Melloni, l’amore è uno, le famiglie sono tante
Recensione di Anna Bigano pubblicato su ANSA.it Cultura il 18 aprile 2015
Si può dire qualcosa di nuovo sul tema del matrimonio in tempi d’infiniti dibattiti su divorzi brevi, coppie di fatto e nozze omosessuali? Lo storico del cristianesimo Alberto Melloni si cimenta nella sfida con il suo ultimo saggio, ‘Amore senza fine, amore senza fini’ (Il Mulino, 142 pagine), che, a dispetto di un titolo vagamente pop e di un sottotitolo dal basso profilo (‘Appunti di storia su chiese, matrimoni e famiglie’), è un saggio serissimo, utile per ripensare “le implicazioni (e dunque le responsabilità storiche e opportunità future di bene e di male) della chiesa” in materia di coniugio e famiglie.Scritto con prosa densa e corredato da un ricco apparato di note, il dotto libretto è destinato a far discutere: perché sostiene la tesi provocatoria che il dettato evangelico originario sia molto più relativista in materia di famiglia di quanto la dottrina cattolica ci abbia insegnato. La predicazione di Gesù, spiega Melloni, “insegna che la famiglia da tenere unita è quella umana”, “condanna allo stesso modo l’adulterio e la condanna dell’adulterio” e persino “chiede di odiare il padre e la madre”.
Già nei suoi primi secoli di vita, per disciplinare l’unione fra coniugi, il cristianesimo si appropria tuttavia delle figure del diritto romano, per cui il matrimonium – come denuncia la sua stessa radice mater – ha un fine essenzialmente procreativo. Quest’idea è arrivata fino all’Ottocento, ancora confermata dal Codice Napoleone, e tanto ha plasmato le coscienze occidentali che quello che era un fine si è trasformato nella rivendicazione di un diritto, anche per chi di figli non può averne, per ragioni mediche o giuridiche, con la complicità dei progressi della scienza, che hanno svincolato la maternità e la paternità dall’atto sessuale.
La concezione di famiglia ereditata dalla storia non poteva dunque che essere una soltanto: eterosessuale, riconosciuta dal rito religioso (o tutt’al più da quello civile), orientata alla generazione della prole. E’ questa la famiglia che i “conservatori” si sentono in dovere di difendere e alle cui forme, paradossalmente, aspirano anche quelle categorie che non la includevano certo nella propria agenda: com’è il caso del movimento gay, che pretende parità giuridica, ma anche lessicale, per definire le unioni omosessuali. Del resto, nemmeno “le figure intermedie di convivenza” – scrive Melloni – “escono dal recinto del matrimonio tridentino: un recinto di cui s’ignora il perimetro e di cui semplicemente si rovescia l’ordine, in una morale non meno severa di quella precedente”.
Insomma, in tanti casi prima viene la consumazione dell’amore, poi la convivenza, i figli e solo alla fine le nozze: le tappe però rimangono le stesse. Il matrimonio civile non ha saputo rimettere in discussione fino in fondo la relazione fra i coniugi al di fuori delle categorie che vengono dalla cristianizzazione del diritto romano e dalla sua elaborazione nel Medioevo prima e nel Concilio di Trento poi. Ma non l’ha fatto nemmeno la Chiesa, nel corso della sua storia bimillenaria, sprecando anzi – almeno così la pensa lo storico – un’occasione dopo l’altra per “ripensare lei stessa il fondamento della sponsalità fuori dalla prigione aristotelica dei fini”: e così, per secoli, il matrimonio è finito con la cessazione della vita anziché con quella dell’amore, e pazienza se sono rimaste irrisolte tante aporie, come quella dei divorziati risposati, i quali, secondo un’interpretazione rigorista, possono essere ammessi alla comunione solo se non consumano quell’amore che li ha condotti alle nuove nozze.
Arriviamo così al tempo di papa Francesco, della sua brezza innovatrice, a quel Sinodo sulla famiglia ormai imminente (dal 15 aprile arriveranno dalle diocesi di tutto il mondo le risposte al questionario diffuso dopo l’appuntamento straordinario dello scorso ottobre) che potrebbe davvero essere l’occasione per sbrogliare tanti nodi, dolorosi soprattutto per chi, pur vivendo situazioni difformi dalla “norma”, non vuole rinunciare al suo credo. Quale dovrebbe essere allora la strada maestra?
Melloni la sintetizza così: “mettere da parte in modo radicale ogni discussione sui fini dell’amore o la fine dell’amore, e chiedersi come la luce del Regno che viene illumina ogni amore, il modo in cui la fedeltà di Dio abbraccia quella fedeltà desiderata e vulnerabile che ognuno conosce, quale che sia il suo stato di vita”.