L’odio non è un opinione
Dialogo di Katya Parente con Alessio Avellino, presidente di Polis Aperta
Tra i componenti delle Forze dell’Ordine e dei militari, di ogni epoca e Paese, ci sono e ci sono sempre state persone LGBT. Questo fatto, che ormai dovrebbe essere assodato ed accettato come in qualsiasi altra professione, è tornato alla ribalta in questi giorni con l’uscita del libro “Il mondo al contrario” del generale Roberto Vannacci.
Un saggio, a detta di chi lo ha letto e da ciò che si desume dai numerosi stralci che in questi giorni si possono trovare un po’ ovunque, razzista e omofobo.
È noto tuttavia che, da anni, le Forze Armate non precludano l’ingresso a membri dichiaratamente LGBTQ, rendendo così l’iniziativa non certo il manifesto di questa istituzione ma semplicemente la raccolta delle personali disquisizioni di un singolo.
Ne parliamo con Alessio Avellino, il presidente di Polis Aperta, la prima Associazione LGBT+ italiana di appartenenti alle Forze dell’Ordine e Forze Armate.
Cos’è Polis Aperta e da quanto tempo esiste?
Polis Aperta è una associazione di volontariato, nata nel 2005 sulla base dell’esempio europeo; nel 2004, infatti, ad Amsterdam vide i natali l’Egpa – European Lgbt Police Association – alcuni colleghi che vi presero parte, decisero di creare un’analoga organizzazione italiana. Per muovere i primi passi fu fondamentale l’esperienza dei colleghi europei, fuori dai confini nazionali le realtà sono varie: esistono organizzazioni di volontariato come la nostra, mentre in altri stati – come l’Olanda – si tratta invece di veri e propri settori della polizia. Il primo presidente fu eletto nel 2008 e apparteneva al Corpo della Guardia di Finanza.
La mission di Polis Aperta riguarda principalmente il contrasto alle discriminazioni che subisce la comunità lgbtqi+ sia all’interno dei corpi di polizia o delle forze armate sia nei confronti dei reati, dai discorsi di odio alle aggressioni vere e proprie, subiti dai cittadini. Abbattere il muro della diffidenza che tradizionalmente separa le minoranze dai tutori della legge è un modo per incrementare la sicurezza di tutta la società promuovendo la cultura del rispetto e dell’uguaglianza.
Vista l’esistenza della vostra associazione, ci dev’essere un numero rilevante di persone LGBT nelle Forze Armate e in quelle dell’Ordine…
L’associazione non fa altro che rispecchiare la composizione della società: il numero di persone lgbtqi+ che spendono la propria vita lavorativa all’interno di corpi di polizia o dell’esercito è identico a quello di tutti gli altri settori produttivi del Paese. Semplicemente prima era una parte della vita che veniva taciuta, pena il rischio in certi corpi di essere riformato e quindi di perdere il lavoro.
Chi non è militare e/o LGBTQI+ può aderire comunque alla vostra associazione?
L’associazione ha già una composizione varia, oltre ai militari abbiamo molti iscritti appartenenti a corpi di polizia civile, come la Polizia di Stato, Vigili del Fuoco e Polizia Locale, chi si vuole iscrivere all’associazione ne deve condividere i valori e la missione indipendentemente dal proprio orientamento sessuale e dall’identità di genere. Inoltre abbiamo anche la tessera di socio sostenitore per chi, pur non indossando una divisa, condivide i nostri obiettivi.
Nell’ambiente militare non vale più il “don’t ask, don’t tell” (non chiedere, non dire). Merito anche vostro?
Come si diceva negli ultimi 20 anni l’evoluzione dei costumi all’interno ha fatto da propulsore a cambiamenti positivi all’interno della società. Aprendo prospettive fino pochi anni prima quasi impensabili, come l’introduzione del personale femminile all’interno delle forze armate e la rimozione dell’omosessualità tra le cause di “inabilità al servizio”. Il principale motivo per cui si taceva la propria vita privata era la paura di essere riformati e perdere il lavoro. Questo ha permesso a tanti di rendersi visibili innescando un meccanismo di reciproca conoscenza che abbatte ogni pregiudizio: la comunità Lgbtqi+ non è più qualcosa di oscuro, relegato ad “ambienti torbidi” ma il collega, quella persona che stimi con cui si fa pattuglia fianco a fianco e con cui si divide una grande fetta di vita ed esperienze lavorative.
Inoltre, le attuali teorie per la gestione del personale, di un corpo militare di polizia o semplicemente aziendale, ritengono che l’occultamento dell’orientamento sessuale sia fonte di stress che porta ad esperienza negative e esiti lavoro-correlati deleteri. In particolare il personale lgbtqi+ non dichiarato è maggiormente esposto a effetti di stress lavoro-correlato capaci di influenzare negativamente le prestazioni lavorative. E’ dunque interesse del datore di lavoro, in questo caso gli enti pubblici, puntare su personale efficiente e in grado di rispondere al meglio alle situazioni di stress e soccorso al cittadino. In conclusione non si tratta di appuntare a Polis Aperta “meriti” come se fossero medaglie, occorre lavorare ogni giorno cercando di accompagnare i processi sociali promuovendo la cultura del rispetto e dei diritti civili per tutti.
Il libro “Il mondo al contrario” del generale Vannacci, di recente (auto) pubblicazione, ha sollevato un incredibile polverone mediatico e ha portato alla sua destituzione. Come vi sentite di commentare la cosa?
L’odio non è una opinione, ma una violazione dei principi fondamentali della Costituzione che chi indossa una divisa ha giurato di difendere. Diffonderlo non è libertà di parola ma una palese violazione dei propri doveri soggetta a provvedimenti disciplinari. Come Polis Aperta abbiamo già condannato, attraverso un comunicato, lo scritto del generale. Vigileremo con tutti i mezzi possibili perché questa persona non abbia ancora l’opportunità di gestire, e visto quanto ha pubblicato rivendicandolo anche in diverse interviste, discriminare il personale che avesse la sventura di sottostare ai suoi ordini.
Lasciamo i nostri lettori con il comunicato che Polis Aperta ha diffuso all’indomani dell’increscioso episodio e che ci trova assolutamente d’accordo:
“L’odio non è una opinione, chi lo diffonde rinnega la Costituzione ed è indegno di portare una divisa. Vannacci si dimetta. Chi per mestiere indossa una divisa, dell’esercito italiano o di corpi di polizia, ha giurato di difendere la Costituzione e i valori fondati della democrazia italiana in essa contenuti.
Valori che parlano di uguaglianza tra cittadini, di rispetto per le minoranze e di parità di genere, chiunque vada contro i principi fondamentali della nostra Costituzione diffondendo l’odio, come se fosse un opinione come le altre, è indegno di portare una divisa e deve dimettersi.
“Gli sproloqui contenuti nella pubblicazione autoprodotta del generale Roberto Vannacci non sono opinioni. E’ odio allo stato puro, insulti infarciti disprezzo per chiunque si discosti da una cultura eteropatriacale dove il dominio sul più debole e la prevaricazione la fanno da padrone. Ebbene queste “idee” non sono compatibili con il servizio alla democrazia e non sono compatibili con la responsabilità di gestione del personale che fa capo a un generale dell’esercito. Non sono idee, sono solo odio per il prossimo.
Per tal motivo, pur apprezzando la presa di distanza dell’Esercito e le dichiarazioni del Ministro Crosetto, Polis Aperta, associazione Lgbtqi+ appartenenti alle forze armate e forze di polizia, chiede direttamente al generale Roberto Vannini, che rivendica con tanta forza i proprio scritti, di dimettersi immediatamente per manifesta incompatibilità con il servizio al Paese“.
Un grazie di cuore a Daisy Melli che ha reso possibile l’intervista.