Sono Lucie, 22 anni e sieropositiva. Quando l’ignoranza diventa incoscienza
Testimonianza di Lucie* pubblicata sul sito konbini.com (Francia), seconda parte, libera traduzione di Marco Galvagno
[…] Il virus dell’HIV questo sconosciuto. Attraverso i social network e i miei amici ho cercato di fare prevenzione intorno a me, ma sono disperata nel vedere che non funziona. Mi dicevo che se i miei amici conoscevano una sieropositiva forse avrebbero fatto più attenzione. Poi una sera una mia amica mi ha detto che aveva rimorchiato un ragazzo, così le ho chiesto se avevano avuto un rapporto protetto con lui. “No, no avevamo il preservativo”, mi ha risposto.
Invece un mio carissimo amico gay ha ancora regolarmente rapporti non protetti, pur sapendo di me fin dall’inizio. Un giorno che parlavamo per la strada mi ha detto che di lì a poco avrebbe dovuto fare il test, perché aveva corso dei rischi; “Del resto se lo prendo, non è poi così grave, tu vivi bene. Però se si può evitare è meglio anche perché la vita è più complicata”. Lo so che diceva così per scherzo, ma sentire quelle parole mi ha fatto venire il mal di pancia. Il fatto di convivere bene con il virus nuoce al mio desiderio di proteggere gli altri e di fare della prevenzione. Questa si che è una prospettiva deprimente.
I giovani sono superficiali rispetto al virus. Una superficialità che avevo anche io. Facevo parte anche io delle persone che ritenevano che non gli sarebbe mai successo. Dopo tutto avevo venti anni ed ero eterosessuale, il virus non mi riguardava. Ma non esistono ragazze di venti anni sieropositive. Se un ragazzo mi dice che è sano e che ha avuto solo due o tre ragazze perché non dovevo fidarmi?
Dopo aver saputo di essere sieropositiva non volevo più fidarmi di nessuno. Ho deciso di diffidare di tutti. appunto per questo motivo che vi chiedo di fare il test regolarmente e di conoscere la vostra situazione, perché quando dite sono sano, ed avete fatto il test parecchi anni prima, ma nel frattempo avete avuto diversi partner forse mentite, senza saperlo, ma mentite. E il virus che è nelle vostre vene se ne infischia di ciò che dite, perché lo sa che non siete sano.
Fare il test è angosciante. Avete paura del risultato? È normale. Ma è ancora più angosciante dire a voi stessi che contaminerete potenzialmente qualcuno, perché non siete sicuri di essere sieronegativi, con ogni nuovo partner sessuale il preservativo va usato . Come dice Aides nella sua ultima campagna “Niente preservativo, niente sesso, almeno finché voi stessi e il vostro partner non abbiate fatto il test”.
L’egoismo di correre dei rischi
A volte mi sento colpevole verso me stessa, innanzitutto, per aver preferito il piacere di qualche istante alla mia salute a lungo termine, ma anche verso le migliaia di militanti che si sono battuti negli ultimi trenta anni, e che continuano a farlo, perché il virus dell’AIDS si stabilizzi e finisca. Quando ho visto il bellissimo documentario “How to survive a plague” di David France (2012) mi sono sentita male. I militanti dell’associazione Act Up, negli Usa, hanno speso tutte le loro energie, le loro scarse energie, perché i sieropositivi avessero accesso alle cure, perché non ci siano più discriminazioni e le generazioni successive non avessero più il virus.
La mia incoscienza, la mia mancanza di prevenzione e alla fine la mia malattia sia come un insulto alla loro battaglia, una mancanza di rispetto postumo. Vorrei scusarmi con gli attivisti attuali e quelli passati, perché non combattendo al mio livello l’epidemia ho sbeffeggiato anni di lotte e di sofferenze; come se tutto ciò che hanno fatto e ancora fanno, non fosse servito a niente. Mi sento anche colpevole e in debito verso lo Stato, perché le mie cure e le mie medicine vengono rimborsate interamente dal servizio sanitario nazionale. Non ho mai dovuto preoccuparmi di comprarle, quando dico che lo Stato mi tiene in vita, esagero solo un po’. La mia terapia costa mille euro al mese, lo Stato paga per un mio errore di gioventù, mentre ora attraverso campagne di prevenzione il servizio sanitario nazionale cerca di fare in modo che altri non arrivino a questo punto.
Quando ho corso il rischio di espormi al virus HIV è come se avessi detto un “chi se ne frega” a tutti i militanti e ai sieropositivi della terra, vivi e morti, e al mio paese che cerca bene o male di sensibilizzare i giovani sui rischi dell’epidemia. È un atteggiamento molto egoista e schifoso. Potrei scrivere su questo tema ancora pagine e pagine, ma ho detto le cose essenziali. Spero che la mia testimonianza, che avrei già dovuto condividere da tempo serva a qualcosa. È solo un’esperienza soggettiva dell’HIV tra milioni di persone sulla Terra, Sono certa che molti sieropositivi avrebbero da ridire su quello che ho scritto.
Non lo viviamo tutti nella stessa maniera, da tanto tempo volevo parlarne apertamente su Twitter, ad esempio, ma avevo paura. Mi autoinfliggevo una discriminazione, mentre penso che essere sieropositivi non sia una cosa grave, né una di cui vergognarsi. Non so cosa mi abbia spinto a decidermi. Penso che ci sia un’urgenza e che bisogna che i giovani della mia età prendano uno schiaffo morale. Questo è il mio schiaffo.
* Lucie ha 22 anni, due anni fa, ha saputo di essere sieropositiva. Mentre uno studio sottolinea tra i giovani che usano sempre meno i profilattici e il loro smarrimento, lei ci tiene a raccontare la sua testimonianza di sieropositiva.
Testo originale: Lettre ouverte d’une séropositive à une jeunesse inconsciente