Nel nome del prossimo. Perché papa Francesco chiede una legge che tuteli le coppie gay
Riflessioni di Vito Mancuso* pubblicate sul quotidiano La Repubblica del 22 ottobre 2020, pag.33
Quelle poche parole di papa Francesco rese note ieri, emblematicamente contenute non nell’ufficialità di un documento ma nella spontaneità di un documentario, e che in un istante hanno fatto il giro del mondo, rappresentano una grande vittoria dell’amore e della ragione. «Le persone omosessuali», ha detto, «hanno il diritto di essere in una famiglia. Sono figli di Dio e hanno diritto a una famiglia. Nessuno dovrebbe essere estromesso o reso infelice per questo. Ciò che dobbiamo creare è una legge sulle unioni civili. In questo modo sono coperti legalmente».
Queste parole rappresentano una vittoria dell’amore perché riconoscono il diritto nativo di ogni essere umano all’amore integrale, intendendo con “integrale” la possibilità di esplicitare tutte le dimensioni che una vera storia d’amore comporta e richiede, cioè sentimenti, unione fisica e riconoscimento pubblico.
Anzi, è proprio quest’ultimo aspetto a costituire il motivo di fondo per cui oggi ancora ci si sposa, visto che non ci si sposa più per fare l’amore, non più per fare figli, non più per vivere insieme; chi oggi si sposa lo fa per dichiarare al mondo, nero su bianco, che quella persona è una cosa sola con lui (o con lei) da ogni punto di vista, istituzioni comprese. Da questa pienezza dell’amore il Papa ha dichiarato che le persone omosessuali non devono più essere escluse.
Così dicendo egli ha preso atto di un processo inarrestabile che si va compiendo a livello planetario riconoscendo la pari dignità dell’amore omosessuale; ed è in questo senso che le sue parole rappresentano anche una vittoria della ragione. Per il Papa non deve essere stato facile pronunciarle e prima ancora concepirle. Ma l’averlo fatto denota apertura mentale, coraggio personale, discernimento spirituale e capacità di profezia. Si tratta infatti di leggere i “segni dei tempi”, come esorta il Vangelo, e il segno inequivocabile del nostro tempo è la necessità di andare oltre le chiusure dottrinali del passato per fare in modo che l’amore, da mero enunciato, diventi vita concreta per tutti. Si sta mettendo in atto quanto annunciava Gesù: “Il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato”, il che vale anche per quel tipo di sabato che si chiama “dottrina”: essa è stata fatta per gli esseri umani, e non gli esseri umani per essere schiacciati dal suo dettato.
È noto quanto le parole di Gesù scandalizzassero le élite sacerdotali del tempo, allo stesso modo queste parole di Francesco piovono come una bomba sul mondo cattolico. Nello Stato pontificio l’omosessualità era un reato perseguibile penalmente, Pio V nel 1568 istituì la pena capitale con la bolla Horrendum illud scelus (“Quell’orrendo delitto”). Tutti i papi recenti hanno ribadito l’esplicita condanna, consacrata così dal Catechismo: “Gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati. Sono contrari alla legge naturale. Precludono all’atto sessuale il dono della vita.
Non sono il frutto di una vera complementarietà affettiva e sessuale. In nessun caso possono essere approvati” (art. 2357). Alla luce di questo testo penso sia chiara la novità esplosiva delle parole di Francesco secondo cui le persone omosessuali «hanno diritto a una famiglia».
Il travaglio non riguarda solo la Chiesa cattolica. Il Dalai Lama nel 2006 riaffermava così la disapprovazione buddhista: «Una coppia gay è venuta a trovarmi cercando il mio appoggio e la mia benedizione. Ho dovuto spiegare loro i nostri insegnamenti. Una donna mi ha presentato un’altra donna come sua moglie: sconcertante!». Qualche anno dopo però, nel 2014, aveva un approccio del tutto diverso: «Se due persone, una coppia, sentono veramente che quel modo è più fonte di soddisfazione, e se entrambi sono pienamente d’accordo, allora va bene».
All’inizio del pontificato Francesco rispose a un giornalista: «Se una persona è gay e cerca il Signore e ha buona volontà, chi sono io per giudicarla?». Oggi sappiamo che quella risposta non era una battuta per cavarsi d’impaccio di fronte a una domanda scomoda, perché in piena coerenza personale la prospettiva viene ribadita: per la massima autorità della Chiesa cattolica di fronte all’amore omosessuale non c’è più il giudizio, ma il riconoscimento della pienezza dei diritti. La
maturità di una società civile si misura sulla possibilità data a ciascun cittadino di realizzare il diritto nativo all’amore integrale. Papa Francesco ha insegnato che anche la maturità della comunità cristiana si misura sulla capacità di accoglienza di tutti i figli di Dio così come sono venuti al mondo, nessuno escluso.
* Vito Mancuso è un teologo italiano, docente di Teologia moderna e contemporanea presso la Facoltà di Filosofia dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano. Assieme ad Elido Fazi è direttore della collana “Campo dei fiori” dell’editore Fazi, dedicata a un’interpretazione laica della spiritualità. Dal 2009 collabora con la «Repubblica» ed ha pubblicato diversi testi tra cui La forza di essere migliori (2019) e Il coraggio e la paura (2020) .