I gay cattolici si incontrano lo stesso: “Ma non perdiamo i fili con la diocesi”
Articolo di Fabrizio Assadri pubblicato su La Stampa – cronaca di Torino il 7 febbraio 2018, p.49
Non rinunciano ad incontrarsi i gay cattolici di Torino. Non vogliono arrendersi, dopo che il ritiro spirituale sul tema della fedeltà è stato stoppato dal vescovo, d’accordo con don Gianluca Carrega, l’organizzatore – si legge nella nota della diocesi – «per effettuare un adeguato discernimento». «Nel giorno in cui era previsto il ritiro, sabato 24, saremo a un incontro a Pinerolo con la teologa Selene Zorzi», racconta Massimo Battaglio, dell’associazione di gay credenti «Cammini di speranza».
Certo, non ci sarà più l’ombrello della diocesi di Torino. Non ci sarà la riflessione sulla fedeltà, che don Carrega con il ritiro intendeva proporre alle coppie gay in risposta al mancato obbligo di fedeltà previsto dalla legge Cirinnà sulle unioni civili. Zorzi presenterà il suo libro «Il genere di Dio. La Chiesa e la teologia alla prova del gender».
«In questo momento, dopo la batosta, sentiamo il bisogno di incontrarci», dice Battaglio. «La diocesi ha forse avuto paura del clamore mediatico, ma il tavolo di lavoro che ha creato per incontrare i gay si chiama “Alla luce del sole”. Non si può pretendere che le nostre ragioni restino in cantina, al buio».
Erano già una trentina gli iscritti al ritiro. Gay single e fidanzati, coppie di lesbiche, genitori di ragazzi omosessuali. Da Torino e altre parti d’Italia. Tra chi ha organizzato quel ritiro c’è amarezza. Preoccupazione. «Forse c’è stata troppa ingenuità nel pensare di poter parlare pubblicamente dell’iniziativa. Dobbiamo stare attenti a maneggiare la polvere da sparo. Il rischio, se si affossa l’esperienza torinese della pastorale per i gay, è che resti il deserto».
Franco Caldera, unito civilmente col compa- gno, fa parte del centro studi su religioni e omosessualità Ferruccio Castellano, al Gruppo Abele, e siede al tavolo che, insieme a don Gianluca, ha organizzato il ritiro. «Forse la diocesi non se l’è sentita di aprire a un’esperienza su un tema così difficile come quello del rapporto tra unioni civili e matrimonio sacramentale. Così però si rischia di ignorare quelle che nella Chiesa sono ancora “periferie esistenziali”». Ma Torino resta comunque «avanti»: don Carrega è uno dei pochissimi sacerdoti in Italia (si contano sulle dita di una dita di una mano) incaricati ufficialmente da un vescovo di occuparsi della pastorale degli omosessuali. Anche se l’incarico rientra non nella pastorale della famiglia, ma in quella della cultura.
Tutto nacque nel 2006, quando il coordinamento Torino Pride chiese di incontrare la diocesi. Qualche anno fa sbarcò in città anche il gruppo «Courage», che ha tutt’altra impostazione: al primo punto del programma c’è la castità. Il gruppo sembra non aver ottenuto grandi adesioni. Tra alti e bassi, il tavolo della diocesi è ancora in piedi. Ecco perché Caldera lancia un forte appello a sostenere don Gianluca: «Appoggiare lui e il tavolo della diocesi è importante, per non rinunciare a promuovere una crescita dentro la comunità dei fedeli. È una contraddizione apparente: digerire situazioni difficili e incomprensioni prendendo dalla dottrina quello che è comune per tutti i credenti». Un lavoro di fino, che gli incidenti come l’attuale non devono interrompere.
Il tavolo aveva fissato un incontro lunedì prossimo, per organizzare nei dettagli il ritiro spirituale, dal titolo «Degni di fedeltà». «Il tavolo si riunirà nonostante tutto, rifletteremo sull’accaduto, che viviamo come una discriminazione, ma ci conforta che la diocesi abbia congelato il ritiro, avrebbe potuto cancellarlo e basta», dice Riccardo Reinaudo, che s’è unito civilmente dopo 11 anni di convivenza, ed è una voce storica del- l’associazionismo cattolico gay, in realtà come «Davide e Gionata» e «La rondine». Parla di «percorso catacombale» ed è convinto: «Più che le dottrine degli uomini è meglio seguire il Vangelo».
L’attivista anti gay. Prima sindaco poi catechista ora candidato
«Nosiglia ha sbagliato. Non mi stupisce il suo parziale dietrofront». Serafino Ferrino, ex sindaco di Favria e oggi candidato alla Camera per il Popolo della Famiglia di Adinolfi, è critico dopo le parole dell’arcivescovo di Torino sul ritiro spirituale per gli omosessuali sul tema della fedeltà.
Di esperienza sul tema, va detto, Ferrino ne ha da vendere: un anno e mezzo fa era salito alla ribalta per aver rifiutato di celebrare un’unione civile in municipio tra due uomini. Nonostante la legge, alla quale l’allora primo cittadino, volto noto delle «Sentinelle in piedi» del Canavese, si era opposto invocando una sorta di «obiezione di coscienza».
Oggi Ferrino, che ha appena compiuto 70 anni, al netto della candida- tura alla Camera («Che sarà difficile da concretizzare perchè il partito deve superare almeno il 3%»), terminata dopo quasi quattro decenni l’avventura amministrativa locale, si occupa principalmente di catechismo nella parrocchia di Oglianico, il paese vicino a Favria. «Un ruolo che mi dà grandi soddisfazioni e mi permette di vivere la chiesa dall’interno».
Una chiesa meno progressista di quella che sostiene Papa Francesco? «Su certi temi assolutamente sì. Sugli omosessuali, ad esempio, non credo che la chiesa possa aprirsi in maniera così violenta. Evidentemente interpretiamo il mondo cattolico in maniera diversa».
Sul ritiro spirituale per gli omoessuali, insomma, Ferrino plaude ma non troppo alla sospensione invocata dall’arcivescovo Nosiglia. «Ha fatto bene a ritrattare ma credo che lo abbia fatto solo perchè le pressioni sono state notevoli. È stato costretto a fare un passo indietro. Diciamo che non ha chiuso la porta del tutto. Tuttavia non credo avrà modo di riaprirla a breve».