Come posso dire alla mia chiesa che mia figlia è transgender?
Articolo di Jamie Bruesehoff* pubblicato sul sito My Kid is Gay (Stati Uniti), liberamente tradotto da Maria Antonietta Giustiniani
“Come affrontare il coming out di tua figlia in una grande congregazione? Frequento la stessa parrocchia praticamente da tutta la vita. Adesso mia figlia, di dieci anni, ha iniziato il percorso di transizione, e spetta a me informare la nostra parrocchia. Voglio rispettare i suoi desideri, ma la verità è che mi sento in ansia e non so quale sia il modo migliore, anche solo a livello logistico, per fare questo passo. Potete aiutarmi?” (Anonimo)
Jamie Bruesehoff risponde:
Grazie per averci scritto! Apprezzo sia il tuo amore e il tuo sostegno per tua figlia, sia la tua sincerità rispetto ai sentimenti che provi in questa situazione. Questo percorso può rivelarsi insidioso e allo stesso tempo toccante per un genitore, ma in realtà è possibile amare e sostenere i nostri figli transgender pur onorando i nostri sentimenti.
La chiave è cercare il sostegno e le risorse giuste per ciò che riguarda il nostro compito in questo percorso, in modo da poter elaborare i nostri sentimenti e risolvere i problemi, pur continuando ad offrire un sostegno costante ai nostri figli, che stanno coraggiosamente emergendo nella loro identità. Mi congratulo con te per essere riuscita a fare esattamente questo.
Mia figlia aveva otto anni quando ha intrapreso il percorso di transizione, vivendo la sua vera identità nel contesto sociale. All’epoca, gestire la situazione con la chiesa si rivelò una questione spinosa per noi. Siamo luterani da sempre, e mio marito è il pastore della nostra chiesa. Per noi la fede è importante, ma lo è anche la nostra comunità di fedeli e il lavoro di mio marito. Avvertivamo molta pressione. In effetti, la chiesa era l’unico posto in cui non permettevo a mia figlia di esprimere il suo vero genere.
Dopo aver iniziato il percorso di transizione, espresse la volontà di indossare un vestito in chiesa per la prima volta la domenica di Pasqua. Non so se vale anche per la tua chiesa, ma per la nostra parrocchia la Pasqua è un giorno piuttosto importante, è il giorno in cui anche le persone che non si recano in chiesa dal giorno di Natale, vengono per assistere al culto.
Nel nostro caso, è anche una giornata estremamente impegnativa e stressante per mio marito. Sentiva di non avere gli strumenti per rispondere ad eventuali domande, o per affrontare potenziali conflitti in una domenica così intensa.
Sapevo che ci sarebbero state tante persone che non conoscevano molto bene nostra figlia, e che non avrebbero potuto darle l’accoglienza positiva che desideravamo per lei. Quindi le ho detto di no, e le ho promesso che avrebbe potuto indossare il suo vestito in chiesa, a patto che aspettasse una settimana in più.
È stato orribile per entrambi. Non so se sia stata la scelta giusta o sbagliata, non so neppure cosa farei se potessi tornare indietro. Quello che posso dire è che sono passati due anni, e tutt’ora la sensazione che ho provato nel chiedere a mia figlia di aspettare a mostrare il suo sé autentico a qualsiasi chiesa, è ancora impressa dentro di me.
Quando è arrivato il momento di condividere la storia di nostra figlia con la congregazione, abbiamo dovuto prima rispondere alla domanda più grande e spaventosa: e se non andasse bene? E se non dovessero sostenerla? Non sono domande divertenti, ma ci sembrava saggio prepararci al peggio.
In ogni caso, sapevamo che nostra figlia sarebbe stata la nostra priorità, per questo decidemmo che nel caso in cui la comunità avesse deciso di non sostenere nostra figlia, noi non avremmo più fatto parte di quella comunità. Per molti versi, non fu difficile prendere questa decisione. Allo stesso tempo, il peso di quanto sarebbe stato doloroso e complicato lasciare la comunità non ci lasciava indifferenti.
Detto questo, ci restava solo da capire come affrontare il discorso. Ti consiglio di non fare grandi annunci o affermazioni pubbliche che possano generare sceneggiate. Può essere utile che i fedeli abbiano la possibilità di porre delle domande per capire meglio.
Rivolgersi ai pastori o ai responsabili della congregazione è spesso un buon punto di partenza. Supponendo che riconoscano l’identità di tua figlia, possono rivelarsi utili nel resto del processo, sia attraverso il loro supporto, sia attraverso i loro consigli.
Nel nostro caso, ne abbiamo parlato con i responsabili e i membri attivi con cui avevamo buoni rapporti e, quando ci siamo sentiti pronti e abbiamo percepito che potessero farlo con rispetto, abbiamo chiesto loro di spargere la voce in maniera informale. È stato un po’ come utilizzare le voci di corridoio a nostro favore.
Così, quando nostra figlia si è presentata in chiesa indossando un vestito femminile e portando un nuovo nome, un numero sufficiente di persone era a conoscenza della situazione e sapeva di poterla accogliere a braccia aperte. Quelli che non sapevano, reagirono aggrottando il sopracciglio o voltandosi per chiedere informazioni alla persona accanto a loro, che spesso sapeva già tutto.
Quando sono state rivolte delle domande direttamente a noi, abbiamo semplicemente risposto: “Oh, si chiama Rebekah ora”. Eravamo ben disposti ad intavolare conversazioni o rispondere alle domande a scopo educativo, ma non eravamo disposti a farlo di fronte a nostra figlia. Abbiamo spiegato la situazione dando risposte semplici e chiarendo i dubbi delle persone anche in momenti successivi.
Sfortunatamente, c’è sempre la possibilità che qualcuno mostri dei risentimenti. La Chiesa ha un passato tumultuoso con la comunità LGBTQIA. Le comunità dei fedeli possono rispondere in maniera imprevedibile, ed è possibile che non tutti i fedeli di una particolare comunità siano a loro agio con queste situazioni. Tuttavia, non avevamo bisogno che tutti ci appoggiassero o approvassero l’identità di nostra figlia. Il nostro unico bisogno era quello di proteggerla.
I bambini transgender mostrano una forza immensa, ma sono anche profondamente vulnerabili. Non avremmo permesso a nessuno di dire a nostra figlia che c’era qualcosa che non andava in lei, figuriamoci permettere a qualcuno di dirglielo in nome di Dio.
Sii decisa e chiara sulle aspettative che hai nei confronti delle persone. Ad esempio, per noi ciò significava garantire che nessuno discriminasse nostra figlia, o la chiamasse con il nome sbagliato. Le persone che hanno espresso un problema in relazione al percorso di transizione di nostra figlia, alla nostra genitorialità o qualsiasi altra cosa, hanno sempre avuto la possibilità di parlarcene direttamente. Negarglielo sarebbe stato un fallimento per noi.
Spero e prego che la tua chiesa accolga tua figlia a braccia aperte, e che tu sia sostenuta dalla tua comunità. Se ciò non dovesse accadere, sappi che esistono congregazioni accoglienti, che proclamano coraggiosamente e con gioia l’amore di Dio per tutte le persone, comprese le persone appartenenti alla comunità trans e le persone non- binarie, che le invitano a mostrarsi alla chiesa nella totalità del proprio essere, facendo presente che il Corpo di Cristo è più forte quando siamo tutt* presenti.
So che non vorresti abbandonare la chiesa che hai frequentato per la maggior parte della tua vita, ma se dovessi arrivare a questo, potresti cercare online una comunità di fedeli più accogliente. Molte denominazioni dispongono di una propria organizzazione impegnata a lavorare per la piena inclusività della comunità LGBTQIA nella chiesa.
Hai detto che vuoi rispettare i desideri di tua figlia, e ti incoraggio a fare esattamente questo. Affiancati a delle persone chiave che ti siano di supporto. Fai un passo alla volta. Assicura a tua figlia che lei è esattamente ciò che Dio ha voluto che fosse. Il tuo sostegno per lei durante questo periodo difficile rimarrà con lei per sempre e, indipendentemente da ciò che accadrà in chiesa, saprà di essere amata dalla sua famiglia e da Dio.
* Jamie Bruesehoff è scrittrice, speaker e attivista. È mamma di tre bambini vivaci, tra cui una figlia transgender. Ha conseguito un master in Teologia presso il Seminario Luterano di Gettsyburg e ha lavorato nel campo delle attività ricreative all’aperto e fitness per bambini. Puoi raggiungerla sul suo blog, “I am totally *that* mum”, dove parla di vita, attivismo, cura di sé, genitorialità, fede e tanto altro. Nel tempo libero la troverai a giocare nei boschi con la sua famiglia.
Testo originale: How Do I Tell My Church That My Daughter Is Trans?