Mai rinunciare a battersi contro l’HIV. Ma proteggersi è la sola cosa che vale
Testimonianza di Max raccolta da Marie-Catherine de La Roche tratta da TÊTU+. Guide gratuit d’information sur le VIH. 2010-2011 (Francia), Dicembre 2010, p.14, liberamente tradotta da Giacomo Tessaro
Ha lo sguardo acuto di chi ne ha viste molte. E se “l’ottimista è l’uomo che vi guarda negli occhi, il pessimista colui che vi guarda i piedi”, come vuole il poeta inglese Chesterton, non c’è possibilità di dubbio: Max è un ottimista radicale.
Mentre manovra la sua sedia non molla un istante le vostre pupille, conservando il suo sorriso amorevole.
“Contro il dolore, la fatica, si combatte ogni giorno. Ma non voglio che questa sia la prima cosa che si percepisce di me. Ho un cuore, un corpo, gli stessi desideri di tutti.” Un corpo che tuttavia paga il suo tributo alla malattia. Se durante una decina d’anni se ne è stato tranquillo, ora inchioda per sempre alla sedia a rotelle questo globetrotter che a 25 anni aveva già fatto due volte il giro del mondo.
“Non posso più contare sulle mie gambe, vengono attaccate molto in fretta dal tetano.” Un danno “collaterale” dei trattamenti. Dolori neuropatici, complicazioni neurologiche (sindrome cerebellare), infezione polmonare, coma…i medici avevano persino annunciato a Max che non avrebbe potuto recuperare tutte le sue facoltà intellettuali. “Non poter più parlare, scrivere… Ho seguito una rieducazione intensiva, lavorato senza sosta. Bisogna volere, voler continuare a provare, mai rinunciare a battersi contro la malattia e il proprio corpo.”
Allora, due anni fa, uscito da una radioterapia, Max ha preso un volo per un mese a New York, bastone sotto il braccio e sedia noleggiata all’arrivo. “Una sfida: volevo vedere se potevo ancora viaggiare.”
Una forza di carattere, una capacità di “fare con” che tuttavia hanno dovuto cedere di fronte al dolore, “nozione un po’ “astratta” per la medicina e il cui trattamento è ancora troppo spesso un’opzione! Ero arrivato a prendere da 360 a 400 milligrammi di morfina al giorno, ero uno zombie. Fino a che sono andato in un centro antalgico. Oggi sono a 80 milligrammi al giorno. Un compromesso, con una dose di dolore accettabile, ma che mi permette di essere cosciente e vigilante.”
Nel suo studio parigino Max sta dando l’ultimo tocco ad un romanzo. “Scrivere, investire me stesso nell’associazione Le Piccole Felicità – essere aiutato ed aiutare! – è ciò che mi permette di andare avanti.” E anche se l’uomo ha l’eleganza del pudore, si indovina che essere “Max il positivo” non è così facile. “Sono stato infettato nel 1987, in seguito ad un rapporto non protetto. All’epoca stavo preparando un album di canzoni, ero un modello, avevo appena girato un film con Arielle Dombasle. La mia vita è crollata.
La mia prima reazione è stata di dirmi che stavo per morire, che ero un veleno per gli altri. Non osavo nemmeno più vedere il figlio di mia sorella. Mi sono chiuso in me stesso per quattro anni. Poi ho fatto una psicoterapia, ho ricominciato a vivere, a muovermi. Ho incontrato una persona con cui ho vissuto lunghi anni.
Ma ho conosciuto il periodo in cui sieropositività faceva rima con appestato, ancora oggi molta gente fugge, e ho visto degli amici morire.” Allora dice, senza enfasi, prima che voi possiate varcare il confine: “Anche se i trattamenti hanno fatto enormi progressi, possono sempre sopravvenire complicazioni e cambiare la vostra vita in un secondo, distruggere l’avvenire.
Proteggersi è la sola cosa da fare.”
Testo originale: “Ne jamais renoncer à se battre contre la maladie, et son corps” tratto da TÊTU+ Le guide gratuit d’information sur Le ViH. Edition 2010-2011 (file pdf)