“Nell’amore non c’è paura!”. Il mio cammino di fede e le veglie
Intervista di Innocenzo Pontillo a Andrea Rubera del gruppo Nuova Proposta di Roma, 20 aprile 2013
“Sono cresciuto in una famiglia cattolica per alcuni versi tradizionale e per altri progressista. Scuole cattoliche dall’asilo al liceo. Frequentazione assidua della parrocchia.
Tanti incontri positivi sulla mia strada: il vice parroco che ci ha seguito per tanti anni come gruppo giovanile, le suore della scuola elementare, i GEN durante il periodo universitario… Ma anche tanti momenti bui vissuti in solitudine da quando ho maturato coscienza della mia omosessualità”.
Comincia a raccontarsi così Andrea Rubera di “Nuova Proposta”, il gruppo di donne e uomini cristiani e omosessuali di Roma, che ho contatto perché voglio conoscere alcune delle persone che partecipano all’organizzazione delle Veglie di preghiera per le vittime dell’omofobia che hanno luogo in tutta Italia, e non solo, nei giorni precedenti o successivi al 17 maggio, giornata internazionale contro l’omofobia.
Le veglie sono un momento “forte” che, dal 2007, unisce cristiani di varie chiese e comunità cristiane, evangeliche e cattoliche, con cammini di fede assai diversi, omosessuali e non, ma uniti da Palermo a Milano da questo momento in cui la preghiera si fa segno vivo di testimonianza e speranza.
Andrea, da alcuni anni, collabora con Nuova Proposta all’organizzazione della Veglia ecumenica per le vittime dell’omofobia di Roma, che lo scorso anno è stata celebrata, per la prima volta e in maniera pubblica, nella Basilica dei SS. Bonifacio e Alessio all’Aventino concessa a sorpresa dal Vicariato di Roma.
Andrea come è stato per te conciliare la tua fede con la tua omosessualità?
Ci sono stati anni in cui omosessualità e fede si sono contrapposte in maniera dilaniante dentro di me, generando una falsa immagine di Dio Giudice con cui ho dovuto lottare per molto tempo.
Per anni, ogni notte pregavo di svegliarmi non più omosessuale e questa sofferenza l’ho attraversata senza condividerla, neanche in famiglia, perché ero convinto che non avrei mai potuto parlarne con nessuno. Poi, all’università la vita ha avuto il sopravvento. Ho conosciuto Dario e stiamo insieme da oramai 27 anni.
L’amore è stato la chiave risolutrice della mia esistenza, perché mi ha portato gradualmente a riappropriarmi della mia esistenza nella sua interezza, che rifiutavo. Piano piano abbiamo cominciato a progettare la nostra esistenza insieme. Un tassello importante è stato l’incontro con Nuova Proposta, il gruppo di omosessuali cristiani di Roma, che ci ha consentito di riconciliare la nostra fede con l’omosessualità, trovando uno spazio per entrambe.
Da allora la frequentazione con Nuova Proposta si è trasformata da “fruizione” a “servizio”, ed infatti da qualche anno sono parte attiva del coordinamento del Gruppo.
Come hai scoperto l’esperienza delle veglie per le vittime dell’omofobia e quali speranze e emozioni ti ha suscitato parteciparvi?
Dal primo anno in cui il Progetto Gionata ha lanciato l’idea di organizzare le veglie per le vittime dell’omofobia, Nuova Proposta è stata in prima linea, insieme agli altri gruppi romani, “La Sorgente” e la “REFO”. Piano piano le veglie si sono arricchite di contenuti, idee, spunti, testimonianze. Da veglie organizzate in un contesto “protetto” si sono trasformate in veglie pubbliche.
Ricordo con estrema commozione la veglia del 2011 che abbiamo organizzato all’aperto, a piazza Navona, una dei luoghi più frequentati e turistici di Roma.
Non avendo trovato accoglienza in una chiesa, abbiamo comunque deciso di impostare la veglia come una testimonianza pubblica in cui la preghiera divenisse strumento di coinvolgimento, legame, con amici, parenti ma anche con gli ignari passanti.
Armati di chitarre, microfoni abbiamo pregato seduti sul selciato mentre turisti e persone di vario tipo si univano, prima incuriositi, poi coinvolti dal pregare e cantare insieme. Ecco, le veglie per me sono un servizio che la comunità degli omosessuali credenti mette a disposizione del resto della comunità. Spero che un giorno questo concetto sia chiaro a tutti e si interrompa la diffidenza verso tutti noi.
Ma che senso ha vegliare in preghiera nelle nostre chiese per ricordare le troppe vittime della violenza dell’omofobia?
L’omofobia e la transfobia sono una realtà. Ovunque nel mondo ma con moltissime sfaccettature. Per l’omofobia si muore, si viene picchiati, torturati, condannati a morte, isolati, imprigionati. Ma l’omofobia non è solo violenza fisica; è anche isolamento, emarginazione, derisione, bullismo, solitudine. E’ avere la sensazione che non sarai mai accettato, incluso. E’ spesso sentirsi “non previsto”.
E questo a scuola, sul lavoro, nella società, ma anche e soprattutto in famiglia e, per chi ha fede, nei contesti comunitari di appartenenza.
Purtroppo ancora non si capisce bene che “accoglienza” delle persone omosessuali non significa solo “non allontanarci o cacciarci”. Questo non avviene, per fortuna, quasi più.
Ma significa, se veramente vogliamo fare nostro il concetto di “accoglienza” favorire ambienti in cui tutti si possano sentirsi “previsti” e “inclusi”, dove l’omosessualità non sia una condizione anomala, da temere o circoscrivere, ma una delle tante possibilità in cui la natura umana si presenta a noi.
Solo quando questo si verificherà, le persone omosessuali e transessuali si potranno sentire finalmente “a casa”, senza dover impiegare gli anni più preziosi delle loro vite a nascondersi, celare, controllare, misurare le proprie parole, i propri gesti, i propri affetti e slanci; liberi, infine, di investire tutte le energie di cui disponiamo per vivere con gli altri e tra gli altri, per progettare, come qualunque altro essere, la propria esistenza.
Secondo te le veglie hanno favorito un cambiamento nelle persone che vi hanno partecipato?
Assolutamente sì. Il contesto della preghiera è prezioso. Davanti alla preghiera si è tutti uguali. Ci si affida tutti a Dio. Nella preghiera il ricordo delle vittime di omofobia e transfobia acquista un significato empatico. Si affida la sofferenza passata a Dio sperando che non accada mai più.
Le storie delle vittime si alternano a testimonianze personali, a condivisioni… e ogni parola, ogni canto, ogni preghiera demoliscono un piccolo pezzo di muro nelle coscienze di chi partecipa. Ricordo un mio amico parroco che, quando partecipò per la prima volta alla veglia, si sentì quasi male perché non immaginava neanche lontanamente che così tante persone fossero state oggetto di violenze così terribili, quasi non fossero state considerate persone,
Con quale speranza parteciperai alla veglia di quest’anno?
Pieno del messaggio che legherà tutte le veglie 2013: “Nell’amore non c’è paura!”. Perché sono convinto che chi realmente è aperto all’amore non può detestare l’altro e considerarlo un nemico, una minaccia, qualcosa da annientare. Solo comunicando l’Amore, quello con la “A” maiuscola, potremo guardare all’altro con gli occhi del cuore e non con quelli della legge o della forza.