Marx in un bar gay. Anche Dio è uscito dall’armadio
Testo tratto dal blog Homoprotestantes (Spagna), 10 agosto 2011, liberamente tradotto da Dino
In questi giorni sto riflettendo sulla continua necessità che viviamo noi omosessuali cristiani di essere accettati dalle nostre Chiese. Cerchiamo inclusività, forse perché non siamo coscienti che l’aspetto più importante del dono che abbiamo ricevuto non è aiutare gli altri ad essere più tolleranti, o a far vedere loro la diversità della creazione (che in fondo non è poi così diversa), o alla peggio mostrare il livello di mancanza di misericordia del cristianesimo attuale…
Ma consiste nel fatto che la nostra responsabilità sta nel leggere e vivere la nostra fede a partire dalle nostre esperienze, senza chiedere permessi, nè aspettandoci comprensione o pacche sulla spalla. Essere adulti è qualcosa che la maggior parte di noi omosessuali cristiani non ha ancora affrontato, ma è inevitabile che dovremo arrivarci il più presto possibile.
Quanto prima smetteremo di sprecare energie per essere accettati, tanto prima potremo davvero servire la causa di Gesù, e potremo proporre un cristianesimo adulto, sano, e particolare a chi come noi segue il cammino di Gesù partendo dalla propria esperienza di lesbica, gay, bisex e trans (LGBT).
Voglio condividere con voi qualche stralcio dell’articolo “Marx en un bar gay” (2008) della teologa Marcela M. Althaus-Reid per farvi riflettere ancora un po’ su questo argomento:
“Come possiamo realizzare una teologia sessuale popolare che sia anche una teologia popolare dell’amore? Come possiamo usare le storie dei nostri amori per rileggere le Scritture, ripensare la nostra organizzazione come Chiesa e riflettere su temi come la Grazia, la Cristologia, la Trinità e la Redenzione partendo da esperienze di amore che la Chiesa e la teologia hanno soppresso e messo a tacere per secoli? Come possiamo pensare nella Grazia senza affermare che l’amore è illecito?
La teologia indecente non è una teologia per chiedere uguaglianza come fa la teologia femminista liberale, ma per riconoscere le diversità, e perché la diversità e la divergenza siano parte integrante della nostra praxis teologica. Non è una proposta inclusiva, nel senso che non cerca di includere persone e idee in una struttura ecclesiale e in un modo di far teologia che esiste già, ma di aprire spazi alternativi di riflessione.
Ed è in questi spazi che finalmente esiste la possibilità di un incontro con un Dio meno addomesticato, meno vincolato dalle ideologie sessuali imperanti, che non appartengono certo a tutte le culture.
E’ di questo che si tratta: di tirar fuori Dio dall’armadio. O talvolta di riconoscere che in Gesù abbiamo già un Dio che esce dall’armadio. Quale armadio? L’armadio che non gli permetteva di camminare come Dio tra gli esseri umani, di soffrire la fragilità umana, il dubbio, la fame e il desiderio, l’amicizia e l’affetto, la paura e la morte. Un Dio promiscuo il cui amore si diffonde senza confini e senza leggi che lo limitino. Un Dio che esce dalla sua centralità divina per unirsi agli emarginati.
La Teologia della Liberazione ha trovato un Dio in Cristo tra gli emarginati, ma non ha riconosciuto in Gesù la presenza di un Dio emarginato. Ovvero un Dio che abbandona la gloria per unirsi per un po’ ai poveri e agli esclusi: un Dio che si fa povero ed escluso. Un Dio strano, contorto, Queer.
Un Dio uscito dall’armadio* delle ideologie sessuali e politiche, mutevole e instabile come noi, che siamo stati fatti a sua immagine e somiglianza, un Dio che se la ride e si compiace del suo destino divino di giustizia trasgressiva, quella giustizia che scardina le leggi e che finalmente fa di noi, più che discepoli, degli amanti di Dio”.
* La teologa Marcela M. Althaus-Reid gioca con l’espressione ‘uscire dall’armadio’ (Salir del armario) che in spagnolo, la sua lingua madre, viene usata comunemente per indicare il coming out, ovvero il momento in cui le persone dichiarano apertamente la propria omosessualità, bisessualità o identità di genere.
Testo originale: Marx en un bar gay