L’omosessualità del clero nella chiesa cattolica. Un tema rimosso
Articolo tratto da Il Regno–attualità n.18, 1993, p.566
Di omosessualità del clero nella chiesa cattolica si comincia a parlare solo da pochi anni, complici alcuni scandali e numerose rivelazioni giornalistiche ad effetto. Così pian piano si cerca di far uscire dal silenzio questo tema quanto mai attuale. Ne parliamo ripubblicando alcune testimonianze sulla vita dei presbiteri omosessuali, cercando di darne un’immagine a tutto tondo e rinunciando ad ogni ulteriore commento.
«Lo shock della scoperta della mia omosessualità.., con tutto l’ideale che mi facevo del prete, più vicino a una condizione angelica che a un essere umano»: la frase interrotta di un prete che racconta la drammaticità della scoperta.
Talora è una pratica giovanile: «In seminario ho scoperto che vi erano ragazzi carini, gentili, molto belli. Mi sono innamorato di un giovane che aveva 18 anni. Lui ne ha parlato col suo direttore spirituale e questo ne ha fallo un dramma. Non ci siamo più parlati… Ho scoperto allora che i ragazzi erano molto interessanti, che si poteva amare un giovane».
L’omosessualità del prete comincia ad essere conosciuta al di fuori dei sussurri e delle pubblicazioni a effetto. Dopo il caso dei pedofili USA e di alcuni episodi in Canada, il tema esce dal silenzio cui una pratica antica l’aveva relegato. Il tutto propiziato dalle rivendicazioni degli omosessuali e da una nuova emergenza dei temi personali nel presbitero.
Il sociologo e prete J. Potel ha rielaborato 40 ore di registrazione con 25 preti e religiosi omosessuali francesi, cercando di darne un’immagine a tutto tondo e rinunciando volutamente a un immediato giudizio morale: Prètres séculiers, religieux et homosexualitès, pp. 92, (maggio 1992). Ne riprendiamo alcune testimonianze secondo i temi della pratica di vita del presbitero omosessuale, delle giustificazioni spirituali e dei rapporti intraecclesiali.
Stili di vita omosessuale
«Ho vissuto delle avventure più o meno distanziate che sono durate da sei mesi a un anno, con tipi diversi che non mi piacevano più di tanto, tipi molto differenti, dei poveracci; spesso non si poteva proseguire.
L‘ultimo è durato un anno circa. Era un ragazzo molto interessante, ma avevo l’impressione di essere il giochino che si tira fuori dalla vetrina quando se ne ha voglia. Abitava a 80 km di distanza. Mi telefonava quando aveva voglia, ma quando ne avevo voglia io aveva sempre altre cose da fare».
«Un giovane prete si è fatto “spostare” per la sua omosessualità. Lo conoscevo bene. Era troppo visibile: dal colletto romano passava all’abito civile, la mano nella mano con il suo amico. Sono cose da non fare. Il fatto di essere stato spostato non ha risolto nulla. E in un’altra diocesi (fuori della Francia), ma il suo problema resta lo stesso».
Un prete racconta il passaggio dalla sua condizione di vicario all’emarginazione: «Ho lasciato la mia diocesi in maniera catastrofica. Ho dovuto trovarmi un alloggio e un lavoro. Sono passato da un appartamento di dodici stanze in centro città a un alloggio “impossibile’ in un quartiere periferico col 90% di immigrati. I miei problemi sono esplosi. Sono diventato alcolizzato. Vado all’ospedale per le cure di disintossicazione ed eccomi senza lavoro…».
«Ho vissuto tre volte con un amico. La prima volta per quattro anni con un prete che era parroco. Ero innamorato cotto, ma non lui e credo si sia servito di me. Era venuto ad abitare da me. Tutto è caduto per causa di sua madre. Gli ha detto “o lui o me".
Ha scelto sua madre. Poi altri quattro anni con un vedovo che aveva amato molto sua moglie. Vivevo in casa sua. E diventato di una gelosia insopportabile. Mi ha messo alla porta persuaso che lo ingannassi. Mi sono poi inscritto a un’agenzia matrimoniale specializzata e ho incontrato un ingegnere. Siamo stati assieme otto anni».
Una spiritualita?
La pratica della confessione e dei sacramenti si modifica. «La mia condizione omosessuale mi aiuta. Faccio l’esperienza di fede senza sentirmi condannato da Dio. Certo egli mi invita alla conversione. Ma non mi condanna. Posso dirlo alla gente nella predicazione, nella direzione spirituale, nella confessione: “Alzati e cammina”, niente ti condanna. Non condannarti da solo».
«Sono stupito del numero di persone che viene a confidarsi: ne ho visto piangere di tutte le classi sociali, di tutte le età, di tulle le povertà e con tutte le ricchezze. E molto pesante perché porto grandi segreti di molta gente. Lo devo, credo, alla mia omosessualità che mi dona capacità di ascolto e il senso della’ povertà».
«L’eucaristia è stata sempre la sola cosa che mi ha salva- guardato spiritualmente, sacerdotalmente e umanamente. Celebrare l’eucaristia o parteciparvi è l’ultimo bastione che non posso toccare. Per me, la mia identità è l’eucaristia. Il suo posto privilegiato è plasmatore del mio essere. Per me è fondamentale».
«Quello che ho vissuto mi ha permesso di approfondire tutta la pazienza di Dio, la sua misericordia e la sua tenerezza. Tutti questi aspetti del Signore che si leggono nel Vangelo, ma che fino a quando non si sono sperimentati, li si conosce solo per predicarli».
I rapporti con la chiesa
Alcuni degli intervistati sono ai margini della vita ecclesiale, altri ne occupano ancora ruoli riconosciuti. «Le nuove generazioni esercitano il ministero sia dentro che fuori le strutture. Un ministero più fondato sul Vangelo che su una legge della chiesa che impone delle cose».
«Ho visto alcuni preti della diocesi nei luoghi dove “si rimorchia”. Sono sicuro che essi sono da soli a sbrogliarsela fin che possono». Qualche volta si riesce a parlare della propria condizione al vescovo o a qualche responsabile diocesano. Più difficilmente con i confratelli preti.
«Con un giovane prete omosessuale abbiamo parlato nella nostra vita sacerdotale, della nostra vita da preti. Gli ho parlato molto e lui mi ha detto cose che probabilmente non ha mai detto ad altri preti. E difficile entrare in comunicazione fra preti. Abbiamo fatto molte cose assieme, abbiamo fatto “il lavoro”, ma fra uomini si ha paura».
«Non ho voglia di lasciare la chiesa. Trovo però che non abbia fatto tutto il suo dovere e che manchi crudelmente di misericordia, di comprensione e di intelligenza. Ma vi è un’esigenza di fedeltà nei miei confronti e nei confronti degli impegni che ho preso. Vivo questo come frattura, ma non credo che sceglierei di andarmene se incontrassi l’uomo della mia vita».
Un dramma che solo pochi ritengono di potere superare. «Personalmente non ho incontrato omosessuali che abbiano superato la loro condizione».
«Si ha il diritto di essere salvati, di vivere da “figli della luce” nella nostra situazione, con le nostre croci. Tanto più che non sono croci che abbiamo volutamente scelto, ma che abbiamo scoperto sulle nostre spalle, dicendoci: “Da dove viene tutto questo? Cosa ho tatto al buon Dio per meritare ciò? Che cosa significa?”.
Altra reazione è un’affermazione di fede: “Malgrado la mia crocifissione perpetua, nascosta agli occhi di tutti, continuo a credere all’appello di Cristo”».