“L’uomo e il suo compagno”. Il rifiuto dell’in-differenza: una nuova ermeneutica della sodomia
Riflessioni sull’Ebraico e il pensiero biblico di Giuseppe Messina*, sesta parte
La lettura ebraico talmudica ridà la vita, il movimento e il tempo nel cuore stesso delle parole. Per questo, sovente, è una lettura che contesta e mette a soqquadro la tradizione, in ogni caso gli stereotipi. Si tratta di una lettura, di una interpretazione che sorprende; essa conduce fuori dal cammino già tracciato. Infatti ci è lecito dubitare delle traduzioni correnti come il passo del Levitico 18,22 che viene tradotto così: “Non avrai con un uomo relazioni carnali come si hanno con una donna: è cosa abominevole.”
Prima obiezione: il testo in ebraico non scrive uomo (ish, adam, enosh), ma maschio di uomini o animali (zakar) mentre specifica donna (isha). Perché? Avrebbe potuto usare uomo. Forse il divieto di giacere è con il maschio di una bestia? Il riferimento è non avere relazioni con animali? Oppure il riferimento è al maschio essere umano che come maschio (zakar) è portatore della memoria biologica (zekor o zeker) e quindi la relazione sessuale con un altro maschio ne interromperebbe la memoria padre-figlio? Se fosse più plausibile la seconda ipotesi, perché mai allora il testo avrebbe bisogno di ribadire il divieto di “accoppiarsi con alcuna bestia”?
Seconda obiezione: il testo in ebraico non scrive in questo passo relazioni carnali, ma adopera il verbo giacere (shakav) mentre se il testo vuole fare riferimento all’unione carnale usa (ribi o riba). Infatti prosegue al 18,23 così: “Non t’accoppierai con alcuna bestia per contaminarti con essa; e la donna non si prostituirà ad una bestia: è una mostruosità”.
E’ lecito pensare che i due versetti sono l’uno il completamento dell’altro. Inoltre, il testo quando utilizza il termine “uomo” (ish) ricorre con una certa frequenza l’espressione “l’uomo e il suo compagno” forse pel il reciproco l’un l’altro, ovvero, essere fatti l’uno per l’altro. Perché il suo compagno e non la sua compagna?
E poi è lecito un altro dubbio: perché le mitzvot (precetti) “Non avere rapporti sessuali con tua madre… Non avere rapporti sessuali omosessuali con tuo padre”. Perché usare un pleonasmo per il secondo precetto? Non sarebbe più semplice affermare che ci si trova di fronte a due rapporti incestuosi? Il sospetto, forse, è che ci sia sempre una volontà surrettizia del traduttore di far emergere la natura omosessuale come un peccato.
* Giuseppe Messina è docente ordinario di filosofia e storia presso il Liceo Scientifico N. Copernico di Bologna e dal 12 marzo 2010 è presidente-fondatore dell’Associazione Amicizia Ebraico Cristiana (AEC) di Bologna, già membro dell’AEC della Romagna della Romagna. Scrive articoli sul Bollettino dell’associazione AEC di Firenze. Dal 2006 studia Ebraico biblico presso la Fraternità di Charles Foucauld di Ravenna con la maestra Maria Angela Baroncelli Molducci. Ha insegnato Ebraico biblico e Pensiero ebraico presso il Collegio San Luigi dei Padri Barnabiti di Bologna e presso il Centro Poggeschi dei Padri Gesuiti di Bologna.