Ma gli omosessuali se non dovessero vivere in castità diventano peccatori?
Email inviataci da Giovanni Di G., risponde Gianni Geraci del Guado di Milano
Sono un cristiano cattolico, di professione medico neurologo. Sono eterosessuale, ma proprio in quanto credente mi sono sempre accostato con simpatia e apertura al mondo LGBT.
Il problema, dal punto di vista della fede cristiana, è che l’atto sessuale, secondo il Magistero Tradizionale della Chiesa è sempre visto come in funzione della riproduzione e pertanto le unioni omosessuali sono “disordinate”, per usare il termine del Catechismo della Chiesa Cattolica, in quanto in esse il rapporto sessuale è volto esclusivamente al piacere fisico.
Come conciliate quindi questo punto con la dottrina della Chiesa? Come cristiani, secondo la visione tradizionale, gli omosessuali sono comunque – e ovviamente – nostri fratelli – ma se non dovessero più vivere in castità diventano peccatori. Quindi Voi che dite?
La risposta…
Gentile dottor Giovanni, il fatto è che non è vero che, come scrive lei, nelle unioni omosessuali «il rapporto sessuale è volto esclusivamente al piacere fisico». Le posso assicurare per esperienza diretta che quella che in magistero della chiesa definisce la “finalità unitiva” della sessualità, è presente molte volte anche quando viene esercitata da due persone dello stesso sesso.
Se davvero considera le persone omosessuali dei fratelli eviti di decidere al posto loro le finalità delle cose che fanno.
Mi permetto poi di raccomandarle un piccolo ripasso del catechismo perché da un lato confonde la castità con la continenza e, soprattutto, perché non tiene conto che, perché si possa parlare di “peccato” non basta la presenza atti che tecnicamente vengono indicati come “materia grave di peccato” (gli atti omosessuali), ma ci deve essere anche il deliberato consenso nel compiere questi atti.
E le assicuro che sono pochissimi gli omosessuali che hanno dei rapporti sessuali per trasgredire deliberatamente quelle che sono le indicazioni del Magistero, la maggior parte di noi, quando ha dei rapporti sessuali, lo fa per motivi completamente diversi che sono principalmente legati al fatto che dobbiamo fare i conti con un orientamento “profondamente radicato” (cfr. CCC 2358) che ci spinge a provare emozioni profonde per le persone del nostro stesso sesso.
In questo contesto al valore più volte richiamato dal magistero di evitare degli atti che «in nessun caso possono essere approvati» (cfr. CCC 2357) ci sono in gioco altri valori, come il desiderio di uscire dalla propria solitudine o il desiderio di perseguire il bene di un’altra persona che ci sta particolarmente a cuore. In questa dialettica tra valori che spingono in direzioni diverse il compito del credente è quello di formare la propria coscienza e di prendere poi, illuminato dalla preghiera e dalla grazia sacramentale, quella che ritiene la decisione più giusta per realizzare la volontà di Dio nella propria vita.
Un valido riassunto della dottrina che distingue la materia grave di peccato dal peccato mortale si trova nei paragrafi del Catechismo che vanno dal 1854 al 1864.
Un breve trattato sulla dottrina relativa alla coscienza morale si trova invece nei paragrafi del Catechismo che vanno dal 1776 al 1802.
La saluto cordialmente
Gianni Geraci