Riflessioni di Gianni Geraci pubblicato sul blog Compagnia della Speranza il 18 marzo 2021
Ieri ho pubblicato una riflessione su quello che potevano fare i cattolici LGBT dopo aver letto il responsum con cui la Congregazione per la Dottrina della Fede rispondeva, lo scorso 22 febbraio 2021, a una richiesta relativa alla benedizione delle unioni omosessuali.
Visto che un operatore pastorale ha condiviso una preoccupazione sul ministero che sta svolgendo con lesbiche e gay, ho pensato di pubblicare anche questa riflessione su quello che potrebbe cambiare nella pastorale con le persone omosessuali dopo la pubblicazione di quel testo.
Un sacerdote che sta cercando di portare avanti da diverso tempo una pastorale inclusiva nei confronti delle persone omosessuali, dopo pubblicazione del responsum con cui la Congregazione per la dottrina della Fede ha dichiarato che «la Chiesa non dispone, né può disporre, del potere di benedire unioni di persone dello stesso sesso» (cfr. «Responsum della Congregazione per la Dottrina della Fede ad un dubium circa la benedizione delle unioni di persone dello stesso sesso del 22 febbraio 2021), leggendo le motivazioni che hanno portato a questa conclusione, ha scritto: «Se mai ci fossero stati dei dubbi, siamo ufficialmente fuori legge. E non solo noi, ma anche quei vescovi che ci permettono di fare i nostri incontri perché quando li facciamo non chiediamo agli omosessuali presenti, soprattutto a quelli che vivono in coppia, di astenersi dai rapporti sessuali».
Non è l’unico che ha espresso la paura di dover scegliere, a un certo punto, tra la chiusura dell’attività pastorale con cui sta aiutando decine di lesbiche e di gay e il rischio di subire delle sanzioni canoniche.
Andando a leggere con attenzione il resposum del 15 marzo scorso, mi sentirei di dire che questa sua preoccupazione è forse eccessiva.
Il testo, infatti, dopo aver osservato che: «In alcuni ambiti ecclesiali si stanno diffondendo progetti e proposte di benedizioni per unioni di persone dello stesso sesso», aggiunge che tali progetti sono comunque «motivati da una sincera volontà di accoglienza e di accompagnamento delle persone omosessuali, alle quali si propongono cammini di crescita nella fede, “affinché coloro che manifestano la tendenza omosessuale possano avere gli aiuti necessari per comprendere e realizzare pienamente la volontà di Dio nella loro vita”» e si continua dicendo che: «tali cammini, l’ascolto della parola di Dio, la preghiera, la partecipazione alle azioni liturgiche ecclesiali e l’esercizio della carità possono ricoprire un ruolo importante al fine di sostenere l’impegno di leggere la propria storia e di aderire con libertà e responsabilità alla propria chiamata battesimale, perché “Dio ama ogni persona e così fa la Chiesa”».
Se quindi è vero che il responsum, anche se «non esclude che vengano impartite benedizioni a singole persone con inclinazione omosessuale, le quali manifestino la volontà di vivere in fedeltà ai disegni rivelati di Dio così come proposti dall’insegnamento ecclesiale» dichiara illecita «ogni forma di benedizione che tenda a riconoscere le loro unioni», è anche vero che dice che non tutte le attività pastorali di accompagnamento delle persone omosessuali si riducono alla benedizione delle loro unioni e, nelle sue parole iniziali ha parole di apprezzamento per l’accompagnamento delle persone omosessuali lungo «cammini di crescita nella fede» che personalmente, io leggo come un invito a formare finalmente dei “cattolici adulti”.
Credo perciò che non solo questo responsum non comprometta l’attività pastorale che in tante chiese si sta portando avanti con le persone omosessuali, ma che la indirizzi in una direzione (quella di formare dei cattolici adulti) in cui la valutazione delle modalità con cui «vivere in fedeltà ai disegni rivelati di Dio così come proposti dall’insegnamento ecclesiale» spetta innanzi tutto alla coscienza morale di ciascuno debitamente formata.
Fatte queste brevi riflessioni mi chiedo che impatto può quindi avere un documento del genere in una chiesa come quella italiana, dove la benedizione delle coppie omosessuali non è impartita da nessun ministro e dove invece sono la stragrande maggioranza le diocesi in cui non si vede nemmeno lontanamente l’ombra di quei percorsi accompagnamento delle persone omosessuali in quei «cammini di crescita nella fede» nei confronti dei quali esprime un così chiaro apprezzamento.
Forse, più che un “peccato di illecita benedizione” i nostri vescovi, se fanno un serio esame di coscienza, scoprirebbero che nelle loro diocesi, è il caso di intervenire per correggere quello che potremmo identificare come un “peccato di omissione”.