La storia di Bec. Nel lockdown ho trovato nuovi spazi per la mia identità queer
Articolo di El Hunt pubblicato sul sito dell’edizione britannica del mensile Cosmopolitan (Gran Bretagna) il 13 ottobre 2020, liberamente tradotto da Giacomo Tessaro, parte quarta e ultima
Testimonianza di Bec*, 30 anni, di Doncaster: All’inizio di quest’anno [2020] Bec, una studentessa, stava appena iniziando a pensare alla sua identità di genere. Prima che la pandemia arrivasse a serrare tutti i club del Paese, Bec frequentava un locale LGBTQ+ di Londra, chiamato The Chateau, quasi ogni fine settimana: “Quel posto mi faceva sentire molto a mio agio, perché ero circondata da gente che (lo capivo bene) era come me. Doverci rinunciare per via del lockdown è stata veramente dura. Sentirsi protetta in uno spazio che non è casa tua vale tanto oro quanto pesa”.
All’inizio di quest’anno Bec viveva con sua sorella e un’amica queer in un appartamento di Londra. Si sentiva protetta a casa e nei locali LGBTQ+, ma non sempre in altri spazi pubblici: “Per secoli mi sono sentita molto a disagio negli abiti che indossavo, ma non sapevo come fare per indossare qualcosa di totalmente diverso. Penso che avessi timore di farmi notare dalla gente”.
Lo spazio extra offertole dal lockdown ha cambiato le cose: “È uno scudo per essere me stessa, per nessuno se non per me stessa”. La prima fase delle restrizioni “ha aperto ulteriori spazi” per parlare faccia a faccia con le amiche della sua identità non binaria e per usare il pronome “loro”.
Circa un mese fa Bec, costretta dalla sua situazione economica, ha dovuto trasferirsi dai suoi genitori a Doncaster: “In un mondo ideale, non l’avrei certamente fatto. Mia mamma è una britannica bianca, e mio papà è congolese. Nella famiglia di mio papà si parla poco delle tematiche di genere. C’è poi l’aspetto religioso, in quanto sono ambedue cristiani: un ulteriore motivo di nervosismo per me”.
Le prime due settimane non sono state facili: i genitori, inconsapevoli, usavano i pronomi sbagliati, e Bec non sapeva come affrontare la questione. Ma una sera a cena, suo papà nota come “ora ti vesti in modo molto diverso”.
“Da lì in poi, ha reagito molto bene, e ce la mette tutta. Quando scende in salotto, di solito dice ‘Salve ragazze!’; l’altra mattina ha detto invece ‘Salve umani!’. Tutt* ci abbiamo riso sopra.”
Dopo mesi dall’inizio della pandemia, le nostre vite rimangono drasticamente diverse rispetto a prima, e questo è particolarmente vero per molte persone LGBTQ+, rimaste isolate dalla loro comunità. In pratica tutti i locali queer del Paese rimangono chiusi, e il ritorno alla normalità sembra molto lontano, ma forse, per alcun* di noi, l’inaspettata svolta rispetto all’opprimente ritmo quotidiano ha mostrato come a volte fosse molto limitante la vita “normale”.
Dimentichiamoci la nuova normalità: quando tutto questo un giorno finirà, ho già pensato a concentrarmi sul mio nuovo io.
* Alcuni nomi e dettagli sono stati modificati.
Testo originale: “How lockdown helped me discover my sexuality”