Mettersi dalla parte di Dio. Perchè benedire le relazioni omosessuali?
Testo di Antonio De Caro* tratto dal suo libro “La violenza non appartiene a Dio. Relazioni omosessuali e accoglienza nella Chiesa”, editrice Eta Beta PS, 2020, paragrafo 6.4, pp.113-118
Le persone LGBT+ conoscono bene, purtroppo, la delusione che nasce dal sentirsi feriti, umiliati ed emarginati, quando la Chiesa Cattolica Romana le ritiene escluse dal progetto di Dio, a meno che non rinneghino il loro sentire più profondo. La mia speranza sarebbe, piuttosto, che la Chiesa Cattolica Romana proclamasse con sincerità: «o voi tutti, assetati, venite all’acqua» (Is 55.1); e che sapesse offrire alle persone LGBT+ momenti di vero sostegno.
I cristiani, proprio perché formati al modo con cui Gesù Cristo ha riletto e re-interpretato i comandamenti, dovrebbero sapere bene che “non commettere adulterio” significa trasferire all’interno delle relazioni d’amore umano il dono di sé che Dio fa agli uomini. La fedeltà di Dio è una garanzia evolutiva che può accrescere la qualità delle relazioni fra le persone, e questo vale sempre e comunque.
Il matrimonio religioso, certo, è un sacramento: è cioè un’effusione di Grazia santificante concessa all’uomo e alla donna che non solo si amano umanamente, ma intendono proiettare questo loro amore all’interno dell’Amore Trinitario e farsi quindi icona delle Persone Divine, anche nel meraviglioso compito di propagare la vita.
Non capisco, tuttavia, perché questo debba comportare inesorabilmente il disprezzo e la condanna per l’amore omosessuale che, se inteso e vissuto seriamente, è anch’esso amore, quindi partecipa della stessa sostanza divina e meriterebbe per questo almeno una forma di benedizione. Essa, in una comunità cristiana, sarebbe il segno eloquente di una fiducia: che cioè anche nelle unioni omosessuali possono manifestarsi concretamente la benevolenza e la fedeltà di Dio per gli esseri umani.
Per comprendere meglio questo aspetto, occorre avere chiaro che cosa sia una teologia della benedizione, fondata ad esempio su passi biblici come Nm 6.22-27 e Ef 1.3-14. Gli esseri umani hanno bisogno di essere benedetti da Dio, cioè di invocare da lui, con fiducia, protezione e sostegno per le loro condizioni di vita; e lo invocano mentre lo benedicono per i suoi doni e gli offrono il loro impegno verso il bene.
Anche i cristiani omosessuali, come tutti gli altri, hanno il diritto di chiedere a Dio salvezza, protezione, felicità, mentre lo lodano e lo ringraziano per il dono di essere stati creati e redenti: ogni benedizione, infatti, rievoca il dono del battesimo, cioè la relazione con Cristo che ci salva e ci rende fecondi di bene per gli altri. Nella benedizione vi è una dimensione ascendente (dalla comunità umana verso Dio) e discendente (da Dio verso la comunità umana): è quindi un gesto reciproco, che appartiene alla relazione fra l’uomo e Dio. La Chiesa (mediatrice di questo flusso di Grazia, che scaturisce dal mistero pasquale) non ha il potere di impedire questa relazione, bensì il compito di renderla visibile.
Una benedizione mira ad accrescere la forza delle persone, grazie alla relazione con Dio: quindi ne rivela e ne rende percepibile la presenza, precisamente in quanto crea distanza dalla maledizione, cioè dal rifiuto e dal disprezzo. La maledizione adopera la lingua del potere e della distruzione, cioè delinea un luogo dove è impossibile trovare Dio. Benedire, invece, significa attrarre, fuori dalla logica dell’odio, nell’amicizia e nella protezione di Dio. Lui dona ai fedeli la Grazia dello Spirito Santo perché possano sperimentare la sua protezione, il suo aiuto e la sua forza soprattutto nelle difficoltà che incontreranno vivendo insieme: se i fedeli credono in questa Grazia, ogni circostanza della loro vita può essere benedetta.
Chiedere una benedizione dipende dall’umile consapevolezza che è necessaria la forza di Dio per costruire insieme una relazione responsabile e duratura. Rafforzato dal mistero pasquale, infatti, anche l’amore omosessuale può essere rinnovato e perseverare.
Attraverso la preghiera, la comunità dichiara inoltre la sua gioiosa accoglienza e la disponibilità a sostenere l’amore della coppia: segni e parole possono illuminare l’idea di un amore che cresce e matura grazie alla forza di Dio. «La motivazione per una celebrazione di benedizione risiede quindi nell’azione salvifica di Dio che gli uomini sperimentano dovunque vengano liberati per vivere in pienezza e venga promossa la loro capacità di amore e di relazione, per cui ringraziano e lodano Dio.
Pregare per una benedizione è quindi, prima di tutto, espressione di riconoscenza e gioia, perché due persone si sono trovate, si arricchiscono e sono un dono l’una per l’altra; e poi è anche espressione del desiderio e della scelta di coltivare la relazione attraverso la fede, con la speranza e la fiducia che Dio ancora oggi accompagna le persone, migliora la loro vita ed è presente dovunque esse, con amore e responsabilità reciproca, sono disponibili l’una all’altra e trovano gioia l’una nell’altra» (M. Lintner).
All’interno di qualsiasi relazione d’amore i partner sono grati a Dio perché riconoscono di essere già una benedizione l’uno per l’altro, il segno che Dio ha già benedetto ciascuno dei due grazie alla presenza dell’altro. Se l’unione risponde ad un patto di amore stabilito nelle coscienze dei coniugi, essa è già, spiritualmente, benedetta, poiché Dio da tempo ama ed ha accolto queste persone con le loro storie concrete; gli omosessuali cristiani che si amano non avrebbero, in linea di principio, bisogno di un altro riconoscimento formale.
Se mai, è la comunità che ne ricaverebbe un beneficio, poiché benedire tutte le forme di amore autentico è un segno di gratitudine per la benevolenza di Dio verso tutti gli esseri umani. L’unione religiosa di due persone omosessuali, oltre a ricevere, può donare qualcosa alla comunità: infatti «sarebbe un segno eloquente dell’intenzione di superare definitivamente la sofferenza, l’umiliazione e l’emarginazione arrecate da secoli alle persone omosessuali, nel senso dell’empatia promossa dal Vangelo, affinché la riconciliazione sia autentica e credibile» (M. Lintner). (…)
Due uomini (o due donne) si amano e promettono di amarsi a lungo nel tempo, di essere uno responsabile dell’altro. Sperano di invecchiare non da soli, nei rimpianti e nella tristezza, ma insieme, dopo una vita costruita in comunione. Il legame per la vita, anche fra due persone dello stesso sesso, vale davanti a Dio anche senza la benedizione della Chiesa, che non ha il potere di cancellare questa fede. Ma perché dovrebbe farlo? Una benedizione sarebbe, piuttosto, un segno rilevante di riconoscimento, assenso, empatia e sostegno da parte della comunità.
Negarla sarebbe umanamente gentile e spiritualmente saggio? Benedire anche le relazioni omosessuali, quindi benedire il loro amore, significa mettersi dalla parte di Dio, che è già dalla parte di chi si ama. «Se l’uomo, per Grazia, partecipa alla salvezza e alla comunione con Dio, non spetta a lui negare accesso agli altri. È solo di Dio l’ultima parola sul dono o sul rifiuto della salvezza».
* Antonio De Caro, classe ‘70, esperto di cultura grecolatina, vive e insegna materie umanistiche e collabora con l’associazione “La Tenda di Gionata” e col settimanale cristiano Adista. Ha ha edito l’ebook di riflessione teologica “Cercate il suo volto. Riflessioni teologiche sull’amore omosessuale“ (Tenda di Gionata, 2019) e il saggio “La violenza non appartiene a Dio” (ed. Etabeta, 2020, 214 pagine). Si ringrazia l’autore per aver concesso la pubblicazione di questo estratto dal suo ultimo volume.