Lʼ«identità di genere» non nega la biologia, le dà altra dignità
Lettera inviata al direttore pubblicata dal giornale Avvenire del 30 giugno 2020, pag.2
Scriviamo in merito a un dibattito che in queste settimane ha animato sia le pagine di “Avvenire” che ampi settori della società civile: quello su una legge che intervenga su violenza e discriminazioni determinate dal genere e dall’identità sessuale.
Ci riferiamo, in particolare, alla lettera con cui alcune esponenti del femminismo italiano sono intervenute sul suo giornale e che lei, dando loro risposta, ha pubblicato mercoledì 24 giugno 2020 assieme a quella del direttore dell’Unar.
Non intendiamo, con queste nostre righe, ergerci noi stesse a rappresentanti dei femminismi (che sono plurali e variegati quanto i soggetti che li animano), né delle donne come categoria universale e astratta dai contesti di vita, e, per esempio, di religione, razza, politica, fisicità e condizioni socio-economiche.
Ci sembra importante osservare, però, che la persona possiede una complessità e una storia che comprendono ma superano la vita genitale del corpo. Proprio per questo motivo, siamo convinte che parlare di “identità di genere” non significhi negare la nostra biologia, ma dotarla di una dignità che si compone attraverso tutti gli aspetti della vita personale.
La libertà di esprimere questi aspetti non è capriccio o negazione del diritto di altre persone: è anzi funzionale alla realizzazione dei singoli, delle singole e delle comunità.
La nostra cultura femminista ci ha fornito gli strumenti per sviscerare (e denunciare) come pregiudizi e norme sociali fondate su una concezione gerarchica e opprimente del maschile e del femminile ledano la vita e la libertà delle donne.
Ci pare che quegli stessi pregiudizi e schemi di pensiero siano alla base della negazione del diritto all’esistenza e alla sicurezza delle persone che si riconoscono come gay, lesbiche, trans e in altre identità di genere e orientamenti sessuali.
La violenza e l’ingiustizia di cui queste persone e questi gruppi fanno esperienza, e le sofferenze che ne derivano, richiedono un intervento urgente e mirato. La legge attualmente in discussione, a nostro parere, non esaurisce questo bisogno, ma si muove in una direzione positiva, che riconosce la complessità della vita umana e sociale e il modo in cui diverse forme di disuguaglianza e ingiusti- zia si sostengono a vicenda.
Ed è proprio da una prospettiva di aiuto concreto alla vita delle persone, e di costruzione di uno spazio collettivo di libertà e di sviluppo, che ci pare il dibattito sulla legge debba ripartire.
Lilia Giugni (GenPol, University of Cambridge)
Paola Guazzo (Lesbicx)
Alasia Nuti (University of York)
Laura Onofri (Presidente SNOQ? Torino)
Francesca R. Recchia Luciani (Università di Bari)
Maria Grazia Sangalli (avvocata)
Ilaria Todde (European Lesbian*Conference)
Ottavia Voza (Università di Salerno)