Come l’omosessualità, che la Chiesa rimuove, influenza l’etica sessuale cristiana
Riflessioni di William D. Lindsey* pubblicate sul suo blog Bilgrimage (USA) il 9 ottobre 2012, libera traduzione di Silvia Lanzi
Un mese fa ho detto ai miei lettori di aver iniziato e letto il libro di Elizabeth Johnson “Quest for the Living God” (Bloomsbury Publishing USA, 2011) e di averlo trovato molto arricchente. Voglio presentarvi ora un libro che i vescovi cattolici hanno aspramente criticato: “Just Love: A Framework for Christian Sexual Ethics” (NY, Continuum, 2006) di suor Margaret Farley.
L’ho iniziato proprio ora e lo trovo dirompente – proprio come quello di Elizabeth Johnson. Sono ancora all’inizio ma mi piace come suor Farley, nella prefazione, da una solida base ai suoi argomenti. Dichiara infatti: “Sono colpita dall’urgenza di alcuni temi di etica sessuale, che al giorno d’oggi, insieme ad altre questione etiche, richiedono la nostra attenzione. Ciò che accade nell’ambito della sessualità umana non è isolato da ciò che succede nelle altre sfere: familiare, religiosa, sociale, politica o economica. Generalmente le possibilità di crescita umana sono favorite, o ostacolate, da come viviamo la nostra sessualità. Ognuno di noi è consapevole non solo della pienezza e della gioia che la sessualità ci può far raggiungere, ma anche delle ferite, della violenza e dello stigma che comportamenti e relazioni sbagliate possono portare al nostro sé più intimo. Forse mai prima d’ora si è sentito il bisogno di parole di guarigione e speranza, specialmente dalle Chiese” (pag. XI).
Questa breve introduzione unisce in cinque punti molte affermazioni dense di significato. Ecco alcune delle mie riflessioni in proposito:
1. È molto importante che la teologia cristiana consideri – come argomenta la Farley – gli odierni argomenti di etica sessuale “non malvolentieri rispetto agli altri argomenti etici che oggi richiedono la nostra attenzione, ma unitamente ad essi”. C’è l’idea tra i fedeli, che non risparmia nemmeno i teologi più preparati di tutte le Chiese, che si possa isolarli dal resto della teologia – insieme alla richiesta di giustizia che sollecitano; che si possano, cioè, isolare dal dibattito su emarginazione, oppressione e ingiustizia che emerge quando parliamo dell’abuso che le persone ricche fanno dei poveri, o di quello che le nazioni sviluppate fanno alle nazioni che non lo sono.
2. Credo che questo modo di pensare consideri la sessualità come un caso a parte: si crede che non ci sia una “vera” oppressione per l’orientamento sessuale e così è più comodo ignorarla. È più comodo pensare che i racconti di prima mano di questa oppressione siano esagerati e manipolati, o che le vittime non siano degne di considerazione.
3. Questo è il modo di porsi che ho incontrato spesso nei circoli teologici cattolici, ed è sconcertante. Dopo molte porte sbattute in faccia, quando io e Steve cercavamo lavoro nelle istituzioni cattoliche (avevamo una laurea in teologia), ci sentimmo dire ripetutamente che non dovevamo ritenere sbagliati o ingiusti quei rifiuti, perché i gay non erano né oppressi, né trattati ingiustamente – specialmente nelle istituzioni cattoliche.
4. Uno di quelli che ci ha detto così era un nostro ex-professore con cui avevamo parlato di noi senza problemi e che aveva ricambiato la nostra confidenza dicendoci che anche lui era gay, per questo aveva lasciato il sacerdozio e si era sposato. Infatti ci ha ripetuto spesso di essere “apertamente” gay e che il suo orientamento sessuale era di dominio pubblico, per questo lo racconto qui (pur omettendo la sua identità).
5. Il nostro professore ci ha detto di non aver mai subito oppressione nella Chiesa cattolica perché gay, e che quando era prete ha trovato molto semplice vivere apertamente la propria omosessualità – insieme a molti altri sacerdoti gay che, nella Chiesa, prosperano. Ci ha anche detto che la vera oppressione è quella verso i paesi in via di sviluppo, verso le persone di colore, i poveri, la classe operaia e le donne, aggiungendo che le persone omosessuali, specie i gay, sono privilegiati, perché nei loro confronti non c’è traccia di oppressione o ingiustizia.
6. Eppure, nonostante le sue parole, ha deciso di sposarsi – con una ex-suora – e di vivere in modo da non essere soggetto all’oppressione, che i gay affrontano negli ambienti teologici della Chiesa cattolica. Allora era consapevole di tutti i privilegi che la Chiesa riserva a che è (o si comporta da) eterosessuale e dell’ingiustizia che negli stessi ambienti io, Steve e molti altri omosessuali, affrontiamo a causa del nostro orientamento sessuale! Il mio professore si è poi rifiutato più volte di aiutarci a cercare lavoro nelle istituzioni cattoliche – e ciò ha portato alla rottura tra me e un uomo che ammiravo molto – sebbene Steve, che è molto più conciliante e paziente di me, mantenga con lui legami molto stretti.
7. Credo che questa sia la normale tendenza dei circoli teologici cattolici. Questo è quello che sottolineo quando critico le mancanze deI lavoro della teologa Elizabeth Johnson, che quando discute dell’esperienza di Dio nelle comunità emarginate di tutto il mondo, non parla quasi mai degli omosessuali e della comunità gay.
8. Come ho notato spesso in questo blog, mentre partecipavo alla riunione annuale della Catholic Theological Society of America, ho ascoltato nel discorso di presentazione, nei vari workshop e nei diversi documenti, sciorinare una lunga litania di oppressi: le nazioni in via di sviluppo, i poveri, le donne, le persone di colore, i latinoamericani e via di seguito. Non ho MAI sentito parlare di persone LGBT. Era semplicemente come se non esistessimo.
9. Come se fossimo insignificanti. Come se NESSUNO, in quella stanza piena di preti, suore e teolgi laici fossero omosessuali. Semplicemente, non eravamo lì.
10. Dopo aver sentito le sue idee su marginalizzazione e oppressione proprio alla riunione della Catholic Theological Society of America (CTSA), ho scritto ad un teologo della liberazione latinoamericano chiedendogli perché non si parlasse mai dell’oppressione dei gay nella cultura cattolica. Mi ha dato una risposta piena di rabbia: “Come avevo osato fare a lui quella domanda – LUI che, essendo latino, sapeva cosa era la VERA oppressione?”
11. Ma, come nota giustamente nel suo libro Margaret Farley, “ciò che accade nell’ambito sessuale umano non è isolato da ciò che succede nelle altre sfere – familiare, religiosa, sociale, politica, o economica“. TUTTE le strutture oppressive sono strettamente legate, come dimostra l’ormai classica raccolta di saggi di Beverly Wildung Harrison “Making the Connections” (Boston: Beacon Press, 1985). La Harrison afferema che esistono legami innegabili tra i vari “-ismi”, razzismo, militarismo, omofobia e misoginia compresi. Ciò nasce da una sorta di visione globale in cui gli uomini – rigorosamente etero – ritengono di avere l’indiscusso diritto di dettare la legge e di punire chi non vi si conforma.
12. In concreto quelli che alle imminenti votazioni americane voteranno per il candidato Repubblicano e per il suo programma economico sono “praticamente certi” di appoggiare anche la sua agenda contro i gay, il suo tentativo di far rimanere le donne al proprio posto, il suo machismo, il suo militarismo e così via. Tutto ciò è interconnesso e non si può capirne una parte, isolandola dal contesto.
13. Bisogna dire che la finzione normativa mantenuta dalla teologia cattolica (a dirla tutta da tutta l’intellighenzia e da molte delle principali correnti cristiane) – che fa si che quando, nelle “alte sfere” si discute di emarginazione e ingiustizia si può tranquillamente soprassedere ai problemi di gay e lesbiche – viola un’ovvia consapevolezza a cui tutti possono arrivare pensandoci su un po’: che la sessualità umana non è qualcosa di diverso dal resto, ma che quel che pensiamo e facciamo nella vita influenza la nostra visione della famiglia, la religione, la società, la politica, e l’economia, e che, proprio come nota intelligentemente la Farley, “homo economicus” = “homo politicus” = “homo sexualis”.
14. Ne risulta che il nostro modo di porci rispetto alla sessualità umana “può favorire o ostacolare ‘le nostre possibilità di sviluppo'” – e che l’esperienza della sessualità e di come le persone si definiscono in base ad essa e, come nota la Farley, “può portare gioia e pienezza o ferite, violenze e stigma” –
15. Il che significa che le Chiese sono “necessariamente implicate” in ciò che riguarda l’amore: dal momento che proprio qui si gioca la possibilità dello sviluppo umano (o, al contrario di una vita frustrata e incompleta. Il centro della missione cristiana è ciò che la tradizione ebraica chiama “tikkun olam” (“la guarigione del mondo”) – ovvero l’aiutare le persone a crescere in pienezza. Quando le persone sono ferite, stigmatizzate, violate per la loro sessualità, la Chiesa ha l’obbligo immediato aiutarle a guarire, proprio in natura della sua prima e fondamentale missione, che è quella di seguire le orme di Gesù, venuto lui stesso a sanare e a fare del bene.
Al contrario, quando la Chiesa, e i suoi vescovi, non curano le ferite inflitte alla sessualità umana dall’ingiustizia, ma è essa stessa a ferire, allora tradisce la sua missione fondamentale. Ad esempio, l’arcivescovo di Newark, in New Jersey che cerca di allontanare dall’altare i fedeli che chiedono giustizia per i gay; o quello di San Francisco che schiaffeggia metaforicamente il suo omologo della comunione anglicana, colpevole di volere accogliere nella sua comunità anche le persone LGBT; o ancora quello di Minneapolis-St. Paul che ha detto ad una madre che sarebbe andata all’inferno a causa dell’amore per suo figlio gay.
Cosa penso veramente come gay cristiano? In diversi periodi della mia vita ho provato a non essere l’uno o l’altro, ma non posso più negare: né di provare un forte senso di relazione con Dio, né i sentimenti che provo per le persone del mio stesso sesso.
Mi piacerebbe poter dire che questo significa che mi trovo a mio agio con entrambe le mie identità e a volte lo sono veramente. In realtà, ho timore ogni volta che conosco qualche credente. Mi sembra rischioso fare coming-out. Disapproverà? Dirà che andrò all’inferno? Avrà paura che avrò una cattiva influenza sui suoi figli? Veramente, molti dei cristiani che conosco non sono così, e sono orgoglioso di frequentare una parrocchia molto accogliente dove mi sento al sicuro. Ma quando al catechismo ti insegnano che per gli altri sei una delusione, o peggio, un pericolo, è difficile avere il coraggio di essere orgogliosi di sé. Nel profondo del mio cuore credo che Dio mi ami per come sono – ma ho ancora paura degli altri cristiani. E spesso è difficile ammettere di essere cristiano con i miei amici gay. Tutto quello che vedono da fuori, infatti, è una Chiesa cattolica che per loro è completamente insignificante e che è sempre pronta a giudicare gli altri, mentre è lenta in modo criminale, quando si tratta di giudicare la sua storia di abusi e discriminazioni. “Non siamo tutti così,” mi vien voglia di dirgli – e qualche volta lo faccio. Ma non li biasimo perché la pensano così. Non mi vergogno di credere in Dio, ma vorrei essere più orgoglioso quando dico di essere cristiano.
* William D. Lindsey è un teologo che scrive sull’interazione della fede con la cultura. Scrive nel suo blog Bilgrimage che “Io e il mio compagno Steve (anche lui un teologo) siamo nel nostro 46° anno di vita insieme. Anche se la Chiesa cattolica ci ha scartato, perché ci ostiniamo a essere sinceri sulla nostra vita di coppia, continuiamo a celebrare la grazia straordinaria che troviamo nel nostro cammino insieme e nell’amore per l’altro. Viviamo nella speranza; rimaniamo in pellegrinaggio …. Una nota sul mio background formativo: ho un dottorato di ricerca e un MA in teologia presso University College di San Michele alla Scuola di Teologia di Toronto ed un MA in inglese presso la Tulane University ed una laurea presso l’università dei gesuiti de la Loyola (New Orleans, USA)”.
Testo originale: Margaret Farley’s Just Love: Theological Reflections