Lottando per una “via d’uscita”. Per una storia dell’omosessualità nella Gran Bretagna moderna
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Dialogo di Katya Parente con lo storico Sebastian Buckle
Si può essere attivisti senza sapere per cosa si combatte? Per essere incisivi nelle proprie battaglie è necessario sapere cosa si vuole raggiungere, ma è anche indispensabile sapere cosa ci ha portati al punto in cui siamo. “Historia magistra vitae”, diceva Cicerone.
Ed è proprio per questo motivo che il nostro ospite di oggi è Sebastian Buckle, una laurea in storia con specializzazione in “LGBT Studies” all’Università di Southampton e autore di un interessantissimo libro (purtroppo ancora inedito in Italia) intitolato “The Way Out: A History of Homosexuality in Modern Britain” (“La via d’uscita: storia dell’omosessualità nella Gran Bretagna moderna”.
Chi di voi abbia la mia età o qualche anno in più, si ricorderà di come la cultura pop britannica abbia formato la propria adolescenza. Chi non si ricorda dei mitici Duran Duran, dei Queen e di George Michael, tanto per citare i primi tre che mi vengono in mente?
Fatta questa premessa, ritorniamo a Sebastian.
Quali sono le tappe che hanno portato la Gran Bretagna dalla punibilità dell’omosessualità alla legalizzazione del matrimonio omosessuale?
L’iter che dalla decriminalizzazione dell’omosessualità nel 1967 ha portato al matrimonio egualitario nel 2014 non è stato lineare. Per molti aspetti il 1967 rese le cose ancora peggiori per gli uomini gay, visto l’aumento delle accuse per determinati crimini usati per colpire gli omosessuali. Ma diede anche a certi gruppi l’occasione di emergere e combattere per i propri diritti, e di costruire, così facendo, una propria cultura gay, che è entrata a far parte della cultura tout court.
Però, nonostante i cambiamenti della vita sociale degli uomini gay, è stato solo negli anni ’90 che la legge ha iniziato a cambiare, prima con l’abbassamento dell’età del consenso nel 1994, e poi con il governo New Labour di Tony Blair, con un gran numero di norme volte a tutelare gli omosessuali.
Ma, mentre i laburisti hanno introdotto la civil partnership, in realtà è stato con il governo conservatore di David Cameron che siamo finalmente arrivati al matrimonio egualitario. Per certi versi è stato un tentativo di mostrare al mondo che i conservatori erano cambiati. Durante gli anni ’90 e i 2000 avevano votato contro la maggior parte delle riforme laburiste; infatti, nel 1987 avevano presieduto alla ratifica della famigerata Section 28, che bandiva la “promozione” dell’omosessualità e ha portato all’autocensura delle istituzioni scolastiche nel parlare di omosessualità ai propri alunni. Significativamente, il voto in parlamento sul matrimonio egualitario è passato con l’appoggio dei laburisti e degli altri partiti d’opposizione, con la maggior parte dei tory che votavano ancora contro.
Le circostanze che hanno portato a quest’agenda di riforme legislative erano complesse e strettamente interconnesse, ma sostanzialmente riguardavano i gay e la loro lotta per i diritti civili, un governo laburista solidale e un’aumentata visibilità delle persone gay nella società britannica.
Perché il 1957 è una data così importante per la storia gay inglese?
Anche se è semplice guardare ad un momento particolare della storia e dire “ecco quando le cose sono cambiate”, di solito la realtà è più complicata. Il 1957 vide la pubblicazione del Wolfenden Report che, tra le altre cose, raccomandava la decriminalizzazione dell’omosessualità maschile nel Regno Unito. Nei dieci anni successivi, alcuni attivisti combatterono per cambiare la legge, cosa che successe nel 1967 con il passaggio del Sexual Offences Act (sebbene fosse applicato solo in Inghilterra e Galles, e avesse altre limitazioni).
Ma il Wolfenden Report non spuntò dal nulla. Era il risultato di un rinnovato interesse della stampa per l’omosessualità, di una graduale volontà di capire l’argomento, e di una maggiore visibilità degli uomini gay, a sua volta il prodotto dell’evoluzione dell’idea di cosa significhi definirsi a partire dalla propria sessualità.
Si può quindi leggere gli eventi del 1957 alla luce dei sessuologi del XIX secolo che, per primi, iniziarono a definire l’omosessualità. Così facendo, suscitarono l’interesse degli uomini che erano attratti sessualmente da altri uomini. Quando questi uomini (e qualche donna) iniziarono a definirsi sulla base della propria sessualità, l’omosessualità smise di essere semplicemente un atto criminale e diventò un aspetto dell’identità non modificabile. Una volta che questo gruppo iniziò ad esistere, fu solo questione di tempo prima che si organizzasse per chiedere maggiori diritti legali.
Il bellissimo film “Pride” racconta la collaborazione tra gay e lesbiche da una parte, e minatori dall’altra durante l’era Thatcher. Qual era l’atmosfera inglese di quegli anni sul fronte omosessuale?
Negli anni ’80 la Gran Bretagna era omofoba. I sondaggi sugli atteggiamenti sociali mostrano un picco di omofobia nel 1987, l’anno in cui fu introdotta la Section 28. La crisi di HIV/AIDS stava uccidendo migliaia di persone, e c’erano spinte verso una nuova criminalizzazione dell’omosessualità.
Ma spesso è nelle difficoltà che le persone trovano la loro forza. La cultura gay sopravvisse, i gruppi si organizzarono per colmare il divario lasciato dal governo e aiutare le persone colpite dall’HIV, e si formarono gruppi di pressione e beneficenza per i diritti degli omosessuali che spingevano per un cambiamento legislativo.
Con l’avvento di Channel 4 i gay acquistarono maggiore rilievo in televisione, e la pop music fece sempre più spazio agli artisti gender non-conforming e apertamente gay. Tutto cospirava per far diventare gli anni ’80 un complesso mix di buono e cattivo, sia per chi li viveva, che per chi ne raccolse l’eredità.
Rimembranze musicali. Proprio nel 1984 i Bronski Beat pubblicano l’album “The Age of Consent”. Qual è il ruolo della cultura pop nello sdoganamento dell’omosessualità?
La cultura gay, in tutte le sue forme, è una delle ragioni-chiave per cui è avvenuta la riforma legislativa. Dopo il coming out dei primi uomini e delle prime donne, per la generazione successiva è diventato sempre più semplice farlo. Questo ha creato uno spazio in cui la cultura gay si è potuta sviluppare.
Dal Gay Liberation Front degli anni ’70, attraverso i bar e i club degli anni ’80 e ’90, l’accresciuta visibilità di gay e lesbiche nella quotidianità rese ancora più chiara la necessità di una riforma legislativa. Durante gli anni ’80, band come i Bronski Beat, che intitolarono il loro album di debutto “The age of consent” per sottolineare la discriminazione legale subita dagli omosessuali, usarono la loro popolarità nella lotta per i diritti dei gay.
Altri cantanti e band come Culture Club, Tom Robinson, Elton John, David Bowie, e Frankie goes to Hollywood diventarono sempre più famosi con canzoni e performance che scalzarono i confini tradizionali di sesso e genere. La musica era un luogo relativamente sicuro per loro e il loro tipo di spettacolo, rafforzando così la presenza delle persone gay nella vita inglese.
Nel panorama inglese quali sono, per sommi capi, gli esponenti della cultura LGBT più incisivi del primo ventennio del XXI secolo?
La grande cosa del XXI secolo è l’aumento costante di rappresentanti (e rappresentazioni) LGBT+ nella cultura inglese. I sondaggi mostrano che il numero di spettacoli televisivi che presentano personaggi LGBT+ non va ancora di pari passo con le persone LGBT+ nella società, comunque è chiaro che le cose stanno migliorando.
Nel Regno Unito Russell T Davies è stato determinante nel presentare le vite dei gay in televisione, con Queer as Folk, arrivato sugli schermi del nostro Paese [il Regno Unito, n.d.t.] proprio alla fine del XX secolo, portabandiera di una nuova era nella rappresentazione degli omosessuali. Ci sono altri innumerevoli esempi, ma per me la maggiore visibilità delle star trans di tutto il mondo è il più importante e il più vitale. Questo è il Ru Paul’s Drag Race, naturalmente.
Ringraziamo Sebastian per la sua disponibilità e per avermi (averci?) riportato alla mente quella perla del mondo delle serie TV, arcobaleno e non solo, che è stata la citata Queer as Folk. Permetteteci poi di fare un appunto, non a Sebastian naturalmente, ma all’editoria italiana. C’è un mondo là fuori, un mondo di bellissimi libri e di potenziale cultura (e non mi riferisco solo all’ambito LGBT), che al lettore medio nostrano (ma esiste davvero questa mitica creatura?) è precluso a causa dell’indisponibilità di volumi tradotti. Ci auguriamo che questa lacuna venga colmata quanto prima.
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