Nel gran parlare nella chiesa cattolica del ddl Zan manca sempre qualcosa: le persone Lgbt
Riflessioni di Marco Ronconi* pubblicate sul mensile cattolico Jesus di agosto 2021, pag.89
“Mi sembra manchi qualcosa da questo gran parlare”. Ed è proprio vero. Mentre scrivo la rubrica che state leggendo (teologia da bar), siamo nel pieno del dibattito sul ddl Zan.
Nel marasma di opinioni, giudizi e distinzioni questa osservazione di Marcello Neri mi sembra illuminante: in questo “gran parlare», mancano “le vite delle persone. Manca la domanda sociale su cosa queste vite possono dare alla nostra convivenza, qualcosa che la vita di persone eterosessuali non può dare. Di questo avremmo bisogno, tutti quanti. Racconti di vita che valgono per tutti perché sono vissuti umani – anche se la pensiamo in maniera diversa o reputiamo di essere diversi”.
Ho trovato queste parole esatte e vorrei tornarci sopra perché, in realtà, vanno oltre la discussione specifica e mi sembrano rappresentative di un punto di vista credente, di cui avremmo molto bisogno.
Provo a spiegarmi meglio. Il riconoscimento dei diritti delle minoranze, lo schierarsi dalla parte degli oppressi senza aspettare che le loro rivendicazioni siano perfettamente corrette nei modi, sono posture che non abbisognano necessariamente della fede, anche se trovano linfa vitale in molte tradizioni scaturite dai discepoli e dalle discepole di quel rabbi che ha acconsentito a una cananea e a un’emorroissa di estorcergli grazia, senza badare troppo alle regole della buona educazione.
Per queste scelte etiche, tuttavia, può bastare un (enorme) amore per l’umanità e una (smisurata) speranza il suo futuro.
Ciò per cui occorre invece un atto di fede è il riconoscimento che senza l’altro, o l’altra in carne ed ossa, proprio nella sua diversità cosi radicale da diventare unicità, manca qualcosa di fondamentale a tutti, anche a noi.
Molti anni e qualche pontificato fa mi trovai a un convegno in cui cercavo di mettere in rete varie soggettività ecclesiali.
Mi colpi con la forza di un maglio la testimonianza di un laico, portavoce di una comunità di cattolici e cattoliche omosessuali
Mi aspettavo usasse quel palco per rivendicare un diritto, o per denunciare un sopruso, o per urlare un dolore. Fece invece una riflessione cosi misurata e profonda sul Padre nostro, che ne conservo ancora alcuni passaggi, ma ancor più ricordo la sensazione di vuoto che mi saltó in gola quando realizzai quanta sapienza si perdesse la mia comunità cristiana, identificando quella persona con un atto contro natura e quindi costringendolo a un marchio infamante, tollerato con paternalismo nella migliore delle ipotesi.
La stessa sensazione ho riprovato quando ho avuto la grazia di incrociare le storie di alcuni uomini e donne che amano cosi tanto altri uomini e donne, da essere disposte a vegliare capezzali, assistere anziani, condividere gioie e dolori, salute e malattia e, visto che è stato chiesto loro, anche di rinunciare all’Eucaristia.
Essere cattolico e omosessuale, negli ultimi decenni, ha significato spesso sperimentare esclusione, diffidenza, violenza; ha significato cercare spesso altrove, fuori dalla Chiesa, parole per riconoscersi come un figlio di Dio che cerca di amare accordando corpo e anima, piuttosto che un contro natura da guarire o reprimere.
Il prezzo del loro ostracismo non è tuttavia stato pagato solo da loro,ma da tutti, che lo si voglia ammettere o meno. Abbiamo perso tanto soffocando l’ascolto delle vite concrete.
Negli ultimi anni, in realtà, qualche cosa sta cominciando a cambiare. La lentezza e la cautela sono comprensibili anche se non sempre giustificabili: non sono temi facili.
Ma mi piace sperare che ciò avvenga non tanto perche siamo diventati più buoni o peggio perché abbiamo ceduto alle logiche del mondo tradendo la dottrina”, ma perche ci siamo accorti che nel nostro gran parlare ci eravamo persi le vite delle persone. Sperando abbiano ancora desiderio di conversare con noi.
* Marco Ronconi è teologo e insegnante di ruoloeligione.