L’omofobia in Medio Oriente e l’islam. Dalla primavera araba all’inverno arabo
Dossier di Jack May pubblicato su Winq Magazine (Gran Bretagna), dicembre 2017, pp.188-193, quarta parte, libera traduzione di Andrea Shanghai
In queste acque torbide che mescolano eredità coloniali e antichi califfati, insieme con poeti arabi classici con la propensione a scrivere versi omoerotici, la tentazione è di dare tutta la responsabilità (dell’omofobia araba) all’Islam. Abbiamo assistito tutti ai filmati di combattenti dell’Isis che scagliano omosessuali dall’alto degli edifici come punizione o alle immagini di ragazzini gay iraniani impiccati, e siamo tutti al corrente delle notizie di persone gay condannate a morte in Arabia. La via più semplice sarebbe quella di dire che il filo conduttore fra tutti questi fatti sia l’Islam, e che sia quindi l’Islam il colpevole.
‘Questa è una falsa dicotomia che si ripete continuamente”, dice Omar Sharif Jr, “della religione contro accettazione delle persone LGBT+. Molte persone LGBT+ sono in realtà persone di fede e molti leader di istituzioni religiose supportano l’eguaglianza LGBT+”. E’ d’accordo anche Hamed Sinno: “I media presentano sempre l’omofobia in Medio Oriente come qualcosa che è esclusivamente il frutto dell’islam, ma non è così”.
Nella sua esperienza con la band Mashrou’Leila, l’Islam non è sempre stato garanzia di quale sarebbe stata l’accoglienza che il pubblico avrebbe loro dedicato. “Avevamo una data in una città libanese chiamata Zahlé”, racconta, “a maggioranza cristiana. E loro hanno tentato di cancellare il concerto perché’ agli omosessuali non dovrebbe essere permesso di suonare in un territorio cristiano, un’esperienza che vorrei capire come si situa nella narrativa occidentale che l’omofobia sia esclusivamente una espressione islamica”.
La questione del possibile rapporto fra Islam e relazioni omosessuali è al centro degli studi del professor Scott Siraj al-Haqq Kugle, il quale ha scritto sull’argomento molti libri allo scopo precipuo di risalire alle fonti religiose originali, per dedurre quale sia realmente la natura del problema.
Generalizzando, si può dire che gli hadith siano l’equivalente islamico dei Vangeli – resoconti degli insegnamenti e del pensiero del profeta Maometto – e che siano il nucleo centrale della morale islamica. Kugle afferma che il problema è che molti degli hadith utilizzati per giustificare la punizione degli atti omosessuali, non sono in realtà assolutamente affidabili.
“E’ molto probabile che questi hadith siano stati composti dopo la morte del profeta”, spiega Kugle, “e che siano poi stati a lui attribuiti per dar loro maggiore autorevolezza”. Sostiene che la raccolta di Hadith più autorevole – ovvero quelli che si possono considerare con maggiore probabilità autentici – non includono alcuna affermazione in cui il profeta condannerebbe gli atti omosessuali.
Un po’ come nelle parabole di Gesù, gli hadith spesso sono connessi a specifici eventi della vita di Maometto. Kugle identifica nel periodo abbaside l’epoca in cui la maggior parte dei falsi hadith sarebbero stati composti, molto probabilmente in reazione a una classe dirigente eccessivamente dedita agli eccessi.
La crudele realtà, come spesso accade in questi casi, è che la vita delle persone gay ad essere schiacciata in un concentratoci forze – erronea interpretazione dell’Islam, ciniche manovre politiche, strascichi di domini coloniali, la profonda paura che una nazione appena nata e dall’identità fragile, ha di qualsiasi minaccia che possa attentare alla sua pretesa purezza.
Mentre in Egitto il gito di vite sui gay colpisce ancor più duramente, viene alla memoria il verso finale della canzone di Mashrou’Leila Tayf (Fantasma), ripetuta quasi all’infinito come un’eco lontana. “Alza la tua voce cantando / le canzoni sono ancora permesse.”
La reazione contro Mashrou’Leila, Hamed Sinno e i loro fan dimostra ancora una volta quanto potenti – addirittura minacciose – certe canzoni possano essere (ndr nel mondo arabo).
Titolo originale: From Arab spring to Arab winter