Mads Nissen: “Quella foto di amore gay, la mia sfida per i diritti”
Articolo di Marco Mathieu pubblicato su La Repubblica del 13 febbraio 2015, p.39
Quella foto è il mio modo di esprimermi, in difesa dei diritti dei gay». La rivendicazione di Mads Nissen arriva quasi casualmente, mentre descrive la sua foto. Anzi, la “foto dell’anno” secondo la giuria del World Press Photo — il più importante premio fotografico internazionale — che ieri gli ha anche attribuito il primo posto nella categoria Contemporary issues . Nissen, 35 anni e un figlio, vive a Copenhagen dove lavora per il quotidiano Politiken , è membro dell’agenzia italiana Prospekt, ma soprattutto viaggia per il mondo in cerca di storie da raccontare per immagini. E a Repubblica spiega: «Ho scattato alle due di notte, nella stanza da letto di Jon e Alex, mentre facevano sesso, ma la storia è iniziata molto prima ed è diventata un reportage sull’omofobia in Russia».
Quando iniziò questo lavoro? «Nel giugno del 2013 ero a San Pietroburgo per un workshop con altri fotografi. Andai a seguire il Gay pride e quel giorno decisi di approfondire la vicenda dei diritti dei gay in Russia».
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Perché? «Arrivò un gruppo di omofobi, si avvicinarono al ragazzo con cui stavo parlando e gli chiesero, minacciosi: “Sei frocio?”. Lui, calmo: “Sono omosessuale”. Lo colpirono con violenza, pugni e calci. Picchiavano tutti. Ero pietrificato, non sapevo cosa fare».
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E poi? «Fotografare per me era e resta l’unico modo per reagire, per provare a scoprire come sia possibile che i gay facciano tanta paura. Perché dietro l’omofobia ci sono paura, ignoranza e pregiudizi. E in Russia la discriminazione è quotidiana, così come la violenza contro la comunità Lgbt. Nei mesi successivi sono stato più volte a San Pietroburgo e a Mosca, ho approfondito la conoscenza degli attivisti. Sono giovani, non vogliono più nascondersi, rifiutano i pregiudizi e ne ridono».
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Come i due ragazzi della foto? «Sì. Jon ha 21 anni, è quello a sinistra, Alex 25. Li ho conosciuti una sera della primavera scorsa in un bar di San Pietroburgo: entrambi attivisti, hanno una relazione “complicata” come la definiscono, ma si amano molto».
Li hai fotografati da molto vicino… «Poter arrivare il più vicino possibile ai soggetti è una priorità giornalistica: se non riesco a farlo non sarò in grado di trasmettere quelle emozioni e quell’intensità ai lettori dei giornali che pubblicano le mie foto. Che si tratti della guerra in Libia, dell’Afghanistan oppure di Jon e Alex. Ho parlato a lungo con loro, spiegando che volevo raccontare la loro quotidianità, intimità compresa. Senza imbarazzi né pose. Erano incuriositi e divertiti dalla proposta. E hanno accettato».
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Ma come è nato quello scatto? «Ero a casa loro ormai da qualche ora, quasi non facevano più caso alla mia presenza: li ho ritratti nella stanza da letto in una situazione molto intima. Senza alcun tipo di costruzione. Penso che la forza dello scatto sia che tutti, gay o etero, possono immedesimarsi: racconta semplicemente un momento di intimità tra due persone che si amano ».
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C’è chi già polemizza sull’estetica eccessiva della foto… «Con la fotografia parli agli occhi e di conseguenza al cervello e al cuore delle persone. Volevano forse una foto brutta? E poi: ho seguito il conflitto in Ucraina, ho raccontato Ebola in Africa ma sinceramente penso che oggi la foto di due giovani uomini nudi e innamorati possa risultare più forte, importante e controversa di quelle che ho fatto a chi muore sotto le bombe o per un’epidemia. Chiedete a Putin cosa pensa dello scatto con Jon e Alex, provate a esporre la foto in Uganda, Arabia Saudita o qualsiasi altro luogo del mondo omofobo e poi ditemi…».
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Sei rimasto in contatto con Jon e Alex? «Certo, sono state le prime persone che ho chiamato dopo aver saputo di aver vinto il premio».
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Cos’hanno detto? «Hanno riso, felici: sono ancora innamorati. E ancora una volta mi sono chiesto: come si fa ad aver paura dell’amore? »