L’ospite inatteso. Non si è mai preparati quando si vive il coming out di un familiare
Riflessioni di Antonio e Beatrice sulla discussione tenutasi nel gruppo 2 dell’incontro-Laboratorio online su “Coming… che??? L’omosessualità in famiglia” (28 febbraio 2021)
Scoprirsi omosessuali; scoprire che un figlio, una figlia, un fratello o sorella, un genitore è omosessuale: è un’esperienza che, all’inizio, può angosciare e turbare. Non siamo mai abbastanza preparati e non c’è un manuale di istruzioni. Avvertiamo tanta paura e un grande senso di solitudine.
La persona coinvolta non riesce a sciogliere il nodo della propria condizione. Il suo dolore nasce dal conflitto fra le varie dimensioni che compongono la sua vita, esteriore e interiore. Un conflitto alimentato dall’ostilità verso un mondo che non si conosce, o che si immagina solo attraverso i fantasmi del pregiudizio. Come figli o genitori, sperimentiamo una spaccatura interiore. È l’omofobia introiettata, che può spingerci anche a odiare noi stessi.
La voce dei genitori
Dai racconti dei genitori che raccontano la loro esperienza arrivano spesso parole che, in modo quasi unanime, evocano paura e tormento: come “affacciarsi su un baratro”, soprattutto se la famiglia vive un autentico cammino di fede e di impegno nella Chiesa.
Davvero un “ospite inatteso”. E ora come fare? In che direzione andare?
Quando un membro della famiglia si svela come persona LGBT, l’intera famiglia entra in una esperienza di radicale, talvolta dolorosa revisione delle dinamiche affettive e dei propri stili di comunicazione; “occorre piangere e studiare”, per trasformarla in un’opportunità di conversione. Spesso i genitori devono fare i conti con i sensi di colpa: dove abbiamo sbagliato? Perché non ce ne siamo accorti? Perché nostro figli* aveva paura di dircelo? È una cosa che si può “aggiustare”?
No, non c’è nulla da aggiustare. E nemmeno bisogna cercare un “colpevole”. Dopo il coming out di un figlio o di una figlia, più che la riflessione sul passato, conta la visione del futuro: cioè come aiutarlo/aiutarla a formarsi un’identità integrata, forte, serena.
Il coming out è un gesto di grande coraggio e, in famiglia ha bisogno dell’arte dell’attesa e della pazienza. Attendere i tempi del figlio, attendere i tempi dei genitori. Richiede un cammino graduale, in cui “rilanciare” messaggi di rinforzo e di affetto e in cui ricordare insieme (anche insieme ai fratelli e alle sorelle) le tappe del cammino già fatto. I genitori di figli LGBT non smettono di essere genitori: loro possono alimentare un clima di fiducia e continuare a trasmettere i valori -umani e cristiani- in cui credono. Quando però i genitori dichiarano di essere aperti al confronto e al dialogo, occorre che poi lo sappiamo fare veramente: altrimenti i figli saranno confusi, diventeranno diffidenti e si chiuderanno ancora di più in se stessi.
I genitori possono sentirsi soli ed abbandonati, anche dalla Chiesa. Ecco perché è così importante cercare il contatto con chi vive la stessa esperienza: la testimonianza apre alla liberazione. Il confronto con altri genitori può aiutare a lasciare emergere e mettere a fuoco, piano piano, le diverse paure (mio figlio è malato? Avrà una vita buona? Dovrà temere l’ostilità o la discriminazione? Che cosa penseranno parenti, amici, colleghi? Dobbiamo rinunciare alla nostra vita di fede, nella Chiesa? Non diventeremo nonni…).
La voce dei figli
Il coming out è stato davvero un’esperienza di liberazione, soprattutto se è avvenuto in un momento di armonia personale e relazionale. È un atto di coraggio e di libertà; appartiene ai diritti della persona, che può comunicare se stessa alle altre persone significative della sua vita: e ciò produce serenità, agevola la crescita e rende autentiche le relazioni. È anche una stratega di difesa da chi pensa di usare il mio “segreto” come arma contro di me. Ma questo rischio scompare se gradualmente divento visibile alla mia rete sociale. Davvero il coming out accresce il benessere, permette di fare progetti di vita migliori perché liberi e guidati dalle vere risorse della persona.
La voce della Chiesa
Le esperienze delle persone LGBT e delle loro famiglie può insegnare molto alla Chiesa. Può diventare un’occasione forte di ascolto e testimonianza del Vangelo. I pastori hanno bisogno di imparare, dal popolo di Dio, uno stile di accoglienza che nasce dall’esperienza della misericordia. Ed entrambe, misericordia ed accoglienza, sono offerte a tutti.
La sensibilità e la fede del popolo di Dio sono sempre più avanti delle norme tradizionali, difese dalla Chiesa gerarchica. Ma, come insegna l’episodio di Pietro e Cornelio negli Atti degli Apostoli, il movimento dello Spirito è dall’esclusione all’inclusione, dalla chiusura all’apertura, dalla diffidenza all’incontro.
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