L’omofobia nelle nostre chiese. Riflessioni di un gay cristiano
Riflessioni di Jean Vilbas già pubblicate in Recherches unitariennes n° 16 del maggio 2005, liberamente tradotte da Dino
Mi chiamo Jean. Non sono un aderente al movimento unitario. All’inizio ho conosciuto questo movimento come uno dei componenti della Riforma radicale a cui faccio appello; in seguito l’ho (ri)scoperto durante i miei studi di teologia attraverso le posizioni aperte delle Chiese unitarie anglosassoni nei confronti delle persone omosessuali.Mi trovo in difficoltà nel definirmi dal punto di vista teologico: il termine cristiano mi è ampiamente sufficiente, credo.
La mia fede è incentrata con certezza sulla persona di Gesù di Nazareth, figlio di Dio, ma riconosco una certa apertura alle concezioni non-trinitarie del legame che unisce Gesù al suo Dio e Padre; così pure, dato che mi sembra fondamentale riconoscere la morte e la resurrezione di Gesù come suprema vittoria dell’amore, la sua vita e i suoi insegnamenti si collocano al centro delle mie convinzioni.
Se occorre mettere qualche aggettivo, aggiungerei volentieri “evangelico” – in riferimento al Vangelo, la Buona Novella dell’amore incondizionato di Dio manifestato nella persona di Gesù, ma anche in riferimento ad una spiritualità radicata nella frequentazione delle Scritture e la conversione personale e una concezione molto comunitaria della chiesa – ed anche liberale – in riferimento ad una lettura non letterale delle Scritture, una spiritualità molto intrisa di umanesimo e il rifiuto del livellamento della diversità umana in uno stretto comunitarismo.
Di famiglia cattolica, ho scoperto il Vangelo entrando in contatto con la testimonianza storica degli anabattisti e all’interno di una comunità battista ed ho vissuto a lungo la mia fede in una parrocchia della Chiesa Riformata di Francia.
Oggi non frequento più alcuna Chiesa locale, essendo coinvolto in una rete di Chiese inclusive – cioè che in nome del Vangelo si oppongono a qualsiasi esclusione, in particolare quella delle persone omosessuali e transgenders.
Il fatto di essere omosessuale non è certo il nucleo centrale della mia identità; è comunque una componente determinante della mia personalità che io rifiuto di nascondere, senza per questo esibirla; essa dà un’impronte a molti aspetti della mia vita, alle mie scelte politiche per esempio. Non penso di aver fatto altra scelta che quella di aver accettato la mia omosessualità.
L’uomo che condivide la mia vita non appartiene esclusivamente alla mia “vita privata” ma la nostra coppia ha anche una visibilità sociale nelle nostre accoglienti famiglie di origine e tra i nostri amici; l’abbiamo concretizzata con un PACS nell’attesa che il matrimonio sia reso possibile nel nostro paese a qualsiasi coppia che lo desideri; la questione di accompagnare questo PACS con una benedizione alla nostra unione riguarda solo noi.
Finchè esistono discriminazioni, finchè vengono fatte affermazioni omofobe, finchè degli uomini e delle donne possono essere minacciati per via del loro orientamento sessuale o della loro identità, non mi sembra di essere troppo attivista denunciando, correggendo, educando, aggiungendo le mie forze a quelle delle associazioni che già esistono; non ci vedo un comunitarismo di cattivo gusto, ma una maniera concreta, alla mia portata, di “cercare il Regno e la sua giustizia” in modo favorevole ai diritti fondamentali della persona.
Il rendere nota la mia omosessualità nella Chiesa non è stata cosa facile; il lungo silenzio e la rigida disciplina che mi sono imposto erano loro stesse condizionate dall’omofobia che permea le comunità cristiane. Qui vorrei condividere solo due esperienze, lasciando giudicare a voi dov’è che sta la vera omofobia.
La prima è abbastanza violenta: facevo predicazione piuttosto regolarmente in una comunità di tradizione evangelica; i responsabili mi hanno chiesto di non farlo più, e hanno organizzato una discussione della Chiesa sulla questione dello statuto delle persone e delle coppie omosessuali nella comunità; sono potuto intervenire nel corso di questa discussione insieme ad un altro amico gay cristiano per presentare un punto di vista che mette d’accordo la fede in Gesù Cristo e l’omosessualità.
Questa comunità non ha deliberato nulla, ma quando ho cominciato a frequentarla regolarmente con il mio compagno, siamo stati oggetto di violente reazioni dopo alcuni mesi di tranquillità durante i quali credevamo de essere stati accolti.
La seconda esperienza potrebbe chiamarsi anche “effetti collaterali”. Nella parrocchia riformata – liberale!!! – di cui facevo parte, ho scelto, per coerenza, di fare coming-out quando mi è stato proposto di entrare a far parte del consiglio; il presidente del consiglio mi ha subito chiesto di “non provocare”.
In occasione di un conflitto con il pastore della parrocchia, questo presidente del consiglio ha citato, tra gli “errori” rimproverati al pastore da parte di una maggioranza silenziosa, la sua eccessiva apertura verso le persone omosessuali; di colpo mi sono sentito estraneo alla vita di questa parrocchia alla quale mi ero dedicato in modo completo.
Non mi è stata mai posta nessuna domanda benchè mi fossero venute alle orecchie critiche sottaciute, finchè la vicepresidente del consiglio mi ha detto che si poteva “fare a meno dei miei servizi”. Ho quindi rinunciato a tutti i miei impegni.
Il documento così laboriosamente elaborato dal Comitato permanente luterano-riformato è finito nella stessa contraddizione tra una teologia aperta – “accoglienza incondizionata in nome della grazia”, non è cosa da poco! – e la chisura nella realtà pratica del poter esercitare il ministero o del riconoscimento delle coppie in nome della prudenza, e allora ho scelto di abbandonare questa Chiesa troppo prudente!
La Chiesa riformata quest’anno si è nuovamente vantata di non aggiungere la sua voce a quella dei dignitari religiosi di Lione! Ma che ha detto in concreto, se non che non aveva nulla da dire? Quali possono essere le attese di un credente omosessuale a fronte di una comunità cristiana? Affronterò qui qualche traccia senza cercare per forza di assolutizzare.
Prima di tutto una giustizia rigorosa nel modo in cui vengono trattati i suoi membri! E’ lontano il tempo in cui la comunità ecclesiale era basata su cellule familiari strettamente simili; tutte le comunità cristiane annoverano attualmente delle nuove famiglie o delle nuove coppie: le persone divorziate, omosessuali o conviventi stanno a fianco delle famiglie più tradizionali e dei celibi!
Si deve dunque continuare a discriminare con una passione degna di un entomologo o offrire promesse ed esigenze di Vangelo a questa umana diversità? Non sarebbe sufficiente riconoscere con Paolo che l’accoglienza di Cristo è il solo criterio necessario e sufficiente di appartenenza alla Chiesa: “Accoglietevi gli uni gli altri come Cristo ha accolto voi”?
Siccome molti sono d’accordo con questa idea di accoglienza, è necessario precisare ancora che essa implica una uguaglianza pratica nel riconoscere i ministeri delle persone omosessuali e nel riconoscere le coppie dello stesso sesso! Poche Chiese accettano oggi che la loro accoglienza integri anche queste conseguenze pratiche.
Ancora meno, e questa è una ulteriore necessità di coerenza, accettano di farlo in modo franco e dichiarato, entrando a far parte di un movimento inclusivo che a livello mondiale non conta che qualche migliaio di comunità cristiane, tra tutte le denominazioni! Senza voler fare del proselitismo, molti uomini e donne di orientamento omosessuale cercano luoghi in cui la loro vita spirituale possa svolgersi serenamente.
Questo operare sul campo pratico non può aver luogo senza un lavoro di riflessione e senza l’elaborazione di un discorso di inclusione che faccia recuperare secoli di esclusione! I cantieri teologici, biblici, etici, sociologici, sono numerosi ma non possono venir aperti correttamente senza il confronto sul campo con le persone direttamente interessate! Altrimenti si corre lo stesso rischio della grande Chiesa cristiana, nella quale la questione dell’aborto non è mai stata esaminata che da uomini di norma celibi.
Oserò anche formulare la domanda che la questione dell’omofobia sia presa in carico energicamente dalle Chiese! Essa invece non compare che in modo marginale nella miriade di problemi ecologici e geopolitici che trattano le grandi assembleee ecumeniche; d’altra parte l’omofobia rimane una grande fonte di alienazione per un importante numero di cristiani omosessuali costretti al silenzio o al totale rifiuto del Vangelo. Poche Chiese hanno avuto il coraggio di confessare questa forma di paura diventata odio!
Se tutto questo vi sembra molto “comunitarista” tanto per riprendere un termine che va per la maggiore, in realtà state dicendo che non si tratta di nient’altro che della rivendicazione della libertà di servire Dio con piena coscienza all’interno di una umanità diversa, nella quale nessuno è obbligato a rivendicare l’indifferenza o a tacere la propria diversità per non dover subire discriminazioni.
Se potessi esprimere un desiderio riguardo alla comunità unitaria francese è che essa aggiunga la sua voce a quella delle comunità-sorelle dei paesi anglosassoni per dichiararsi aperta ad ogni persona. La sua tradizione teologica di apertura, il suo rifiuto del dogmatismo, la sua valorizzazione dell’umano rappresentano a mio parere altrettante possibilità di arrivare rapidamente a questa conclusione.
Jean Vilbas abita a Lille. Pubblica una raccolta liturgica, Briciole della tavola, in 4 numeri all’anno, con la collaborazione di cristiani di diverse confessioni e di diverse sensibilità teologiche. Questa raccolta è distribuita ad oltre trecento lettori in numerosi paesi. Viene posto l’accento sull’amore incondizionato di Dio e sulla non discriminazione delle persone.
Il movimento si batte per l’accoglienza dei cristiani LGBT all’interno delle nostre comunità e alla loro possibilità di accedere a ruoli ecclesiali di responsabilità. La raccolta liturgica costituisce un mezzo di legame tra i gruppi e le singole persone che partecipano alla riunione annuale del “Carrefour de chrétiens inclusifs”.
* Jean VILBAS lavora in una biblioteca ed ha curato una tesi di laurea sulle comunità cristiane inclusive presso la Facoltà di Teologia Protestante di Strasburgo. E’ impegnato nel gruppo Rendez-Vous Chretien a Lille dove risiede con il suo compagno.
Testo originale: L’homophobie dans nos Eglises