese d’Egitto e che il Signore tuo Dio ti ha fatto uscire di là”.
Passando ai libri profetici, Isaia 56 cita il sabato in un contesto molto inclusivo non solo verso gli stranieri ma anche nei confronti degli “eunuchi”, espressione con la quale molto probabilmente si indicano coloro che, in varie forme, si presentano come ‘diversi’ dalla maggioranza dal punto di vista dell’orientamento sessuale o dell’identità di genere. Oggi si parlerebbe di persone lgbt: “così dice il Signore: “Agli eunuchi che osservano i miei sabati, preferiscono le cose di mio gradimento e restan fermi nella mia alleanza, io concederò nella mia casa e dentro le mie mura un posto e un nome migliore che ai figli e alle figlie; darò loro un nome eterno che non sarà mai cancellato.”
Lo spirito dello Shabbat per i cristiani del XXI secolo
Man mano che facciamo luce sul senso più profondo del sabato ebraico, emerge sempre più chiaramente come esso in realtà, lungi dall’essere un giorno di proibizioni, disagio e imposizioni, è al contrario una possibilità preziosa che Dio offre ai credenti affinché si riapproprino di spazi di libertà che i normali ritmi di vita rendono impossibili. Nell’antica società ebraica le giornate degli uomini erano occupate da asfissianti ritmi di lavoro, soprattutto in ambito agropastorale, e quelle delle donne da un lavoro domestico altrettanto pesante. In tale contesto era davvero difficile prendersi cura di quegli aspetti che, per un essere umano, rendono la vita degna di essere vissuta: la propria sfera interiore, la famiglia, l’ambito ricreativo, i piccoli piaceri della tavola e anche del sesso (consentito di sabato, lo ripetiamo, solo da alcune delle correnti teologiche ebraiche).
Fermarsi un giorno a settimana, non per pigrizia o scarsa serietà, ma perché è Dio stesso ad imporlo, era un modo per rientrare in possesso di quegli spazi che soli possono dare un senso alla nostra vita e renderla un grande piacere, più che una sofferenza. Era anche un modo per sottrarsi a quelle leggi e regole che prevedevano l’emarginazione delle minoranze (schiavi, stranieri, omosessuali), facendo del sabato un momento di inclusione: lo schiavo aveva il diritto di smettere di lavorare, lo straniero di non sentirsi più tale, l’“eunuco” che rispettasse il giorno di riposo poteva essere guardato come un fratello.
Proprio questa è la ragione per la quale, a nostro avviso, è di fondamentale importanza che i cristiani dei nostri giorni (ma anche, perché no, quanti abbiano una spiritualità non confessionale), riscoprano lo spirito più autentico dello Shabbat e, nei limiti di quanto i ritmi della vita di oggi consentono, si concedano periodicamente uno spazio di pausa, auto-liberazione e solidarietà sociale. Per il cristiano, ovviamente, potrebbe e dovrebbe essere la domenica, che del sabato ebraico è evoluzione, ma sappiamo bene che i meccanismi lavorativi dell’economia di mercato fanno sì che ciò non sia facile, in qualche caso è addirittura impossibile.
Se proprio non può essere la domenica, è importante che questo spazio periodico per fermarci e prenderci cura di noi stessi sia comunque un aspetto importante della nostra vita, quando possibile. Non possono essere certamente la settimana bianca o quella al mare (pur preziose) a svolgere questo ruolo. A volte esse ci fanno tornare a casa più stressati e stanchi di prima, e in ogni caso presuppongono risorse economiche per poterselo permettere. Il riposo settimanale dovrebbe essere invece anche e soprattutto un momento di liberazione dal danaro e di temporanea uguaglianza all’interno della comunità dei credenti.