Sono Lucie, 22 anni e sieropositiva. Ecco come l’ho scoperto
Testimonianza di Lucie pubblicata sul sito konbini.com (Francia), prima parte, libera traduzione di Marco Galvagno
Lucie ha 22 anni, due anni fa, ha saputo di essere sieropositiva. Mentre uno studio sottolinea tra i giovani che usano sempre meno i profilattici e il loro smarrimento, lei ci tiene a raccontare la sua testimonianza di sieropositiva.
Il 28 giugno del 2012 mi sono seduta sulla poltrona dello studio del ginecologo e mi ha detto che i risultati delle mie analisi del sangue, fatte dall’anestesista prima di un’operazione, dicevano che ero sieropositiva. In quel momento ho pensato:”la mia vita è cambiata, poi mi sono chiesta perché proprio io”.
Ricordo di aver osservato attentamente il quadro appeso sul muro a destra, credo che ci fosse dipinta una macchina. Mi ricordo bene, perché una lacrima mi offuscava la vista. Una lacrima, dovuta allo shock, l’unica lacrima che scendeva sulla mia guancia.
Il medico mi ha spiegato che avrebbe preso un appuntamento al reparto di malattie infettive e che bisognava che rifacessi un prelievo nel pomeriggio, in modo da avere maggiori informazioni sulla mia condizione. Mi ha chiesto se avevo domande, gli ho chiesto se stavo bene e a che punto era il virus. Stavo bene, mi ha detto che non dovevo preoccuparmi, mi avrebbe dato la data dell’appuntamento nel pomeriggio. Dovevo sottopormi a un’operazione che non c’entrava con il virus, ed ero sotto la sua supervisione.
Ecco come ho scoperto di essere sieropositiva
Nel primo appuntamento all’ospedale mi hanno fatto un sacco di domande per scoprire l’origine della mia contaminazione. “È stata in Africa recentemente? È andata nel Regno Unito tra tale data e tale data? Ha praticato sesso orale? Ha consumato droghe facendosi iniezioni?”. Avevo avuto dei rapporti sessuali non protetti qualche mese prima. Avevo una vaga idea delle cause della mia contaminazione, anche se non le capivo davvero.
Dopo tutto quel ragazzo era sano, non aveva avuto molte ragazze, quanto al secondo indiziato non ero andata fino in fondo con lui. Bastava un rapporto orale? Il virus è presente nel liquido seminale m’informò l’infermiera. Ero informata sul tema come tutti, ma questa cosa l’ignoravo.
Prima di cominciare la triterapia il virus rimase una cosa astratta. Mi sentivo bene, ero in buona salute, ero un po’depressa, ma nel mio stato era più che normale, ma non ero malata. Tuttavia qualche settimana mi sono venuti degli attacchi di panico. Mi ricordo perfettamente che ero in fila davanti alla cassa del centro commerciale e mi sono sentita soffocare. Avevo mal di pancia, avevo vampate di calore. Volevo uscire fuori.
Mentre tornavo a casa mi sentivo svenire, ma dovevo arrivare a casa. Un secondo dopo aver chiuso la porta sono scoppiata a piangere, le lacrime mi soffocavano e avevo voglia di vomitare. La crisi è durata trenta lunghissimi minuti. Non mi era mai capitato prima. Durante l’estate del 2012 ho avuto diversi attacchi. A volte avevo l’impressione assurda che un insetto o un piccolo alieno andasse a zonzo per le mie vene, avevo voglia di strapparmi via la pelle, era una sensazione orribile.
Tre pastiglie da prendere ogni 24 ore
A metà agosto del 2012 ho iniziato la triterapia: tre pillole da prendere ogni 24 ore e tutto è diventato reale improvvisamente. Farò una triterapia tutti i giorni, per tutta la vita. Non ho avuto molti effetti secondari, ma la mia pupilla è gialla. Il bianco dei miei occhi potrebbe ingiallire per un po’, ma è un effetto temporaneo.
Dopo due anni e mezzo le cose non sono ancora cambiate. Diverse persone hanno pensato che io abbia una malattia al fegato. A volte mi chiedono perché io abbia gli occhi così. Rispondo loro che sono gli effetti secondari delle medicine che prendo. Nessuno mi ha mai chiesto perché le prendo.
La maggior parte delle volte non lo notano, dipende dalla distanza. Una delle cose che mi hanno spiegato è che non c’è un solo HIV. Da alcuni mesi il medico che mi segue vorrebbe cambiarmi terapia, un po’ per quel effetto sugli occhi, ma anche perché con il trascorrere del tempo la “terapia” potrebbe danneggiarmi i reni. Secondo gli ultimi esami medici i miei organi funzionano bene, ma le medicine sono molto aggressive.
Per il fatto che sono giovane il medico preferirebbe cambiare molecola e propormene una nuova. Ci vuole tempo, dato che il mio virus è già mutato, è resistente a una certa molecola e questo mi impedisce di prendere alcuni retrovirali. È una delle prime cose che mi hanno spiegato: non c’è un solo virus, senza entrare troppo nei dettagli il virus può sviluppare resistenze agli antiretrovirali e mutare.
Contrariamente a ciò che pensavo non posso andare a letto con un altro sieropositivo senza protezione, perché potrei essere contaminata dal suo virus, che può aver subito mutazioni diverse dal mio e questo complicherebbe assai le cose. Ho messo la sveglia sul telefonino per 5 o 6 mesi alle 19.30, per prendere le medicine.
Alla fine non è poi così diverso dalle ragazze che prendono la pillola. All’inizio avevo voglia di sbattere il telefonino giù dalla finestra quando iniziava a suonare, però dopo un po’ mi sono resa conto che l’anticipavo di un minuto o due e ho tolto la sveglia. Solo una volta mi sono dimenticata di prendere le medicine.
Varie reazioni
Dopo qualche giorno che l’ho saputo, e prima di iniziare la terapia, l’ho detto ai miei amici più cari. Mia madre l’ha saputo qualche giorno dopo, quando è venuta a prendermi alla stazione in macchina. Glielo ho detto quando stavamo attraversando un incrocio sul ponte. Mi ha chiesto se stavo bene, come l’avevo preso e che cosa sarebbe successo. Glielo ho spiegato. Quando siamo arrivate a casa, non ne abbiamo più parlato. La sua reazione neutra senza giudizi, ne allarmismi l’ho capita dopo.
Durante le vacanze di natale l’ho detto a due delle mie sorelle. Eravamo in camera a casa della nonna, di sera. Mia madre era nella stanza. Ho tirato fuori le tre scatole di medicine. “Cosa sono?”, ha chiesto la mia sorella più grande. Ho esitato un po’ e ho detto: “è una triterapia contro il virus dell’Hiv”. Ho guardato mia madre. Lei è uscita dalla stanza chiudendo la porta. “Cosa?”, ho spiegato cosa fosse e si sono messe a piangere, ed io con loro.
Mi hanno detto che ero stata una cretina e che avrei dovuto fare attenzione, che sapevo che c’erano dei rischi. Ho risposto: “Lo So”. Mia madre è tornata e ha detto che faceva parte dei rischi della vita. Ci sono giovani che muoiono in incidenti stradali, all’uscita delle discoteche o che restano invalidi tutta la vita, altri che hanno il cancro o si suicidano. Ci sono tanti bambini colpiti da malattie e per questo non compiranno mai venti anni. Ci possono capitare un sacco di guai nei più svariati momenti e luoghi nella vita. “Shit happens”, come dicono gli inglesi.
Io ero sieropositiva a venti anni, ma potevo farci qualcosa. Mio padre non lo sa e nemmeno mia sorella maggiore. Non so quando, né come potrò dirglielo. Mio padre si èimbattuto nelle pillole, un giorno che bighellonava in camera mia. Si notano le pastiglie attraverso la plastica. Non so se le abbia notate, perché non faceva attenzione o se non ha voluto sapere cosa fossero, ma non mi ha chiesto nulla.
Un nuovo rapporto con il sesso
L’annuncio più difficile l’ho fatto nel novembre 2012. Uscivo con un ragazzo da qualche settimana, ero single, non era il principe azzurro, ma ci piacevamo. Stavamo guardando un film a casa mia quella sera e alla fine ha cominciato a baciarmi. “Aspetta ho qualcosa da dirti prima che andiamo oltre”. Non volevano uscirmi le parole di bocca. Il silenzio è durato qualche minuto, credo. “Dimmi!”.
Gli ho detto “Sono sieropositiva” e sono scoppiata a piangere. Lui mi ha abbracciata. Credo d’aver pianto per cinque minuti prima che iniziassimo a parlare, poi gli ho spiegato la mia situazione. Mi ha chiesto qualche giorno per pensarci.
Questo nuovo rapporto con gli uomini e con il sesso fa parte delle prime domande che mi sono posta, delle mie prime angosce. Praticamente sto ancora con quel ragazzo, ma a volte penso che se diventassi single cosa succederebbe con altri ragazzi? Nel mio rapporto di coppia, all’inizio, il virus è stato il terzo partner.
Ne parlavamo liberamente, sia lui che io, ma nonostante questo lui, a volte, non dormiva per giorni. Ha avuto paura a fare il test, certe volte non aveva voglia di fare l’amore perché il preservativo lo disgustava. Il preservativo bisogna vederlo come una provocazione, quando qualcuno ne tira fuori uno sappiate che succederà qualcosa di bello.
Non sono da compatire
Nell’ambiente medico ho avuto la fortuna di non essere rifiutata, né giudicata. Quello che vi dirò sembrerà ingenuo, so che è un’analisi superficiale che si basa solo sulla mia esperienza soggettiva, ma ho sempre avuto l’impressione che le persone a cui lo dico provino sempre un senso di pietà, mi vedono come una vittima.
Una povera sfortunata e penso che è perché sono una ragazza bianca di venti anni. È paradossale, ma a volte preferirei che le persone pensassero che è colpa mia. Non ho avuto sfortuna. Non ho avuto la iella. Ho avuto dei rapporti non protetti con dei ragazzi che affermavano di essere sani e mi sono fidata sulla parola.
Ho corso il rischio di espormi all’Hiv e ad altre malattie sessualmente trasmissibili, ciò che è paradossale e che non lascerò mai a nessuno dire che è colpa mia, le mie sorelle, mia madre ed io stessa possiamo dirlo, gli altri no. Ma nessun altro ha il diritto di giudicarmi, né come responsabile, ne come vittima.
Sono sieropositiva punto e basta. Ho avuto un’esperienza spiacevole in farmacia. Non c’era la mia solita farmacista, la sostituiva una giovane stagista poco più grande di me. Le ho dato la ricetta medica e mi ha detto: “L’ha presa bene? Le cure funzionano? Non è semplice vero? Soprattutto quando si è giovani credo che non ci si renda conto”.
Nel dirlo aveva quel tono di voce che si usa con i bambini: compassione e melenso. Mi ricordo che uscendo dalla farmacia ho chiamato il mio ragazzo per protestare contro questa intrusione indebita nella mia vita privata. Lo so che derivava da un sentimento positivo, ma la compassione mi dà fastidio, perché non sono da compatire.
Il virus questo sconosciuto
Da allora in poi il mio sguardo su quello che riguarda il virus è cambiato. Mi tengo al corrente su ciò che succede in questo campo. Ho notato ad esempio che molti giovani tra i 12 e i 30 anni non conoscono affatto le differenze tra sieropositività, HIV e Aids o sanno queste cose in maniera confusa. Piccolo promemoria senza entrare nei dettagli scientifici l’HIV è il virus dell’immunodeficienza umana, ed attacca il sistema immunitario colonizzando i linfociti. Una persona portatrice del virus è sieropositiva all’HIV.
Quando il virus ha attaccato troppo le difese di un essere umano si parla di AIDS, ovvero di sindrome d’immunodeficienza acquisita. L’organismo non può difendersi contro gli attacchi dei microbi, dei batteri e altri virus e le cosiddette malattie correlate che possono svilupparsi e portare la persona alla morte.
Gli anti-retrovirali mettono la museruola al virus, gli impediscono di distruggere tutto il sistema immunitario. Quando una persona arriva alla fase dell’Aids esistono ancora cure per aiutare il corpo a difendersi. L’istituto Pasteur lo spiega meglio di me. Io sono sieropositiva, ma non ho, ne avrò mai l’AIDS. La mia terapia impedisce al virus di fare ciò che dovrebbe, ma non può farlo scomparire dal mio organismo. […]
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Testo originale: Lettre ouverte d’une séropositive à une jeunesse inconsciente