Ma Papa Francesco crede ancora nel suo “ma chi sono io per giudicare”?
Articolo di Robert Shine* pubblicato sul sito dell’associazione LGBT cattolica New Ways Ministry (Stati Uniti) il 3 dicembre 2018, liberamente tradotto da Giacomo Tessaro
In un libro appena pubblicato papa Francesco afferma che i gay avviati al sacerdozio sono “qualcosa che mi preoccupa” e che l’omosessualità è diventata “di moda” in alcuni ambienti, tutti commenti che complicano ulteriormente il quadro delle sue dichiarazioni sulle questioni LGBT.
Questi commenti sono tratti dal libro “La Forza della vocazione”, un libro-intervista scritto assieme a padre Fernando Prado. Il Papa parla dei sacerdoti omosessuali nel contesto di una conversazione sulla vocazione, la formazione sacerdotale e la vita religiosa. A una domanda sulle persone con “tendenze omosessuali” nel clero e nella vita consacrata, Francesco risponde: “È qualcosa che mi preoccupa, perché forse a un certo punto non è stato affrontato bene. Sempre sulla linea di quello che stavamo dicendo, ti direi che nella formazione dobbiamo curare molto la maturità umana e affettiva. Dobbiamo discernere con serietà e ascoltare anche la voce dell’esperienza che ha la Chiesa. Quando non si cura il discernimento in tutto questo, i problemi crescono. Come dicevo prima, càpita che forse al momento non siano evidenti, ma si manifestano in seguito. Quella dell’omosessualità è una questione molto seria, che occorre discernere adeguatamente fin dall’inizio con i candidati, se è il caso. Dobbiamo essere esigenti. Nelle nostre società sembra addirittura che l’omosessualità sia di moda e questa mentalità, in qualche modo, influisce anche sulla vita della Chiesa”.
Francesco fa due esempi di sacerdoti e religiosi gay, dicendo che “è una realtà che non possiamo negare”. Nel primo esempio, descrive “un vescovo abbastanza scandalizzato”, il quale ha scoperto diversi sacerdoti gay nella sua diocesi ed è stato costretto a intervenire nel campo della formazione “per formare un altro clero diverso”.
Nel secondo esempio, il Papa parla di un religioso, il quale, “sorpreso […] che bravi giovani studenti e anche alcuni religiosi già professi erano gay”, chiese al Pontefice un consiglio. Secondo il religioso “non è tanto grave; è soltanto un’espressione di affetto”, un atteggiamento che Francesco definisce “un errore”: “Non è soltanto un’espressione di affetto. Nella vita consacrata e in quella sacerdotale non c’è posto per questo tipo di affetti. Per questa ragione, la Chiesa raccomanda che le persone con questa tendenza radicata non siano accettate al ministero né alla vita consacrata. Il ministero o la vita consacrata non sono il loro posto. I sacerdoti, i religiosi e le religiose omosessuali vanno spinti a vivere integralmente il celibato e, soprattutto, a essere perfettamente responsabili, cercando di non creare mai scandalo nelle proprie comunità né nel santo popolo fedele di Dio vivendo una doppia vita. È meglio che lascino il ministero o la vita consacrata piuttosto che vivano una doppia vita”.
Queste dichiarazioni sollevano di nuovo dubbi su cosa il Papa pensi davvero dei sacerdoti gay. Nel 2013 pronunciò la celeberrima frase “Ma chi sono io per giudicare?”, ma nel 2016 ha poi confermato la precedente proibizione di accettare le persone gay nei seminari; lo scorso maggio ha raccomandato ai vescovi italiani di “tenere gli occhi ben aperti” nei seminari e “nel dubbio, meglio che non entrino”. I media hanno giudicato molto negativamente queste dichiarazioni: un sito web si è spinto a dire che il Papa era divenuto “assolutamente omofobo”.
Il pensiero di Francesco sull’argomento, tuttavia, è più complesso di quanto appare. Nel libro-intervista le sue preoccupazioni sembrano essere due: l’integrazione e l’autenticità della persona.
Per quanto riguarda la prima, Francesco è sincero nell’affermare che l’omosessualità “non è stata affrontata bene”; la sua approvazione va a quei sacerdoti che sono ben integrati e che, durante la loro formazione, hanno affrontato la loro sessualità, e fa giustamente notare che, dove questo manca, sorgono i problemi. Gli attivisti LGBT e chi si occupa di formazione sacerdotale e religiosa non dovrebbero avere problemi con queste dichiarazioni.
Per quanto riguarda la seconda, quando Francesco parla di “affetti” nella vita religiosa sembra parlare di attività sessuale, più che di orientamento sessuale: si preoccupa che sacerdoti e religiosi mantengano le loro promesse e i loro voti e non vivano una doppia vita; vuole che i consacrati vivano una vita autentica.
Questa è un’ottima cosa, ma i suoi commenti rivelano delle mancanze nella sua formazione ed educazione, che vanno corrette. Dire che l’omosessualità è “di moda” è bizzarro, come sono bizzarri i due aneddoti che riferisce. Chiaramente ha molto da imparare, e dovrebbe farlo con urgenza, visto che l’omosessualità è davvero “una questione molto seria”, visto che è spesso utilizzata per discriminare. Il nascondiglio in cui molte consacrate e consacrati lesbiche, gay e bisessuali sono costrette a vivere è distruttivo. La cultura della vergogna, rafforzata da queste politiche di esclusione, danneggia l’intero Popolo di Dio. Per prevenire tutto questo e condurre una seria formazione ai ministeri occorre che il Papa si informi meglio sulle questioni del genere e della sessualità per non continuare a fare dichiarazioni contorte.
* Robert Shine è direttore associato di New Ways Ministry, per cui lavora dal 2012, e del blog Bondings 2.0. È laureato in teologia alla Catholic University of America e alla Boston College School of Theology and Ministry.
Testo originale: On Gay Priests, Does Pope Francis Still Believe “Who Am I to Judge?”?