L’omofobia è una patologia?
Articolo di Pablo Uchoa pubblicato sul sito di BBC Mundo il 21 settembre 2018, liberamente tradotto da Roberta Mondin-Smith
La scienza ha da tempo abbandonato l’idea di cambiare l’orientamento sessuale delle persone. La maggior parte degli scienziati concorda sul fatto che non si può “curare” ciò che non è una malattia.
L’omosessualità è stata declassificata come malattia mentale negli Stati Uniti nel 1973. L’Organizzazione mondiale della sanità lo ha fatto nel 1990.
Paura irrazionale
Per contro, nello stesso arco di tempo, l’omofobia è stata più attentamente studiata da parte di ricercatori che cercano di comprenderne le molteplici cause.
Lo psicologo americano George Weinberg, che ha coniato il termine negli anni ’70, ha definito l’omofobia come “la paura di essere sgradevolmente vicini agli omosessuali“.
Il suffisso greco “fobia” denota una paura irrazionale di qualcosa.
Nel suo libro del 1972 “Society and the Healthy Homosexual”, Weinberg scrive: “Non considererei mai sano un paziente se non ha superato il suo pregiudizio contro l’omosessualità”.
Emmanuele A. Jannini, docente di Endocrinologia e Sessuologia Medica all’Università di Roma Tor Vergata, sostiene che l’omofobia è solo “la punta dell’iceberg”.
Jannini assicura che l’omofobia è legata a certi tratti della personalità e, se vi si aggiunge la violenza, può essere diagnosticata come una malattia psichiatrica.
Jannini ha suscitato qualche polemica con uno studio pubblicato sul Journal of Sexual Medicine nel 2015, in cui collegava l’omofobia allo psicoticismo (potenzialmente caratterizzato da rabbia e ostilità), l’esistenza di meccanismi di difesa immaturi (con tendenza a proiettare emozioni) e un legame parentale apprensivo (che porta all’insicurezza inconscia).
L’indagine è stata definita “spazzatura pro-LGBT” dai critici conservatori. Ma in un colloquio con la BBC Jannini ha difeso la sua ricerca, definendo “debole” la personalità omofoba.
“Non è un termine scientifico, ma lo uso per essere compreso meglio“, dice.
La scala dell’omofobia
Nel suo studio, Jannini ha applicato una nota scala per misurare i possibili gradi di omofobia in 551 studenti universitari italiani e ha confrontato i risultati con misurazioni di altri tratti psicologici.
Lo studioso ha scoperto che le persone con atteggiamenti omofobici più forti erano quelle con punteggi più alti su tratti psicologici come psicoticismo e meccanismi di difesa immaturi, mentre un legame parentale sicuro era un indicatore di bassi livelli di omofobia.
Sono tutti problemi mentali che possono essere curati con la terapia, sostiene Jannini.
“Potrebbe non piacerti il comportamento omosessuale. Ma non hai bisogno di dire costantemente che non sei gay, che odi i gay, che non vuoi gay a casa tua, che non vuoi insegnanti gay a scuola”, spiega Jannini, e afferns: “Dopo aver discusso per secoli se l’omosessualità potesse essere considerata una malattia, per la prima volta abbiamo dimostrato che la vera malattia da curare è l’omofobia“.
Il potere delle culture
Tuttavia, gli individui sono anche modellati dal loro ambiente e uno studio successivo del team di Jannini ha esplorato come le culture fortemente permeate da ipermascolinità, misoginia e atteggiamenti ipocriti si relazionano all’omofobia.
In questo studio, nel 2017 il team ha confrontato i risultati su 1.048 studenti in tre paesi con una diversa composizione religiosa: Italia (paese a maggioranza cattolica), Albania (a maggioranza musulmana) e Ucraina (a maggioranza ortodossa).
“Una scoperta piuttosto interessante è che la religione di per sé non è correlata all’omofobia“, ha detto Jannini, sottolineando che “Sono le credenze religiose fondamentaliste nelle tre religioni che influenzano i livelli di omofobia”.
E in effetti, voci religiose moderate affermano che la religione non sostiene l’omofobia.
“Odiamo il peccato, ma non coloro che commettono peccati”, ha detto alla BBC Vahtang Kipshidze, portavoce ufficiale della Chiesa Ortodossa Russa.
Il potere del dogma
Kipshidze ammette che la Chiesa non può cambiare la sua opinione che l’omosessualità è un peccato perché questo dogma viene da Dio, non dalla Chiesa.
“Riteniamo che le persone che hanno rapporti con persone dello stesso sesso siano vittime dei loro peccati e, in quanto vittime, meritano un trattamento spirituale“, spiega.
Tuttavia, altri prendono una linea molto più dura.
“Le Sacre Scritture ci insegnano a lanciare pietre contro coloro che hanno un orientamento non tradizionale“, ha detto il sacerdote russo Sergei Rybko in un’intervista nel 2012, dopo che uomini armati avevano attaccato e vandalizzato una discoteca gay a Mosca. E ha aggiunto: “Sono pienamente d’accordo con le persone che stanno cercando di ripulire la nostra patria da queste persone”.
Ma Kipshidze afferma che “non ci sono prove nel Nuovo Testamento a sostegno del lancio di pietre contro peccatori di alcun tipo”.
Allo stesso modo in cui il peccato di adulterio non è criminalizzato, “la Chiesa non sostiene la criminalizzazione delle relazioni omosessuali”, afferma Kipshidze.
Tuttavia, riconosce che alcune persone hanno letto male le Scritture e le usano come pretesto per la violenza.
Il potere del linguaggio
“Non c’è dubbio che parte del linguaggio usato da molti leader della Chiesa per educare i credenti proietti paura e rabbia contro le persone LGBT“, afferma Tiernan Brady, un irlandese sostenitore dell’inserimento delle persone LGBT all’interno della Chiesa cattolica.
Brady è il direttore di Equal Future, una campagna pro-LGBT lanciata durante la visita di Papa Francesco a Dublino lo scorso agosto.
“Tutta l’omofobia viene appresa. Non nasciamo omofobi, assorbiamo l’omofobia dall’esterno“, dice Brady.
E segnala che, mentre l’atteggiamento nei confronti delle persone LGBT sta cambiando in tutto il mondo, dall’America meridionale e centrale all’Asia meridionale, all’Europa orientale, all’India e alla Cina, secoli di linguaggio ostile non cambieranno da un giorno all’altro.
“Ma la Chiesa è solo una parte della vita delle persone. Ci sono altri luoghi in cui veniamo indottrinati all’omofobia: sport, politica, società“, avverte Brady.
E questo significa che la cultura dei paesi conservatori può rafforzare gli aspetti più rigidi della religione, sostiene Brady.
“I paesi in cui vediamo più omofobia sono quelli in cui le persone LGBT sono più invisibili, perché è più facile creare paura e sfiducia”.
Il potere degli stereotipi
Patrick R. Grzanka è assistente di psicologia presso l’Università del Tennessee ed editore associato del Journal of Counseling Psychology.
La sua ricerca suggerisce che l’omofobia è legata anche a un altro fattore: gli stereotipi.
Nel 2016, hanno preso un campione di 645 studenti universitari e li hanno classificati in base al loro livello di omofobia.
Li hanno quindi classificati in base a quattro blocchi di credenze: 1) che le persone appartenenti a una minoranza sessuale sono nate in questo modo; 2) che tutti i membri di un gruppo sessuale si assomigliano; 3) che un individuo può appartenere a un unico gruppo sessuale; 4) che una volta che conosci qualcuno in un gruppo, conosci l’intero gruppo.
Non sorprende che i ricercatori abbiano trovato un più alto livello di accettazione nel gruppo che affermava che le minoranze sessuali sono nate in questo modo. Questo si è dimostrato vero sia per i partecipanti eterosessuali che per quelli omosessuali.
Ciò che ha separato le persone con gli atteggiamenti negativi più forti dal resto è che hanno ottenuto punteggi più alti nelle altre tre convinzioni.
Il potere della visibilità
Secondo Grzanka, è la “stigmatizzazione implicita” nella mente delle persone che le predispone ad accettare certi pregiudizi, e crede che il modo per ridurre l’omofobia sia educare le persone sugli come percepiscono gli “altri“.
“Dovremmo fare campagne educative di informazione pubblica e organizzare politiche anti- omofobia intorno a questo tipo di credenze, sottolineando che le persone gay si assomigliano e che l’orientamento sessuale è potenzialmente non fluido”, dice Grzanka.
“Non c’è nulla di innato dietro le paure irrazionali nei confronti delle minoranze sessuali. Ci sono stati momenti nella storia umana in cui il comportamento omosessuale è stato accettato, legittimato e persino venerato“, ricorda lo stesso.
Inoltre, è provato che una maggiore visibilità può influenzare le percezioni delle persone e promuovere i diritti LGBT.
Secondo un sondaggio Gallup, nel 1999, circa due terzi degli americani erano contrari al matrimonio tra persone dello stesso sesso e solo un terzo pensava che dovesse essere legale.
Meno di 20 anni dopo, è vero il contrario: più di due terzi sostengono il matrimonio tra persone dello stesso sesso e meno di un terzo è contrario.
I ricercatori affermano che ormai oltre il 10% degli adulti LGBT è sposato con qualcuno dello stesso sesso e la loro visibilità sta contribuendo a vincere l’opposizione di molte persone al matrimonio gay, contribuendo così a superare atteggiamenti omofobici.
Non sappiamo ancora se sia possibile “curare” l’omofobia, ma i ricercatori pensano di essere vicini a una sua migliore identificazione.
Testo originale: ¿Es la homofobia una enfermedad?