Nel Sinodo i gay sono ancora un tabù
Articolo di Ferdinando Camon pubblicato su “La Stampa” del 26 ottobre 2015
Se il Sinodo dice che sulla comunione ai divorziati-risposati si può decidere caso per caso, vuol dire che al suo interno c’è divergenza. La stessa che corre tra i cattolici di base: si può dare la comunione ai divorziati risposati?
Si può, sulla base di quello che un cattolico di oggi sa, quello che gli è stato insegnato, quello in cui crede? La mia risposta è: no. Si deve correggere questo no?
Certo, si deve correggere. E la correzione passa attraverso un ripensamento della comunione, la possibilità di darla più facilmente a chi la chiede, perché il chiederla comporta già un meritarla? No, passa per un ripensamento del divorzio: il divorzio si fa in due, ma quasi sempre la colpa è di uno. L’altro lo subisce. Anche quando è lui a chiederlo.
Il matrimonio può essere una formidabile fabbrica di disagio e di sofferenza. Ma può darsi che un coniuge produca i sintomi, e l’altro se li carichi addosso. Finché non ne può più. La Chiesa tiene in considerazione chi cerca di restare nel matrimonio, ma può essere quello stesso che lo rende impossibile. Non considerare questo, vuol dire mancare di psicologia. Come nel modo di trattare l’omosessualità.
Sull’omosessualità il Sinodo è stato durissimo. Dice che l’unione tra omosessuali «va contro il disegno divino». Pochi tra i miei lettori lo ricorderanno, ma l’omosessualità, nel catechismo insegnato fino a una generazione fa, risalente a Pio X, era accostata all’«omicidio volontario».
Quel catechismo portava in appendice un elenco dei cosiddetti «peccati che gridano vendetta al cospetto di Dio», e questi peccati erano sette: il primo era l’«omicidio volontario», il secondo il «peccato impuro contro natura», cioè l’omosessualità. Ho avuto amici omosessuali, Pasolini, Sandro Penna, Dario Bellezza… Quando parlavo con uno di loro, lo guardavo in faccia e mi domandavo: è un assassino? Non ho mai risposto: sì.
Quello che è, a mio parere, un errore della Chiesa, deriva da questo: la Chiesa pensa che esiste la Natura, la quale spinge l’uomo verso la donna, ma l’omosessuale, per malignità, la stravolge, e va verso l’uomo. Così si ribella contro la Natura e contro chi l’ha creata. Un giorno la Chiesa comprenderà che l’omosessuale non va contro Natura, ma segue la propria Natura, esattamente come fa l’eterosessuale. Questo concetto non era chiaro, fino a ieri, neanche agli omosessuali che vivevano l’omosessualità come una maledizione. Tra loro anche Pasolini. È morto per questo.
Il matrimonio viene sentito come indissolubile perché non è un vincolo che lega il marito alla moglie e viceversa, ma lega ciascuno dei due a Dio. Il matrimonio cattolico è un’unione a tre. Rompere questo vincolo con Dio è una colpa grave. Per questo il divorziato-risposato non può ricevere la comunione. Se la riceve, fa un sacrilegio.
Quel bambino, che alla sua prima comunione, vedendo che padre e madre, divorziati, non potevano prendere l‘ostia, ha spezzato la propria e ne ha dato una porzione al padre e una alla madre, ha fatto un sacrilegio. Non sarà più un sacrilegio quando, un domani, la Chiesa riconoscerà che il divorzio non è un atto (imperdonabile) col quale un coniuge si sottrae a Dio, ma un atto col quale si sottrae all’altro coniuge. Come tale, può essere un atto comprensibile. A volte utile a un coniuge. O addirittura a tutt’e due. Inconsciamente, il bambino che ha spezzato l’ostia tutto questo lo sentiva.