L’omosessualità, il corpo e il cristianesimo
Intervento introduttivo di Marta Ghezzi all’incontro-dibattito su “Se Cristianesimo e Omoaffettività comunicano” (Pavia, 3 giugno 2023)
Sono felice di continuare il percorso del Circolo Teodolinda nell’ambito del programma culturale della Socrem, affrontando un altro tema sensibile, complesso, che richiede ascolto, studio, approfondimento e dialogo tra diversi punti di vista (filosofico, teologico, politico). Dopo aver affrontato il tema dell’eutanasia oggi affrontiamo il tema dell’omosessualità, dei diversi orientamenti sessuali e affettivi e del diritto all’affettività, in qualsiasi forma. Chi siamo noi per giudicare ?
Lo facciamo con due testimoni che hanno fatto coming out e che appartengono da cristiani a chiese diverse, quella cattolica e quella metodista, Emanuele Macca e Emanuele Crociani con 2 studiosi, Don Gian Luca Carrega della Diocesi di Torino e la pastora valdese Daniela Di Carlo .
Le quattro persone che ci parleranno oggi sono titolate a farlo sia per esperienza che per studio teologico. Io, come persona eterosessuale per le radici culturali (che non esclude di essere potenzialmente omosessuale) mi permetto di fare alcune riflessioni preliminari : ho preso spunto da alcune teologhe cattoliche e protestanti femministe, da scrittrici e giornaliste.
L’omosessualità è una condizione naturale che esiste da sempre nel mondo animale e umano, nella vita comune di tutti noi. E’ presente sia tra i prelati che tra i fedeli, sia tra i
potenti che tra gli ultimi. Quando si rigetta la propria omosessualità interna si tratta di rapporti di potere.
Non riguarda solo la scelta erotica di molti cittadini ma una parte importante, insostituibile, di tutte le relazioni erotiche e affettive. Non si può essere eterosessuali in modo appagante senza una componente omosessuale. Desiderare il proprio sesso è condizione necessaria per conoscere il suo valore erotico, per capire cosa desidera l’altro sesso in noi. Ciò vale anche per gli omosessuali che non sono compiuti senza una componente eterosessuale.
Del resto l’amicizia tra persone dello stesso sesso può essere considerata un’omosessualità sublimata. Quando si erigono muri e ostracismi tra eterosessuali e omosessuali sia all’interno che
all’esterno di noi, ci sono guai per tutti. I muri hanno a che fare con le congiunture socio economiche, il contesto storico culturale, la configurazione del potere politico, l’incidenza del potere secolare delle religioni.
Più grande è la disuguaglianza, più sono immiserite le relazioni di scambio, più la cultura si chiude in sistemi dogmatici, più prevale l’organizzazione piramidale e autoritaria della
società, più la repressione si intensifica, anche quando in forma nascosta la si ammette. L’omosessualità può vivere nel buio ma non essere esibita. E questo è ipocrisia allo stato puro..
L’aggressione all’omosessualità nasce dalla paura dell’omosessualità psichica, individuale e collettiva che comporta il desiderio per l’altro simile, familiare ed è una cerniera tra il narcisismo e l’investimento dell’alterità.
Più il narcisismo di morte, il rifiuto dell’alterità è dominante più l’attacco all’omosessualità è un atto dovuto. Per questo è interessante scandagliare il punto di vista religioso, teologico partendo dal presupposto che l’omosessualità non è un peccato e che l’orientamento affettivo e sessuale deve essere esercitato liberamente, senza discriminazioni e repressioni. Non solo perdonato, ma ammesso alla luce del sole.
Come sottolinea la teologa femminista, monaca benedettina, catalana Teresa Forcades, nella visione biblica e cristiana non c’è spazio per il dualismo tra corpo e anima, tra mondo materiale e mondo spirituale. C’è una visione sbagliata antica, segnata dalla paura e dal sospetto nei confronti del corpo seduttore e peccatore (e quindi oggetto di penitenza). Ma anche la visione contemporanea di un corpo ridotto a oggetto di desiderio, discriminato, sfruttato e controllato non è accettabile.
Nel suo libro “Il corpo, gioia di Dio”, Teresa Forcades tratta la materia come spazio d’incontro tra il divino e l’umano. Il cristianesimo non deve disprezzare il corpo ma onorarlo come principio dell’individualità senza cui l’anima non raggiunge la sua pienezza.
Michela Murgia nel suo libro “God save the queer“ affronta questa antinomia e mostra come la pratica della soglia, la queerness sia una pratica cristologica. Occorre riconoscere che il confine non ci circonda ma ci attraversa, uno spazio fecondo, un potenziale vitale e non una contraddizione.