Mio figlio è gay! Riflessioni di una madre cattolica
Testimonianza di Mary Ellen Lopata tratta da hrc.org (Stati Uniti), liberamente tradotta da Antonio M. e Innocenzo
Nel novembre 1983 Jim, il mio figlio più grande, si sedette sul nostro sofà in soggiorno e mi disse “Mamma, io sono triste per un altro uomo”.
Ma non stava riferendosi ad alcun uomo in particolare. Le sue parole “io sono triste”, descrivevano il suo desiderio di trovare compagnia, amicizia e l’amore di un altro uomo gay. Era l’inizio della mia istruzione.
Passò molto tempo prima che io comprendessi il suo dolore, quanto coraggio deve aver preso per dirmelo, quanta fiducia aveva in me e nella nostra relazione.
Desidererei poter dire che avevo preso bene la notizia. Ma in realtà ne fui scioccata e confusa. Piansi e piansi.
Ero nata ed cresciuta in una famiglia cattolica tedesca e tradizionalista, nulla nei miei 12 anni di educazione cattolica mi avevano preparato a quella notizia.
Ci fu un piccolo discorso sul sesso quando stavo crescendo, ma ricordo che non sentii o lessi mai il termine “omosessuale” prima di sposarmi e di diventare madre. Io non ero certamente consapevole di aver incontrato mai o di aver parlato con qualcuno che era gay.
Tutto ciò che sapevo era quello che lo psicologo Mary Borhek chiama “assunzioni inconsce” in negativo sull’omosessualità.
Ma Jim era la prima persona gay che conoscevo e lui sfidò tutti i miei stereotipi sulle persone gay. L’unica cosa che io sapevo di sicuro era che io amavo mio figlio. Tutto il resto era confusione.
Perché è accaduto questo? Come è accaduto? Sono colpevole di qualcosa? Cosa significa… per Jim… e per la mia famiglia? È un peccato? Cosa ne pensa la Chiesa? Come possiamo dirlo ai nostri amici? Cosa, dovrei fare ora? E l’AIDS?
Ogni domanda cresceva sempre più dentro di me. Io pregavo “Dio, per favore aiutami a capire!”, la comprensione non venne rapidamente, ma io trovai conforto nel sapere che Dio amava mio figlio.
Cercai informazioni ed appoggio.
Diciassette anni fa si avevano poche informazioni disponibili sull’omosessualità ed anche meno documenti sull’insegnamento della chiesa a riguardo.
Jim si era confidato con uno dei nostri parroci e mi disse che avrei potuto parlarne con Padre Tom. Il giorno dopo, piangevo ancora, lo chiamai e semplicemente gli dissi: “Jim mi ha detto …”.
La risposta di Padre Tom fu piuttosto pastorale, ma quello che ricordo fu il suo tentativo di confortarmi dicendomi che almeno Jim non aveva una malattia terminale.
Questo era vero, ed io gli ero grata. Compresi che stava tentando solo di mettere le mie preoccupazioni in una prospettiva più chiara. Ma non capì per cosa io stavo lottando realmente.
Io avevo bisogno di parlare con qualcuno che capiva… che aveva vissuto con il dolore, le paure, l’emotività e la questa confusione mentale data da questa rivelazione ed era riuscito a maturare un atteggiamento sereno.
Ma trovare quel genere di persona per me era praticamente impossibile, data la mia riluttanza a pronunciare la parola “omosessuale” o “gay”. Nessuno mi avrebbe detto di avere un figlio gay, non c’era nessun modo di saperlo.
Questo isolamento mi portò a vivere una riservatezza su questo tema davvero poco sana. Soddisfeci il mio bisogno di informazioni rubando i libri della biblioteca pubblica, perché avevo paura che qualcuno si chiedesse perché era interessata a questi libri.
Restituii i libri, ma avevo imparato molte cose utili:
• si stima che dal 3 al 10 percento della popolazione è gay;
• non sono ancora chiare le cause dell’omosessualità e che l’orientamento sessuale emerge nella vita di ognuno abbastanza presto e non è influenzato da una madre dominante o da padre debole o assente, ma da una varietà di fattori;
• che l’Associazione Psichiatrica americana e l’Associazione Psicologica americana classificava l’omosessualità come una “malattia” sino alla metà del 1970;
• avere un orientamento omosessuale non è una scelta e la chiesa lo insegna;
• l’evidenza Scientifica non ha mai dimostrato che la terapia di conversione funziona, che invece può essere davvero dannosa in alcuni casi;
• che alcune persone credono che un omosessuale che prega con abbastanza fervore può essere cambiato.
Poi lessi del ragazzo diciannovenne Bobby Griffith che saltò da un cavalcavia di un’autostrada. La sua comunità, la sua famiglia e la sua chiesa avevano detto che era un “abominio” di fronte a Dio e lui gli credete.
Nella sua agenda scrisse: “Perché Dio fa questo a me,? Sto andando all’inferno? Quella è la domanda che mi tortura e torna sempre nella mia mente. Per favore non mandarmi all’ inferno. Sono veramente cattivo? La vita è così crudele ed ingiusta”.
• Il Segretario alla Sanità nel “Rapporto sul Suicidio tra i giovani” (1989) aveva concluso che i giovani gay e lesbiche sono 2 o 3 volte più soggetti ai tentativi di suicidio.
Sebbene la mia parrocchia era una comunità meravigliosa, calda, piena di persone compassionevoli, premurose, questo era un tema di cui non si era mai discusso.
Ma nel 1987 la nostra parrocchia offrì un seminario sull’omofobia e l’omosessualità e lì che ho cominciato a sentire che mio figlio era benvenuto nella nostra chiesa e che forse io non ero da sola.
La cosa più importante che il seminario fece era rompere il silenzio sull’omosessualità. Io uscii da quell’esperienza sapendo che se io amavo mio figlio, come dicevo e facevo, non potevo rimanere in silenzio.
Quel silenzio prolungato perpetuava l’isolamento che sosteneva il mio senso di vergogna, che incoraggiava il silenzio, in un ciclo di dolore perenne. Dopo quel seminario, non era ancora facile parlare, ma cominciai a sapere che era possibile.
Ci volle per me un tempo molto lungo per superare le mie paure. Passarono tre anni prima che avessi il coraggio di dirlo al mio miglior amico, nove anni prima che ne parlassi con la nostra famiglia, dieci anni prima che imparassi a parlare della gioia di avere un figlio gay e della tristezza, rabbia e frustrazione che vengono dagli atteggiamenti della società e della nostra Chiesa verso i nostri figli e le nostre figlie gay.
Quante cose sarebbero state diverse se la lettera pastorale dei Vescovi USA del 1997 “Always Our Children” (Sempre nostri figli) fosse stata disponibile già nel 1983.
I Vescovi descrivono “Always Our Children” come “una mano tesa …. ai genitori e agli altri membri della famiglia, e offre loro uno sguardo nuovo sulla grazia presente nella vita familiare e sulla inesauribile misericordia di Cristo nostro Signore”.
E’ chiaro che qualcuno finalmente nella chiesa istituzionale stava ascoltando i sentimenti di quei genitori e il loro dolore, la loro lotta ed il loro amore.
Il documento cominciava ad ammettere che quanto insegna la chiesa sull’omosessualità può essere una fonte di confusione e conflitto e elencava le emozioni che i genitori possono esperimentare: il sollievo, rabbia, il lutto, paura, colpa, la vergogna e la solitudine e, ultimamente, l’orgoglio.
Tutte queste emozioni furono citate in un indagine su 220 genitori cattolici con figlie lesbiche e figli gay che condussi nel 1998.
I risultati mostrarono che i genitori provano queste emozioni: paura (78%), confusione (56%), dolore (49%), bisogno di proteggere (47%), accettazione (43%), colpa (39%), solitudine/isolamento (34%), rabbia (27%), vergogna (25%), bisogno di aiuto (13%).
I vescovi mostrarono la loro attenzione mettendo fra parentesi le emozioni più dolorose, con sentimenti che enfatizzavano nei genitori “l’amore e la preoccupazione”.
Ammettendo che alcuni genitori sentono il bisogno di aiuto dopo avere esperimentato lungo periodo di preoccupazione per il loro figlio.
Quando finalmente sanno la verità sul loro figlio, si caricano di un carico pesante, che può essere condiviso con una maggiore fiducia l’uno nell’altro, cominciano così a costruire una relazione più vicina, più onesta.
La maggioranza dei genitori fa esperienza della paura ed del dolore. Temono che il figlio sarà rifiutato, molestato, discriminato, picchiato e forse anche ucciso, perché gay.
Temono anche che loro saranno rifiutati dagli amici, dalla famiglia e dalla chiesa. Da quelle persone che vorranno “il loro biasimo”, anche se non hanno fatto niente sbagliato e c’è niente di sbagliato nel loro figlio.
La maggior parte di genitori si addolorano (almeno un poco) quando scoprono che il loro figlio è gay. Non bisogna dire che si comportano come se il loro bambino è morto, sebbene alcuni lo fanno. Troppo genitori soffrono perché sentono di veder tradite le loro aspettative. La maggior parte di noi presume che i nostri figli avranno solo il meglio dalla vita che gli offriamo.
Ma se i nostri figli scelgono differentemente ci sentiamo come se ci stessero rifiutando. Noi presumiamo che i nostri figli si sposeranno ed avranno una famiglia. La perdita di quelle aspettative è un cambiamento molto grande.
Col tempo scoprii che le mie aspettazioni per Jim non erano realmente cambiate. Erano sempre le stesse aspettative, le stesse speranze che io ho per tutti i miei figli. Che loro siano buone persone, felici, sane e che si sforzano di camminare con Dio ed nella famiglia di Dio.
Delle molte asserzioni incoraggianti e salutari presenti in “Always Our Children” (Sempre nostri figli), due ci toccarono profondamente.
Come quando lessi le parole dei Vescovi americani che affermano che i nostri figli gay e le nostre figlie lesbiche sono “chiamati a far parte del disegno di Dio”, mi consolai.
Allora Jim, come tutti i miei figli, è “chiamato a seguire il disegno di Dio”. Jim, nel profondo del suo cuore e con l’aiuto di Dio, sta cercando questa strada.
E ho pianto quando i Vescovi hanno chiuso la loro lettera pastorale dicendo alle nostre figlie lesbiche e figli gay che “l’amore di Dio è per voi”. Una profonda e semplice verità che mai avevo sentito prima dai rappresentanti della mia chiesa. (…)
Testo originale: God’s Love Revealed. Reflections on Being a Catholic Mother