L’olocausto dei triangoli rosa. Cosa può dirci oggi la persecuzione nazista degli omosessuali
Articolo di Stav Ziv pubblicato sul sito del settimanale Newsweek (USA) il 31 maggio 2015, libera traduzione di Ilaria Ziccardi
Osservando un po’ ovunque in una libreria – in una biblioteca scolastica o locale, in un archivio universitario, o anche in una casa privata – c’è una buona probabilità di trovare almeno un libro di memorie scritto da una vittima ebrea dei nazisti. Potrebbe essere il diario di Anna Frank o una storia raccontata da un ebreo che ha sopportato l’inimmaginabile ed è sopravvissuto all’Olocausto.
Sarebbe molto più difficile trovare una storia scritta da un membro di un altro gruppo sistematicamente perseguitato dal regime di Hitler: gli omosessuali. “È così tanto diversa dalla letteratura (contenuta) nei migliaia di libri di memorie ebree nei quali le persone hanno raccontato le proprie storie”, dice Ted Phillips, direttore della mostra allo United States Holocaust Memorial Museum (USHMM) di Washington, D.C. e curatore della mostra itinerante “La persecuzione Nazista degli Omosessuali: 1933-1945” (Nazi Persecution of Homosexuals, 1933-1945)
La mostra, presentata all’USHMM nel novembre 2002, è stata portata in dozzine di musei, biblioteche, università e centri LGBT in più di 25 stati. Con la sua prima tappa a New York City, la mostra “La Persecuzione nazista degli omosessuali” ha aperto al pubblico venerdì al Museum of Jewish Heritage in Manhattan.
Ancor prima di realizzarla, dice Phillips, l’USHMM ha deciso consciamente di ricordare tutte le vittime dell’Olocausto, una categoria che include i polacchi non ebrei, i prigionieri sovietici di guerra, i disabili, i testimoni di Geova, i rom e gli omosessuali, oltre agli ebrei.
Da allora, ha anche aggiunto informazioni sul suo sito e ha presentato mostre sugli altri genocidi e atrocità. In autunno è stato il primo a mostrare pubblicamente foto che dicevano di essere state portate illegalmente fuori dalla Siria, mostrando i detenuti torturati e uccisi dal regime di Assad. All’inizio di questo mese, il museo ha aperto una mostra sui Khmer Rouge della Cambogia e un altro studio “la storia degli sforzi per catturare gli autori responsabili di genocidio e atrocità di massa attraverso i procedimenti giudiziari.”
La mostra concentrandosi sulle persecuzioni naziste degli uomini gay è composta da una serie di pannelli cronologici pieni di testo, fotografie e immagini dei dati della polizia e altri documenti. I display si trovano al terzo piano del Museum of Jewish Heritage, il quale è situato sulla punta meridionale di Manhattan, nei pressi di Battery Park.
Allineato con le finestre che fanno capolino dai pannelli e con il suo flusso di luce sul pavimento di legno lucido, la stanza si affaccia sull’acqua e anche su alcuni angoli della Statua della Libertà.
La mostra comincia spiegando che il paragrafo 175 del diritto penale tedesco si trovava sui libri dall’unificazione della Germania nel 1871. Tale paragrafo affermava che “l’indecenza innaturale” tra gli uomini doveva essere “punita con la reclusione”.
Eppure, durante il periodo di Weimar tra le due guerre, le maggiori città come Berlino divennero centri di sperimentazione sociale che “offrivano sia anonimato, sia grado di accettazione”, recita un pannello. “Fiorirono decine di leghe dell’amicizia dello stesso sesso, club, bar, caffè, sale da ballo, fornendo ai loro membri entrambe le cose, supporto e comunità”. Tuttavia, ogni anno, centinaia di uomini erano ancora perseguiti ai sensi del paragrafo 175, che però non menzionava le lesbiche.
Agli occhi dei nazisti l’omosessualità indeboliva la razza ariana, in parte perché gli uomini gay non contribuivano allo sforzo fatto per aumentare il tasso di natalità ariana, avendo “fisicamente ritirato il loro potere generativo dalla società”, recita un altro pannello. “Temevano l’omosessualità come una infezione che poteva diventare una epidemia, soprattutto tra i giovani vulnerabili della nazione”. Un diagramma nazista, per esempio, mostrava che il contagio si spostava da un individuo ad altre 28 persone per mezzo della seduzione.
Nella visione nazista maschio-dominante della società “la presenza delle lesbiche non spaventava” quanto quella degli uomini gay. Phillips spiega “Non spaventava un contagio che indebolisse il genere femminile perché esso non era importante, tranne che per essere moglie e madre”. Quando i nazisti riscrissero il paragrafo 175 nel 1935, il linguaggio usato era in grado di far condannare gli uomini anche più facilmente, ma non c’era ancora nessun riferimento alle donne. Sebbene ne discussero a lungo, dice Phillips, i nazisti stabilirono che sarebbe stato ”troppo difficile conoscere le differenze tra una profonda amicizia femminile e un’intima relazione sessuale tra donne.”
La nuova versione della legge permetteva alla corte di deliberare che “ogni contatto tra gli uomini che si ritenga avere un intento sessuale, anche un semplice sguardo o un semplice tocco, poteva essere causa di arresto o di condanna,” recita il pannello. Le denunce divennero il mezzo principale per arresti e interrogatori, con i verbali della polizia che indicano come anche la parola incerta di una terza persona fosse spesso una prova sufficiente.
Durante il regime nazista, dice Phillips, circa 100.000 uomini furono arrestati ai sensi del paragrafo 175, e circa metà di questi ricevettero pene detentive dopo essere comparsi in tribunale. Alcuni uomini furono internati negli ospedali psichiatrici e alcuni “forse centinaia – furono castrati per ordine del tribunale”.
Tra i 5.000 e i 15.000 uomini furono inviati ai campi di concentramento, campi che non rientravano nell’ambito del sistema giudiziario. In questi campi veniva fatto indossare loro i triangoli rosa, per identificarli come omosessuali. Nei campi tedeschi, nei quali c’erano pochi ebrei (la maggior parte dei quali venivano mandati nei territori dell’est), gli uomini gay erano in fondo alla gerarchia del campo e gli altri prigionieri temevano di essere associati a loro.
Dopo la resa della Germania nel maggio 1945, le potenze alleate “abrogarono innumerevoli leggi e decreti che avevano sostenuto la progettazione eugenetica nazista per creare una razza ariana superiore purificata”, recita un pannello all’indomani della guerra. La versione nazista del paragrafo 175 comunque, non venne abrogata e la Germania dell’ovest non depenalizzò le relazioni omosessuali fino al 1969.
Phillips dice “Una discussione fatta dalle potenze occupanti affermava che non ci fosse nulla di specificamente nazista sul paragrafo 175 scritto dai nazisti. Ricordiamo che chi occupò la Germania erano: Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna, Unione Sovietica. Tutti e quattro i paesi hanno avuto leggi scritte contro i gay e contro la sodomia. Per questo non vedevano niente di sbagliato nel fatto che la Germania avesse una legge anti-gay.”
Dopo la guerra in Germania l’omosessualità continuò ad essere criminalizzata, e anche quando e dove non era considerata un crimine, lo stigma persisteva. Per questo pochissime vittime omosessuali della persecuzione nazista si fecero avanti per raccontare le loro storie. “Questo è il motivo per cui”, dice Phillips, “sappiamo così poco dei sopravvissuti gay.”
Gli studiosi cominciarono a guardare alle persecuzioni naziste degli omosessuali negli anni 1970-80, dice Phillips, raccomandando Il Triangolo Rosa: la guerra nazista contro gli omosessuali (1986) di Richard Plant come ‘il singolo racconto più chiaro della storia complessiva.’ E per ora ci sono – ma sono ancora molto pochi – libri di memorie, come quella, Io, Pierre Seel, deportato omosessuale: una memoria del terrore nazista di Pierre Seel e Gli uomini con il triangolo rosa: la vera storia di vita e morte degli omosessuali nei campi di sterminio nazisti di Heinz Heger. Sia Seel sia Heger, il cui vero nome era Josef Kohout, sono morti.
“Come ben sappiamo, non ci sono più vittime gay sopravvissute del periodo nazista. Rudolf Brazda è stato l’ultimo superstite conosciuto dei campi di concentramento e morì nel 2011. Fu l’unico a rivelare la sua storia circa un anno prima dalla sua morte”, dice Phillips. Poiché la maggior parte degli uomini arrestati ai sensi della legge 175 nel 1930-40 avevano circa 30-40 anni, ora il loro tempo è finito o “Se c’è ancora qualcuno, lui o lei è molto vecchio/a e vive una vita molto tranquilla.”
Anche se la mostra include un quartetto di brochure segnate come “Storia di una persona” con alcuni dettagli su casi specifici, una delle sfide più grandi che Phillips ha affrontato è stata la scarsità di testimonianze dirette. Invece di raccontare la storia dal punto di vista delle vittime, come aveva sperato, ha dovuto fare affidamento agli archivi nazisti – come risultato ha raccontato la storia dal punto di vista dei colpevoli.
“La lezione della Shoah ha mostrato quanto sia fragile e come le istituzioni sociali possano essere facilmente manipolabili e distrutte”, dice Phillips. L’obiettivo del lavoro dell’USHMM con questa mostra è di “mostrare alle persone cosa debbano imparare da questa storia sanguinosa per preservare la nostra democrazia.”
Quando Phillips ha creato la mostra, subito dopo l’inizio del nuovo millennio, la discussione sul matrimonio tra persone dello stesso sesso non era ancora diventata un tema centrale nel discorso pubblico americano. Quasi 15 anni dopo, la Corte Suprema è pronta a prendere una decisione storica sulla questione, prevista nel mese di giugno (ndr come ha fatto autorizzando il matrimonio gay negli Usa).
“La discussione in questo paese è cambiato così tanto nei 15 anni di questa mostra itinerante”, dice Phillips. “Le domande sono cambiate attraverso il dibattito, ma io in genere sono lontano dal fare parallelismi. Lascio che i visitatori comprendano come questa storia risuona in loro oggi e faccio trarre a loro le conclusioni”.
Testo originale: Pink Triangles and Prison Sentences: Nazi Persecution of Homosexuals