Mio figlio è effeminato, mia figlia è un maschiaccio. Bisogna preoccuparsi?
Testo di Alain Portner pubblicato sul sito Lambda-education (Svizzera) liberamente tradotto da Francesca Macilletti
Argomento tabù, l’omosessualità è al centro delle preoccupazioni di molti genitori. Al più piccolo segno giudicato da loro come precursore, si chiedono se i loro figli stiano per «saltare il fosso». Susie preferisce il suo fucile giocattolo alla sua Barbie. Ha i capelli corti e non indossa mai la gonna. André, invece, gioca con le bambole e odia giocare alla lotta. La sua cosa preferita? Travestirsi da femmina! Entrambi ritornano da scuola in lacrime, perché li hanno trattati rispettivamente da «lesbica» e da «finocchio». Questi bambini non avranno difficoltà a costruire la loro identità sessuale? O, in altri termini, non preferirebbero piuttosto un particolare orientamento omosessuale?
«Per quanto ne sappia, non credo che esistano dei segni precursori dell’omosessualità» precisa lo psichiatra Dominique Chatton, capo reparto di ginecologia psicosomatica e sessuologia di Ginevra. «È una tendenza che si cristallizza nel periodo post-adolescenziale». Queste parole bastano a rassicurare i genitori? Non proprio, in quando temono che, un giorno, la loro progenie si marginalizzi e soffra dell’essere omosessuale. Un’inchiesta de “L’Express” rivela che il 58% delle famiglie francesi non sopporta l’idea di avere un figlio omosessuale!
È forse questo un motivo per strappare il fucile dalle mani di Susie o la bambola da quelle di André? No. «L’omosessualità è plurima; non ci sono indizi che permettono di dire che quello o quell’altro bambino sarà omosessuale una volta diventato adulto» ci dice Christine Maquelin, presidente del “Groupe information sexuelle et éducation à la santé” [GIS] (Gruppo d’informazione sessuale e di educazione alla salute) del cantone di Neuchâtel.
Un comportamento da maschiaccio o da effeminato, non dovrebbe allarmare i genitori. Ma anche se prendono le proporzioni descritte nel film di Alain Berliner “Ma vie en rose” (La mia vita in rosa), in cui Ludovic (7 anni) indossa dei vestiti da donna, si trucca e sogna di sposare il suo vicino di casa? «Travestirsi, deve restare un gioco con un inizio e una fine» dice l’animatrice in informazione sessuale del GIS. «Senza regole, vale a dire senza che venga detto al bambino quando terminare il travestimento, rischia di compiacersi nel suo ruolo di bambina o di bambino». E aggiunge: «In questi casi, bisogna discutere col bambino, chiedendogli il motivo per cui si traveste e cosa prova nel farlo». Infatti, una comportamento del genere, può tradursi in un disturbo dell’identità di genere o transessualismo.
E quando due bambini dello stesso sesso giocano al dottore e si accarezzano reciprocamente? «Dal momento in cui si tratta di un qualcosa di reciproco e i due sono consenzienti e se non c’è dominazione dell’uno sull’altro, non credo che bisognerebbe preoccuparsi e mettersi immediatamente in testa che prenderanno il cammino dell’omosessualità più tardi», dice Christine Maquelin. Questi giochi sessuali costituiscono una tappa importante nello sviluppo dei bambini. Punendo questa curiosità naturale, si rischia che il bambino associ la sessualità a qualcosa di negativo, sporco e proibito.
Confrontati agli scenari precedentemente descritti, molti genitori si chiedono se sia possibile prevenire l’omosessualità. Ma “prevenire” come? Non se ne conoscono le “cause”. E, soprattutto, con quale diritto pretendono di prevenire l’omosessualità, visto che l’Organizzazione mondiale della sanità ha dichiarato, nel 1996, che «non è eticamente accettabile cercare di cambiare l’orientamento sessuale di una persona omosessuale». «Di conseguenza, la cosa migliore da fare è sostenere lo sviluppo normale del proprio figlio», consiglia il Dr Chatton.
Facile nel caso di bambini, ma è più complicato quando si tratta di adolescenti che hanno delle «amicizie particolari» e praticano dei «giochi proibiti»! «Durante l’adolescenza, si possono assumere dei comportamenti di tipo omosessuale senza poter affermare che si tratta davvero di omosessualità» sottolinea lo psichiatra di Ginevra. «I giovani si cercano e, in questa ricerca della propria identità, possono essere condotti a fare delle esperienza di ogni tipo.» Ancora una volta, niente permette di concludere se l’adolescente diventerà etero, omosessuale o bisessuale. «Troppa concentrazione su questo problema, soprattutto durante la pubertà, potrebbe contribuire a creare una tensione», avverte Dominique Chatton.
L’orientamento sessuale diventa effettivo verso i 19 anni. Questo è importante che lo sappiano sin da subito quelli che credono che la propria omosessualità debba essere accettata il prima possibile. «Molti giovani gay e lesbiche affermano che le loro relazioni con i genitori sono migliorate dopo il loro coming out in quanto, tali relazioni, erano più oneste», confermano gli autori della brochure “Etre soi-même” (“Essere sé stessi”)
Svelare la propria omosessualità, «fare coming out», non è qualcosa di facile. Soprattutto quando si hanno di fronte dei genitori poco preparati a questa situazione. «La cosa più drammatica per questi giovani è quella di non sentirsi accettati per quello che sono», evidenzia il dottor Chatton. «Se si ha un figlio o una figlia omosessuale, perché non amarlo/a per quello/a che è? Si tratta della sua vita!»
Claude*, gay. «Ho giocato ad hockey e a baseball. Ho fatto danza. Con mia sorella, ci divertivamo a confezionare i vestiti delle bambole. Cosa che non mi impediva di amare le macchine. A scuola apprezzavo i corsi di carpenteria e avrei tanto voluto seguire i corsi di cucina. Ma, questi, erano riservati alle ragazze! I miei genitori non hanno mai trovato niente di strano in me. Soltanto un mio professore ha telefonato loro, quando ero adolescente, per informarli che forse avevo delle tendenze.
Ho avuto sia ragazzi che ragazze, fino al giorno in cui, all’età di 19/20 anni, ho vissuto una relazione seria con un ragazzo. Da quel momento, non ho più avuto voglia di stare con una ragazza. La mia omosessualità si è rivelata poco a poco, senza tensioni. Non ha niente a che fare con la mia educazione. Sono stati i sentimenti a dettare il mio orientamento sessuale» A.P.
Pascal*, lesbica. «Eravamo sempre in molti, i bambini che giocavano insieme – femmine e maschi. Nella mia stanza, le bambole si trovavano vicine alle macchinine. Alcune volte indossavo dei vestiti (maschili) e ho portato i capelli lunghi fino a 15 anni. È stato a quell’età, probabilmente, che mi sono innamorata per la prima volta di una ragazza. Ho detto “probabilmente” perché, a quel tempo, non lo sapevo. Me ne sono resa conto soltanto dieci anni più tardi. Ho dovuto attendere i miei 18 anni per sentire che ero più attratta dalle ragazze che dai ragazzi. Nonostante questo, mi sono messa con un uomo quando avevo 24 anni. Riflettendoci, c’è stato un momento nella mia vita, in cui il mio orientamento sessuale era evidente. Si è trattato, allora, di sapere se lo accettassi o meno. I miei genitori? Ho l’impressione che, anche quando era evidente per me, e che loro avrebbero dovuto accorgersene – ebbene – loro non hanno visto nulla!» A.P.
* Nomi fittizi
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Testo originale: Fille «manquée», garçon «manqué», faut-il s’inquiéter?