Morire a 18 anni a Torino di omofobia
Riflessioni di Massimo Battaglio
Domenica scorsa, nella mia Torino, un ragazzo di 18 anni, Orlando Merenda, si è tolto la vita. E’ andato alla stazione Lingotto, ha risalito i binari in direzione Moncalieri e si è fatto investire dal primo treno che passava.
Non ha lasciato alcun biglietto, per cui, data anche la giovane età, nessuno ha ipotizzato quali fossero le ragioni del suo gesto. Ragioni che però sono emerse ora, esaminando il suo account Instagram. Era pieno di insulti omofobi, prima e anche dopo la morte.
Tra i messaggi di cordoglio ne campeggia uno: “morte ai gay”. Allora, gli amici più stretti e il fratello, già a conoscenza del suo orientamento sessuale, sono usciti allo scoperto.
Hanno confermato che Orlando era da tempo vittima di bullismo omofobo. “Mi aveva confessato di aver paura di alcune persone”, dice appunto il fratello.
Ora qualcuno dirà che voglio strumentalizzare la morte di un innocente. Farebbe meglio a tacere! Perché Orlando non era un debole, un depresso, un giovane fragile.
Era semplicemente un ragazzo che amava altri ragazzi e, non a causa di questo ma dell’odio che per questo gli arrivava addosso, si è sentito oppresso fino alla morte.
Il suo sangue ricade, come quello di decine di ragazzi come lui, ricade proprio sulle teste di chi continua a blaterare di “libertà di espressione”. Se non si mette un freno anche alle espressioni di odio verbali, i frutti sono questi qui.
Cari monsignori, cari politici della destra sedicente cattolica, cari malpancisti: mettetevi una mano sulla coscienza, se ne avete ancora una.
I privilegi “non disponibili” della Chiesa cattolica (come dicevate nella vostra lettera resa pubblica il giorno dopo la morte di Orlando Merenda) hanno anche questo effetto e non valgono un millesimo della sua vita.
Info su> Cronache di ordinaria omofobia.org