Manuale per lottatori in tempi oscuri. Come sopravvivere alle nostre chiese
Riflessioni di Rosa Salomone del gruppo Varco-Refo di Milano
Per esempio, uno impara a non fidarsi di chi è disposto a lasciarsi massacrare. Certi pugili sono brave persone ma sempre esposti sul lato più debole. Sono preda della curiosità dell’avversario che li svela. Non riescono a celarsi.
La goffaggine ha un fianco sempre scoperto, anche se non è colpa di nessuno che esistano lati così buffi nella vita. E’ una cosa che si nasce e che realmente non si disimpara con i pugni.
Di solito il loro avversario perfetto ama il sangue. E’ un amore quasi senza interesse e del tutto ricambiato. Bisognerebbe scrutare a fondo negli occhi per vedere che finezze può raggiungere chi lotta solo per la crudeltà. Di solito non c’è scampo. I primi le prendono di santa ragione, i secondi quando finisce tutto vanno a ubriacarsi. I lupi hanno cattiverie proporzionate alle pecore disposte ad accettare ogni macello. Poi ci sono quelli lenti. Lenti, dico, a furia di prenderle.
Due, tre volte riescono ad imporsi per esperienza. Il loro dolore si è accumulato sotto la pelle. Sanno che lato esporre al rivale, conoscono il proprio carattere. Qualche volta, e capita quando vincono, è perché intuiscono le debolezze dell’attacco. I timori nella difesa dell’altro.
Ma se vincono non è mai per rischio. Sono parchi, non si concedono a tutti. Solo a quelli che sanno di poter battere. E io mi domando che gloria c’è in uno che si espone solo perché sa di vincere. Hanno imparato diverse cose, ma non tutte sulla lotta. Per esempio che in qualche caso bisogna anche essere sciagurati.
Non ho voglia di parlare dei fuggitivi. Quelli, per intenderci, che si sottraggono alle loro responsabilità. Rimandano sempre un pugno ben assestato. Così prolungano agonie, perpetuano dolori, differiscono le rese. Nessuno li ama, perché il tempo è un bene prezioso e non bisognerebbe mai togliergli la dignità. Perchè parlare poi degli avventati, di solito quanto durano?
Una stagione, due, tre, poi qualche moglie arriva e se li porta via. Li vedi che sono una furia, chissà cosa ti farebbero credere e cosa sono disposti a credere di se stessi. Dargli fiducia è come prendersi a sberle con le proprie mani. E’ vento, solo vento. Bisogna avere pazienza.
C’è una certa durezza che non viene mica dall’averle prese sempre nel momento sbagliato. Certe lentezze che non son figlie della paura. Crudeltà e pietà si alternano in un vero lottatore. Pochi, a dire il vero, due o tre tra quelli che ho visto passare. Nel fondo della loro spietatezza c’è un cumulo di dolcezza. E’ difficile da dire. Li vedi in piedi per diversi motivi, per fede, diresti, per ostinazione.
Spesso hanno matrimoni sbagliati, figli sbagliati, vite sbagliate alle loro spalle. E qualcuno sempre pronto a ricordarglielo. Ma averli come avversari ha un senso preciso. Il senso più definito, se posso dire, di rivale.
E’ una fortuna che qualcuno non ti tolga mai la dignità, che non prolunghi mai le tue agonie, che non volga verso di te il lato più debole se mai ti venisse l’idea di esercitare la tua crudeltà. E’ un segno di amore per se stessi e per la propria anima.
Il mondo, questo mondo, sarebbe un vero macello senza di loro. Una triste questione di prenderle e ridarle. Solo pecore e lupi. Solo serpi e colombe. Tutti muti, tutti sordi, tutti ciechi. Nessuna grazia e neppure nessun candore. Solo una banale e prolungata volgarità.
Certo li vedi cadere, non dico questo. Di solito, finiscono in sconfitte memorabili, in sfide banalissime che neppure un bambino o chiunque sia più cauto di loro almeno un poco avrebbe mai perduto. Ma in questo caso chi saprebbe cos’è la sciagura e quanto bisogna essere forti per disprezzarla?